Iran, un regime criminale: perché l'eliminazione di Suleimani non basta Commento di Giordano Stabile, Paolo Mastrolilli intervista il generale americano Joseph Votel
Testata: La Stampa Data: 10 gennaio 2020 Pagina: 10 Autore: Giordano Stabile - Paolo Mastrolilli Titolo: «Le milizie filo-iraniane in Iraq: sarà guerriglia contro gli Usa - 'Rimuovere i leader non è sufficiente. L'impegno Nato in Iraq deve continuare'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/01/2020, a pag.10, con il titolo "Le milizie filo-iraniane in Iraq: sarà guerriglia contro gli Usa", la cronaca di Giordano Stabile; a pag. 11, con il titolo 'Rimuovere i leader non è sufficiente. L'impegno Nato in Iraq deve continuare', l'intervista di Paolo Mastrolilli al generale americano Joseph Votel.
Ecco gli articoli:
Ali Khamenei
Giordano Stabile: "Le milizie filo-iraniane in Iraq: sarà guerriglia contro gli Usa"
Giordano Stabile
L'Iran rivela che era pronto a nuovi raid, con «migliaia di missili», e a una battaglia che poteva andare avanti per settimane. Ma lascia intendere che lo scambio di colpi con gli Stati Uniti per il momento si ferma qui. Il duello è condotto in questa fase anche davanti ai media e, dopo la conferenza stampa pirotecnica di Trump, mercoledì pomeriggio, ieri è toccato al comandante delle forze aerospaziali dei pasdaran, Amir Ali Hajizadeh, che ha fatto sfoggio di cartine e grafici sul raid contro la base di Ayn al-Asad in Iraq. Il tutto mentre la Casa Bianca annunciava le nuove sanzioni promesse da Trump, ma nello stesso tempo assicurava in una lettera all'Onu che era pronta a «impegnarsi in seri negoziati con l'Iran» e che l'uccisione di Qassem Soleimani era stata decisa soltanto per un «atto di autodifesa». Lo scontro in atto dal maggio 2018, quando Trump si è ritirato dall'accordo sul nucleare e ha imposto nuove sanzioni, è stato caratterizzato da continui colpi di scena. Adesso le due parti sembrano cercare una pausa, gli Stati Uniti in parte soddisfatti per l'eliminazione di uno dei comandanti nemici più pericolosi , e l'Iran per essere riuscito a colpire installazioni militari americani senza gravi conseguenze. È stato questo il punto sottolineato dal generale Hajizadeh, che ha ribadito come l'attacco fosse mirato non a uccidere soldati ma a «distruggere equipaggiamento militare». In effetti sarebbero stati colpiti un elicottero e un drone e alcuni edifici della base, compresa una torre radar. Il comandante dei pasdaran ha poi spiegato che le forze iraniane si sono preparate a una lunga campagna. «Eravamo pronti a lanciare centinaia di missili, e poi migliaia» se ci fosse stata una rappresaglia americana. E a uccidere, in questo caso, «centinaia, e poi migliaia» di soldati Usa. Hajizadeh ha anche rivelato che «attacchi cibernetici» erano pronti a ostacolare aerei e droni americani che avessero risposto. Propaganda e messaggi rivolti agli Usa ma anche al fronte sciita, dall'Iran al Libano. Alle spalle del generale c'erano anche le bandiere di Hashd al-Shaabi, le milizie irachene, e quelle dell'Hezbollah libanese, di Hamas, delle milizie afghane e pachistane Fatemiyoun e Zeinabayoun, protagoniste della guerra in Siria. Il fronte arabo-sciita, che si era compattato di fronte al «martirio» di Soleimani, mostra però già le prime crepe. In Iraq l'ala più filo-iraniana è guidata da Qais al-Khazali, nuovo leader di fatto delle milizie, che ieri ha minacciato vendetta per il «loro martire», cioè il comandante Abu Mahdi al-Muhandis ucciso il 3 gennaio assieme a Soleimani: «Americani, non chiudete gli occhi – ha avvertito – la vendetta arriverà implacabile e sarà per mano irachena». Ma l'altro leader sciita con maggiore seguito, l'imam Moqtada al-Sadr, ha frenato e invitato le milizie «a essere pazienti», a non intraprendere «azioni militari». La frattura è anche sul nome del nuovo primo ministro che dovrà sostituire Adel Abdel Mahdi. Al-Sadr vuole un nuovo governo «entro quindici giorni» e anche l'ultima parola su chi lo guiderà e ha proposto una rosa di cinque papabili. È una situazione caotica aggravata proprio dalla mancanza della leadership di Soleimani, che dettava la linea senza contraddizioni. Il che spiega gli attacchi sporadici, non coordinati, come quello di ieri sera con alcune katiuscia contro una base a Baghdad che ospita truppe statunitensi. In realtà le milizie sarebbero «sotto choc» per la perdita, nello stesso giorno, di Soleimani e Al-Muhandis. I due erano un tandem affiatato, avevano condiviso il fronte nelle durissima guerra fra Iran e Iraq. Le milizie sciite irachene erano nate proprio come «quinta colonna» all'interno dell'Iraq di Saddam Hussein. Ma Al-Muhandis aveva anche organizzato attacchi terroristici, per esempio alle ambasciate americana e francese in Kuwait. Adesso ai pasdaran manca un uomo di fiducia e pronto a tutto.
