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La Stampa Rassegna Stampa
05.01.2020 Iran/Usa: le interviste per capire
Interviste di Paolo Mastrolilli, Gianni Vernetti a Daniel Pipes, Ladan Boroumand, attivista per i diritti umani in Iran

Testata: La Stampa
Data: 05 gennaio 2020
Pagina: 3
Autore: Paolo Mastrolilli - Gianni Vernetti
Titolo: «'Gli Usa tornano alla deterrenza. Ogni provocazione verrà punita' - 'Senza Soleimani il potere di Khamenei è molto indebolito'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/01/2020, a pag.3, con il titolo "Gli Usa tornano alla deterrenza. Ogni provocazione verrà punita", l'intervista di Paolo Mastrolilli a Daniel Pipes; a pag. 4, con il titolo 'Senza Soleimani il potere di Khamenei è molto indebolito', l'intervista di Gianni Vernetti a Ladan Boroumand, attivista per i diritti umani in Iran.

Ecco gli articoli:

Paolo Mastrolilli: 'Gli Usa tornano alla deterrenza. Ogni provocazione verrà punita'

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Paolo Mastrolilli

L'uccisione di Qassem Soleimani rappresenterà un punto di svolta solo se sarà l'inizio di una nuova strategia americana più dura sul piano militare, che indebolisca l'apparato delle forze di sicurezza iraniane, aiutando i cittadini che vogliono provocare la caduta degli ayatollah dall'interno». È l'opinione di Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum e consigliere di George Bush figlio, cioè quando favorire il cambio di regime a Teheran era la linea ufficiale della Casa Bianca.

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Daniel Pipes


Come giudica l'azione ordinata dal presidente?
 «Trump è molto imprevedibile, è sempre difficile analizzare le sue decisioni. Soleimani era il leader operativo militare della Repubblica islamica, e quindi la sua eliminazione è molto importante, ma non era la persona che prendeva le decisioni ultime. Per quanto capace, verrà sostituito dai sui vice, che saranno altrettanto determinati nel perseguire la strategia già in corso di imporre la loro egemonia nel Medio Oriente e combattere gli Usa. La sua morte quindi avrà un effetto importante duraturo solo se non sarà un'azione isolata, ma rappresenterà l'inizio di una nuova fase».

La Casa Bianca ha detto che Soleimani era arrivato a Baghdad da Damasco, e stava preparando nuovi attacchi contro gli americani.
 «Non c'è motivo per dubitare di questa versione, anche perché uccidere gli americani è quello che il capo dei pasdaran ha fatto per tutta la vita. La dinamica è abbastanza chiara. Le proteste anti iraniane si stavano allargando dalla Repubblica islamica, a tutti i Paesi della regione dove l'influenza di Teheran è più forte, come l'Iraq e il Libano. Gli ayatollah dovevano cambiare questo clima, e perciò Soleimani aveva organizzato attacchi come quello all'ambasciata di Baghdad, allo scopo di provocare la reazione americana, nella speranza che questa reazione poi avrebbe girato il vento delle proteste contro gli Usa. Il suo errore di calcolo, dovuto forse al fatto che finora Trump era stato molto timido nelle risposte agli attacchi iraniani tipo l'abbattimento del drone, è stato non sospettare che la reazione lo avrebbe potuto prendere di mira di persona».

Ora come reagirà la Repubblica islamica?
«Azioni militari e attentati, nella regione, e ovunque potrà».
Quale strategia dovrebbe adottare Washington?
«Rispondere con durezza ad ogni attacco».

Questo non porterà alla guerra totale?
«Non necessariamente. La guerra aperta non conviene all'Iran, perché difficilmente la vincerebbe, e non serve agli Usa».

Cosa serve agli Usa?
«Ristabilire la deterrenza. Per raggiungere questo obiettivo non serve l'invasione, ma bisogna far capire a Teheran che qualunque provocazione o attacco verrà punita con una risposta molto più forte. Se gli ayatollah comprenderanno la minaccia, smetteranno le loro aggressioni. Ma io dubito che lo faranno, perché l'attuale instabilità del Medio Oriente è cominciata con la rivoluzione khomeinista, e terminerà solo con la sua fine. Se non capiranno, e continueranno gli attacchi, gli Usa saranno giustificati a rispondere con forza in chiave difensiva».

Dopo l'uccisione di Soleimani quali obiettivi restano, a parte la guerra totale?
«I target abbondano: le navi iraniane nel Golfo Persico, le basi dei pasdaran in tutta la regione, la struttura nucleare. Colpendo questi obiettivi non si raggiungerà solo lo scopo di replicare alle provocazioni dell'Iran, ma anche di indebolire il suo apparato militare».

E questo a cosa serve, senza un'invasione?
«La strategia della "massima pressione" economica sta funzionando bene, l'economia è in crisi, e l'85% dei cittadini è contro il regime. L'unica ragione per cui non cade è l'uso dei pasdaran per reprimere la protesta. Se la nuova strategia americana indebolirà questo apparato, favorirà chi sta cercando di rovesciare gli ayatollah dall'interno, aprendo loro la strada. Adesso però tutto dipenderà dalla determinazione di Trump, che finora ha lanciato segnali contraddittori».

