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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
07.01.2020 L'Unione Europea e la politica che non c'è nei confronti del regime iraniano
Analisi di Marco Zatterin, David Carretta, editoriale del Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Marco Zatterin - David Carretta
Titolo: «Ue, politica estera inesistente - I calcoli di Bruxelles - C'è qualcuno in Ue che parla di Iran»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/01/2020, a pag. 1, con il titolo "Bisogna impedire che i barconi partano", l'analisi di Marco Zatterin; dal FOGLIO, a pag. 3, con il titolo "I calcoli di Bruxelles", il commento di David Carretta; l'editoriale con il titolo "C'è qualcuno in Ue che parla di Iran".

A destra: Europa e Iran

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Marco Zatterin: "Ue, politica estera inesistente"


Marco Zatterin  

La politica estera dell'Unione europea non esiste e mai s'è vista. Per i capi di Stato e di governo che ne parlano ai vertici e nei parlamenti è - a seconda della geografia e delle vocazioni storiche - una vanagloriosa foglia di fico sulla volontà di far da sé («Si parli con una voce sola»); una scusa per guadagnare tempo nei giorni peggiori («Chiediamo una missione comunitaria»); un aiuto per frenare sul processo d'integrazione («L'Ue è un pozzo per soldi dei contribuenti»). Raramente il dibattito affronta con concretezza l'evidente esigenza di dare al continente uno strumento efficace per non sparire nel grande gioco delle potenze planetarie. La crisi combinata in Libia e in Iran lo dimostra ancora, con magre possibilità di appello.


L'America di Trump viene da Marte e esprime la forza delle armate a stelle e strisce, brandendo la bandiera della deterrenza. La Russia vuole il mare, così punta diritta alla Siria e s'ingegna a disturbare l'Ue con il suo movimento lento e costante anche in terra libica. I turchi si schierano in Algeria pronti per sfidare Haftar e rinverdire i bei fasti andati dell'egemonia ottomana.
L'Europa, che a differenza degli statunitensi non può andare oltre la matrice di «potere morbido» ispirato da Venere, fallisce a Tripoli e latita confusa sul fronte iraniano. Francia e Germania avanzano solitarie, abbracciate ai britannici che cercano di tenere vicini nonostante la Brexit. Dell'orchestrazione estera comune non c'è traccia.
Per i sovranisti, ben disposti a cavalcare la percezione e nascondere la verità, è facile sputare su Bruxelles che, come istituzione, non ha colpe. La politica estera europea è un ologramma progettato dai governi nazionali per non offendere i padri fondatori. In realtà, nessuno dei pezzi grossi ci ha mai creduto e quando il gioco si fa duro sono le solite capitali a entrare in campo.
Tutto si ripete. La realtà è che non ci può essere una politica condivisa se gli Stati non decidono di mettere insieme le loro forze. Il che non succedeva prima e tantomeno ora. Trump ha colpito a Baghdad senza avvisare Bruxelles, dove ancora domenica l'alto rappresentante Josep Borrell ha pochi margini: ha invocato temperanza, ha invitato gli iraniani per parlare di nucleare, ha negato la missione europea a Tripoli, viaggio che dall'Italia veniva definito decaduto per l'indisponibilità a trattare del filoturco Fayez al Sarraj. Poi è sceso a cena con Di Maio.
Finché si parla, non si combatte, eppure nelle stelle non troviamo scritte promesse di schiarite. La dichiarazione a tre firmata Johnson-Merkel-Macron dimostra gradimento per un G-3 diplomatico che medi con gli Stati Uniti, senza i quali non si va mai lontani. Ma è una strategia pragmatica che succhia ulteriore energia alla debole politica estera dell'Unione.
Sarebbe più onesto, per quanto riduttivo, riporre il sogno in cantina, ufficializzare le più velocità e riunirsi soltanto nella Nato. Così com'è, il disegno di fare gli Esteri insieme è una perdita di tempo che brucia i consensi del processo di integrazione europea. Il quale, invece, ha bisogno di energia fresca per rinnovarsi e non di un G3 dominante che scansi nuovamente l'Italia, un po' russa e un poco americana, motore di alleanze che non quadrano e, anche questa volta, dimenticata per manifesta volatilità, sebbene la geografia ne faccia il vicino di casa più prossimo alla Libia.
L'alternativa sarebbe alzare la posta, avere la passione per rifondare della politica estera europea, unirsi per fare la forza. Dovrebbe essere proprio Roma, la quarta incomoda, a dare la carica. Cercare di mettere tutti insieme, anche gli spagnoli, i baltici e i polacchi, e i partner dell'est che hanno ogni interesse ad avere uno scudo russo. Con l'aria che tira, difficile anche solo sperarlo. I grandi continueranno a perpetuare il loro schema, troppo presi dal proprio ego per considerare che la tempesta perfetta che si sta generando fra qui e l'Asia Minore può punire anche loro. Non prima, però, di aver fatto male a tutti gli altri, a partire dall'Italia.