Paolo Mastrolilli: 'Rimuovere i leader non è sufficiente. L'impegno Nato in Iraq deve continuare'
Paolo Mastrolilli
Joseph Votel
«Continuare la missione per l'addestramento in Iraq, e assumere la leadership della transizione in Afghanistan». Sono le due aree in cui la Nato potrebbe accrescere il contributo in Medio Oriente, come chiesto da Trump, secondo il generale Joseph Votel. Fino al marzo scorso Votel è stato capo dello United States Central Command, dove ha guidato la guerra contro l'Isis e tutte le operazioni nella regione, incluso l'Iran. Gli parliamo durante una conference call organizzata dal Middle East Institute, dove la prima domanda riguarda la richiesta del capo della Casa Bianca: «La Nato ha un piccolo contingente in Iraq, ma molti Paesi membri fanno parte della coalizione anti-Isis. Penso sia una buona idea espandere il suo ruolo sul terreno, non solo per la missione contro lo Stato Islamico, ma anche per affrontare le tensioni in corso nell'area». L'Italia gestisce le operazioni a Baghdad, e il generale entra nel dettaglio di cosa Washington si aspetterebbe: «È una missione piccola, ma importante. Aiuta l'addestramento e gli aspetti istituzionali delle forze armate irachene, per garantire che siano professionali, capaci e concentrate. È un esempio di cosa la Nato può continuare a fare. In altri casi, ha la capacità di guidare la coalizione. Per esempio in Afghanistan, dove potrebbe gestire la transizione in corso attraverso il negoziato con i taleban. I Paesi Nato sono in grado di avere un ruolo più ampio, perché sono ben equipaggiati, militarmente capaci, e hanno buone relazioni nella regione. Usarli di più sarebbe molto importante. Io sono stato un ufficiale americano, ma mi considero anche un ufficiale Nato. Ho servito al quartier generale in diverse occasioni. È l'alleanza di maggior successo, ha retto alla prova del tempo, è composta da Paesi molto buoni che vedono le cose nello stesso modo, ed è uno strumento potente che spero potremo usare sempre di più». Votel risponde così alla domanda se l'uccisione di Solemaini ha reso l'Occidente più sicuro: «L'operazione ha rimosso il più importante pianificatore, orchestratore, esecutore e guida della politica estera militare iraniana nella regione. Ciò avrà un impatto. Detto questo, già in passato abbiamo visto che rimuovere la leadership è importante, ma non sufficiente. La Quds Force ha molte capacità ben sviluppate che ancora esistono, perciò bisogna restare vigili e pronti a rispondere. Dovremo continuare a fare i conti con queste minacce che l'Iran rappresenta per noi». I missili di Teheran, ad esempio, hanno dimostrato una precisione diversa dai vecchi Scud di Saddam: «Avevamo visto che l'Iran sviluppava le capacità dei suoi missili balistici. Perciò non sorprende che il livello di sofisticazione e precisione sia aumentato. Non è ancora al nostro livello, ma vicino a quelli di altri Paesi della regione». Votel però non conferma l'accusa di Trump, secondo cui i soldi restituiti dagli Usa dopo l'accordo nucleare sono stati usati per pagare i missili: «Non sono a conoscenza di elementi che sostengano questo fatto». Il generale interviene sulla possibilità che le tensioni con l'Iran rendano impossibile il ritiro dal Medio Oriente promesso da Trump: «Noi abbiamo un interesse nazionale nel Medio Oriente, che guida la nostra strategia. Include assicurare che certe aree non vengano usate come piattaforme per attaccare la nostra patria; garantire che le armi di distruzione di massa non possano proliferare, per minacciare noi ed altri; accesso alle rotte di navigazione, indispensabili per il commercio non solo americano, ma globale; evitare che l'instabilità in queste zone abbia un impatto sulla stabilità di altre aree; mantenere un giusto equilibrio dei poteri per gli Usa. Anche senza contare il livello delle truppe, questi interessi sono sempre in vigore. La nostra strategia deve garantire i mezzi necessari a proteggerli, che sono militari, diplomatici, di intelligence, economia e potere dei commerci. Tali mezzi applicati in maniera diversa ci consentono di raggiungere i nostri obiettivi. Ad esempio la pressione militare in Afghanistan permette di concentrarci sulla riconciliazione tra governo e teleban. Non è solo questione di numeri, ma di interessi». In questo quadro, bisogna evitare la confusione dei messaggi: «Dobbiamo chiarire i nostri interessi, gli obiettivi e la strategia, altrimenti rischiamo di confondere alleati e avversari». L'ultima raccomandazione riguarda il rischio di indebolire le lotta all'Isis: «È un punto delicato. Abbiamo convissuto con gruppi sciiti che combattevano la Stato Islamico, ma erano sostenuti dall'Iran. Dobbiamo fare molta attenzione».
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