Gianni Vernetti: 'Senza Soleimani il potere di Khamenei è molto indebolito'

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Gianni Vernetti

Ladan Boroumand, 62 anni, è una nota attivista per i diritti umani in Iran. Vive in esilio a Washington dove ha fondato e dirige il «Center for Human Rights in Iran» (www.iranrights.org), un punto di riferimento per la diaspora democratica iraniana, una fonte puntuale di denuncia delle violazioni dei diritti umani nella Repubblica Islamica. Grazie al lavoro del Centro, hanno un volto e un nome le centinaia di oppositori del regime degli Ayatollah, scomparsi, giustiziati in modo sommario o eliminati dalla teocrazia islamica durante le durissime repressioni delle manifestazioni popolari. È figlia di Abdorraman Boroumand, uno dei leader laici della rivolta del 1979, costretto all'esilio da Khomeini e poi assassinato a Parigi nel 1991 da agenti iraniani.

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Ladan Boroumand


Qual è l'impatto della morte di Soleimani all'interno della Repubblica Islamica?
«Nessun uomo al mondo è stato direttamente coinvolto in più conflitti, in più Paesi, per un periodo più lungo di Qassem Soleimani. La sua morte è una perdita enorme per il regime iraniano che da anni ormai sta combattendo tre guerre, finora per procura, con gli Usa, Israele e Arabia Saudita. E' stato l'artefice del progetto della Mezzaluna Sciita sostenendo e spesso fondando milizie armate in Siria, Yemen, Iraq e Libano. I Guardiani della Rivoluzione (i Pasdaran) sotto la sua guida hanno esportato terrorismo e instabilità in tutto il Medio Oriente. Per il regime degli Ayatollah è stata una perdita enorme».

Da diverse fonti si apprende che la guida suprema Ali Khamenei avrebbe voluto candidare Soleimani come Presidente della Repubblica Islamica dopo Hassan Rohuani. Crede che questa sarebbe stata una possibilità concreta?
«Sì, ne siamo anche noi a conoscenza. Sarebbe stato il primo presidente "militare" e non "religioso" dell'Iran dal 1979 ed avrebbe rappresentato un trionfo per i Pasdaran. Credo però che sarebbe stato comunque un forte azzardo: Soleimani è stato sanzionato dalla Unione Europea, dagli Usa e da diversi Paesi per la sua complicità con gli enormi crimini commessi dalle milizie dei Pasdaran insieme al governo siriano durante il conflitto in Siria».

Soleimani è stato ucciso in Iraq, un Paese nel quale l'Iran ha esercitato un ruolo politico estremamente rilevante. L'Iran sta riducendo la sua influenza in Iraq?
«Sì e le dico di più: l'Iran oggi sta perdendo l'Iraq. Da molti anni l'Iran è stato l'attore esterno più influente in Iraq: ha condizionato la scelta di primi ministri e parlamentari; ha addestrato milizie che sono state responsabili della morte di molti soldati americani e delle forze della coalizione; ha tentato di riprodurre in Iraq il modello di "Hezbollah" del Libano. Ma negli ultimi mesi le cose stavano cambiando radicalmente: le grandi manifestazioni popolari a Baghdad erano contro un governo inefficace e per troppo tempo condizionato all'Iran. E non è certo un caso che milizie di Soleimani e dei suoi alleati abbiano avuto un ruolo attivo nella repressione delle manifestazioni popolari in Iraq con centinaia di civili uccisi».

Crede che il regime iraniano sia più debole dopo la morte di Soleimani? 
«Certamente si. La Repubblica Islamica sta dipingendo in queste ore Soleimani come un eroe popolare, ma la recente rivolta popolare dello scorso novembre a Teheran e in tutto il Paese ci racconta una storia diversa. Lo slogan più gridato nelle manifestazioni popolari era: "No al Libano, no a Gaza, no alla Siria, la mia vita per l'Iran". I cittadini iraniani sono stufi che il regime degli Ayatollah abbia investito enormi risorse per esportare in Medio Oriente la rivoluzione islamica».

E la repressione delle proteste popolati in Iran questa volta è stata dura come mai.
«Si, si stimano 1.500 morti, solo fra novembre e dicembre scorsi, e gran parte delle uccisioni sono state realizzate dalle milizie dei Pasdaran».

Cosa pensa che potrà accadere ora in Iran dopo la morte di Soleimani? 
«Dopo i massacri di novembre, l'odio contro il regime ha raggiunto livelli molto alti. Ora il regime è molto indebolito e instabile e credo che l'attacco contro Soleimani possa solo incoraggiare quanti sono insoddisfatti dal regime teocratico e dallo strapotere delle milizie».

L'Iran è sempre più isolato a livello internazionale e le sanzioni rendono la vita difficile. 
«Capiremo meglio l'impatto di tutto ciò solo nei prossimi mesi. Poi bisognerà vedere anche se e come Russia e Cina continueranno a sostenere il regime».

In conclusione, ritiene legittima l'azione militare a Baghdad contro Soleimani e il leader delle milizie armate sciite Abu Mahdi al-Muhandis? 
«Come attivista, mi dispiace non avere l'occasione di poter vedere Soleimani e i suoi sodali giudicati dalla Corte Penale Internazionale. Come figlia di un uomo mite e pacifico assassinato dalle sue milizie, l'unità di Al Quds, non sto versando lacrime per la sua morte».

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