Iran/Usa: gli ayatollah minacciano ancora il mondo libero, scelto il successore di Suleimani Cronache di Giordano Stabile, Francesco Semprini
Testata: La Stampa Data: 05 gennaio 2020 Pagina: 2 Autore: Giordano Stabile - Francesco Semprini Titolo: «Minacce di guerra fra gli ayatollah e Trump. Razzi sciiti sull'ambasciata Usa a Baghdad - Il nuovo comandante tra armi alle milizie e obbedienza al regime»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/01/2020, a pag.2, con il titolo "Minacce di guerra fra gli ayatollah e Trump. Razzi sciiti sull'ambasciata Usa a Baghdad", la cronaca di Giordano Stabile; con il titolo "Il nuovo comandante tra armi alle milizie e obbedienza al regime", il commento di Francesco Semprini.
Ecco gli articoli:
Esmail Ghaani (a destra), designato successore di Suleimani (a sinistra)
Giordano Stabile: "Minacce di guerra fra gli ayatollah e Trump. Razzi sciiti sull'ambasciata Usa a Baghdad"
Giordano Stabile
Cinquemila soldati americani, che presto raddoppieranno, contro 100 mila miliziani iracheni guidati da duemila consiglieri militari dei Pasdaran. Sono le forze che si confrontano sul campo di battaglia iracheno, sempre più infuocato. Ieri migliaia di manifestanti hanno partecipato a Baghdad ai funerali di Qassem Soleimani e del comandante iracheno Abu Mahdi al-Muhandis, al grido di «morte all'America» e «vendetta». I feretri sono stati poi portati nella città santa di Najaf . C'erano anche il primo ministro Adel Abdel Mahdi e il capo politico delle milizie, Falah Al-Fayyad. Teheran ha avvertito di aver individuato «35 obiettivi Usa» e «a Tel Aviv» e che la risposta arriverà nel «momento giusto e nel posto giusto». Una vendetta «che durerà anni», ha minacciato il presidente Hassan Rohani. Ieri alcuni razzi sono stati lanciati contro l'ambasciata americana, finita sotto assedio il 31 dicembre, due katiuscia hanno colpito la base di Balad, e poche ore dopo degli attacchi aerei hanno colpito le basi delle milizie sciite ad Abu Kamal, al confine con la Siria, senza causare vittime. Alle minacce iraniane ha reagito da Washington Trump in persona facendo sapere che «se un solo cittadino americano o obiettivo Usa sarà colpito, attaccheremo 52 obiettivi in Iran». Ovvero, sarebbe un conflitto totale. Il leader di Kataib Hezbollah ha invitato i militari iracheni a stare a una distanza di «mille metri dalle basi statunitensi a partire da stasera». L'escalation preoccupa Europa, Russia e Cina. Pechino ha chiesto agli Usa di «non abusare della forza», mentre il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha invitato l'Iran a non commettere «altre violazioni dell'accordo sul nucleare». Il rischio di guerra aperta non è escluso dalla Nato, che ha sospeso l'addestramento dell'esercito iracheno. Il rapporto di forze è solo in apparenza sbilanciato a favore dell'Iran, perché gli Stati Uniti possono contare sullo strapotere dell'aviazione e su una relazione privilegiata con le migliori unità regolari di Baghdad, 40 mila effettivi. Questo puzzle si è creato a partire dal 2003, quando la caduta di Saddam Hussein ha dato il via alla competizione fra Washington e Teheran. Il governatore statunitense Paul Bremer decise di smantellare le forze armate baathiste e ricostruirle su basi democratiche. Mentre Soleimani puntò a organizzare le milizie sciite. Miliziani e militari statunitensi si sono combattuti subito, con un picco di intensità fra il 2005 e il 2007. L'irruzione dell'Isis ha portato a un riallineamento fra il 2014 e il 2017. La lotta allo Stato islamico ha plasmato le milizie sciite. Nel giugno nel 2014 40 formazioni sono state fuse nelle Hashd al-Shaabi, unità di mobilitazione popolare: 200 mila uomini. Il primo comandante, Muhammad Raza Husseini, è morto in battaglia contro l'Isis ma con la fine del califfato il confronto con l'America e Israele è tornato a prevalere. Nel luglio 2019 Teheran ha ottenuto dal premier Mahdi che le milizie fossero equiparate alle unità regolari. In questo modo Soleimani è riuscito a piazzare un suo uomo a difesa della Zona verde di Baghdad, e a schiacciare le manifestazioni anti-governative. Le 40 milizie si sono trasformate in brigate. La metà è agli ordini di Teheran. Le più importanti sono la Iman Ali, la Saraya Ashura, e la Harakat al-Nujaba, decisiva nella vittoria ad Aleppo. E poi la 45esima, Kataib Hezbollah, e la 46esima, sotto la guida di Qais al-Khazali, protagoniste degli attacchi contro le basi americane e punite dai raid Usa. Queste unità sono state incaricate della «vendetta schiacciante» dal successore di Soleimani, Esmail Ghaani. Il Pentagono ha risposto con l'invio di 3500 paracadutisti della 82esima divisione. I cinquemila statunitensi già presenti hanno il compito principale di assistere le unità regolari irachene, e i Peshmerga curdi, nella lotta contro le sacche dell'Isis. Alle forze Usa vanno aggiunti i 300 addestratori della Nato Mission Iraq, lanciata nel 2018. Ci sono anche italiani. Cinque di loro sono rimasti feriti in un attentato dell'Isis il 10 novembre. Il clima prebellico fra Stati Uniti e Iran ha spinto l'Alleanza ha sospendere le operazioni nel Paese, anche se il ministro della Difesa Guerini ha precisato che «l'attività riprenderà appena possibile». Militari Usa e della Nato si trovano in una situazione paradossale, sotto il tiro di milizie inquadrate in un esercito che in teoria devono addestrare per debellare l'Isis.