IL FOGLIO - David Carretta: "I calcoli di Bruxelles"

Immagine correlata
David Carretta

Bruxelles. L'ambizione di una Commissione "geopolitica" e il sogno di una politica estera europea, che consentano all'Europa di giocare da pari con Stati Uniti e Cina nello scacchiere globale, si stanno dimostrando una chimera nel momento in cui l'Ue inizia questo 2020 con due crisi vicinissime ai suoi confini, che covavano da tempo, ma rispetto alle quali si ritrova ancora una volta impreparata, divisa e irrilevante. "De-escalation", "dialogo", "riduzione della tensione", "invertire la dinamica del conflitto" sono le espressioni più utilizzate dai nuovi leader dell'Ue e dai loro portavoce quando vengono interrogati sul pericolo di un conflitto tra Iran e Stati Uniti e sull'ingerenza militare di Turchia e Russia in Libia. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e l'Alto rappresentante, Josep Borrell, non hanno nemmeno citato l'Iran o gli Usa nella loro prima reazione venerdì all'uccisione del generale Qassem Suleimani, limitandosi a menzionare la situazione in Iraq. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha atteso lino a ieri pomeriggio per invocare "la fine del ciclo della violenza" e "spazio per la diplomazia". Borrell ci ha messo quattro giorni per decidersi a convocare una riunione straordinaria dei ministri Ue per venerdì. Le ragioni di tanta prudenza sono varie. Sull'Iran "gli Stati membri sono divisi", spiega al Foglio una fonte Ue: "Alcuni ritengono prioritaria la relazione transatlantica e non vogliono criticare in alcun modo gli Usa. Altri mostrano più comprensione per l'Iran o hanno interessi economici". Non manca una dose di codardia. "Non va dimenticata la dimensione della sicurezza e il rischio di una rappresaglia. Vogliamo evitare di essere attaccati", dice la stessa fonte Ue, ricordando che diversi paesi hanno truppe nella regione e che l'Iran è in grado di colpire anche sul territorio europeo. Infine c'è il trauma della crisi dei rifugiati del 2015, diretta conseguenza della guerra in Siria, che continua a pesare sui piccoli calcoli nazionali. "Ora non è più il tempo di rischiare morte, terrorismo, ondate migratorie insostenibili, ora è il momento di scommettere sul dialogo, sulla diplomazia e sulle soluzioni politiche", ha sintetizzato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. In un rapporto sull'influenza dell'Ue in medio oriente e Nord Africa pubblicato a fine 2019, il think tank European Council on Foreign Relations (Ecfr) ha fatto un bilancio della politica estera europea nella regione. Le crisi "hanno un impatto diretto sugli europei", ma "la loro influenza nella regione non è mai stata così debole". Secondo l'Ecfr, "malgrado le sue partnership economiche e politiche considerevoli con attori regionali, l'Europa è stata incapace di influenzare le svolte maggiori che ci sono state". La prima causa maggiore è "una profonda mancanza di unità nella risposta dell'Europa alle sfide nella regione del medio oriente e del Nord Africa, che mina costantemente la sua efficacia. Su quasi tutte le questioni regionali, una mancanza di consenso europeo ha ripetutamente bloccato un'azione decisa", spiega l'Ecfr. La seconda causa della debolezza Ue è che è considerata "un attore politico insignificante" rispetto agli Usa, anche per "la mancanza di volontà o incapacità dei paesi europei di impegnare le loro forze militari". Risultato: il fallimento dell'Ue in medio oriente e Nord Africa ha "un costo alto per gli europei", constata l'Ecfr. La personalità dell'Alto rappresentante conta, ma solo fino a un certo punto. Sulla Libia Borrell sembra disinteressato: ieri il suo portavoce ha detto di non aver mai annunciato una missione con Di Maio e altri ministri europei. Sull'Iran, in continuità con Federica Mogherini, Borrell è soprattutto preoccupato di resuscitare un accordo sul nucleare con Teheran più che moribondo. Di qui il suo invito Mohanunad Zarif a venire a Bruxelles, a cui però il ministro degli Esteri iraniano non si è degnato finora di rispondere. In una conversazione telefonica con lo stesso Zarif, Borrell si è mostrato comprensivo per le ragioni iraniane esprimendo "profonda preoccupazione" per l'uccisione di Suleimani. Francia, Germania e Regno Unito hanno invece sottolineato "il ruolo negativo" che l'Iran e Suleimani hanno giocato nella regione e esplicitamente chiesto alla Repubblica islamica di "astenersi da ulteriori azioni violente" e di "fare marcia indietro" sull'arricchimento dell'uranio. La dichiarazione comune di Emmanuel Macron, Angela Merkel e Boris Johnson dimostra che la diplomazia è saldamente nelle mani delle capitali. La politica estera dell'Ue non c'è e forse, in queste condizioni, sarebbe meglio non inventarla.

IL FOGLIO: "C'è qualcuno in Ue che parla di Iran"

Ieri tre paesi europei hanno preso una posizione dopo la morte di Qassem Suleimani. Lo hanno fatto a mezza voce, senza dire nulla di eclatante, ma Francia, Germania e Gran Bretagna, con un comunicato congiunto, hanno detto a Teheran di rispettare gli impegni presi "nel quadro del Jcpoa" (l'accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015) e di "astenersi da azioni violente". Londra già aveva annunciato che avrebbe mandato delle navi da guerra per scortare le petroliere nel Golfo Persico e l'annuncio era suonato come la più grande dimostrazione di posizionamento a favore degli Stati Uniti da parte di una delle capitali europee. Il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel finora avevano preferito rimanere lontani da posizionamenti netti e l'eccesso di inviti alla "moderazione" e al "dialogo" aveva riempito i loro comunicati. La dichiarazione congiunta delle tre capitali, che non ha un valore europeo - sono piuttosto le parole delle tre nazioni firmatarie dell'accordo sul nucleare assieme a Stati Uniti, Cina, Russia e ovviamente Iran - e non cita la morte di Suleimani, è già un passo per uscire dal silenzio delle dichiarazioni europee. Colui che dovrebbe incarnare la politica estera Ue, l'Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza Josep Borrell, si è invece perso dietro agli inviti al ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif (che non ha nemmeno risposto) e riguardo all'annuncio di Teheran di voler violare il Jcpoa si è limitato a definirlo "profondamente deplorevole" e a convocare un incontro dei ministri degli Esteri a Bruxelles previsto per venerdì. Tra i rappresentanti europei, chi invece ha preso una posizione, in linea con Londra, Parigi e Berlino è stata Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, che in una conferenza stampa ieri, mentre era a Seeon, Baviera, insieme ad altri membri del partito Csu, ha detto che la morte di Suleimani è avvenuta "dopo settimane di ripetute provocazioni di forze vicine all'Iran", ma non ha voluto commentare le minacce del presidente americano Donald Trump.

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