Francesco Semprini: "Il nuovo comandante tra armi alle milizie e obbedienza al regime"
Francesco Semprini
Pragmatico, tattico, reduce dell'Afghanistan e perfettamente inquadrato nella macchina burocratica di Teheran. Sono queste le caratteristiche di Esmail Ghaani, successore di Qassem Soleimani alla guida delle Forze Quds dei Guardiani della Rivoluzione. Classe 1957, Qaani è entrato nei Pasdaran nel 1982, tre anni dopo la rivoluzione khomeinista. Da quel momento è stato impegnato in tutti i fronti caldi del Paese nella regione. Negli Anni '80 è rimasto ferito durante la guerra tra Iran e Iraq mentre verso la fine del decennio è stato promosso a comandante della quinta divisione Nasr. A metà degli anni Novanta è diventato il capo dell'Ansar Corps, responsabile regionale per l'Afghanistan e il Pakistan fornendo supporto all'Alleanza del Nord di Aḥmad Shāh Masoud, detto il «Leone del Panjshir», in funzione anti talebana. Nel corso del decennio ha scalato altre posizioni fino a diventare il numero due di Soleimani. Nella sua funzione di vice è stato a capo della divisione di intelligence almeno fino al 2006. Tra le operazioni più note condotte da lui condotte ci sono quelle legate al supporto delle varie milizie sostenute dall'Iran in tutto il Medio Oriente. Qaani è infatti responsabile del traffico di armi e soldi verso gruppi armati in Afghanistan, Libano e Yemen. Ghanni non ha sicuramente né lo spessore, né il carisma del «Comandante ombra», ma la sua nomina a successore di Soleimani, il generale che aveva conquistato il cuore della gente, era la più ovvia trattandosi del suo vice più accreditato. Di leader di spicco ce n'erano altri come Mohammad Reza Naqdi, Mohammad Pakpour, Amir Ali Hajizadeh, Alireza Tangsiri, Gholamreza Soleimani, il regime però ha scelto in fretta.
Organico all'establishment Se da un punto di vista politico il 62enne Ghaani, nato a Mashhad e coetaneo di Soleimani, garantisce la necessaria continuità, il suo profilo è infatti completamente diverso da quello del generale. Oltre a non avere la visione strategica di Soleimani, Ghaani è molto più organico all'establishment dei Pasdaran e meno indipendente del suo predecessore, capace di superare le resistenze degli apparati militari alla sua visione di una sorta di «guerra fredda» con gli Stati Uniti in Iraq. Abbondano le sue dichiarazioni contro Israele, oltre che quelle a sostegno dell'alleato siriano Bashar al Assad. Fu proprio Ghaani, due anni fa, a rivolgersi al presidente americano Trump sulle emittenti locali, per rispondere alle prospettive di guerra agitate da Washington: «Non siamo un Paese guerrafondaio, ma qualunque azione militare contro l'Iran verrà rimpianta. Le minacce di Trump contro l'Iran danneggeranno gli Stati Uniti, ne abbiamo visti passare molti come Trump, sappiamo come combattere l'America». Già nel 1993 appare un primo riferimento documentato nei dossier internazionali quando viene definito capo del Quarto Corpo Ansar, responsabile delle attività dei Guardiani della Rivoluzione in Afghanistan, Pakistan e Repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale. Al Dipartimento di Stato americano è noto da tempo, e nel marzo 2012 era stato inserito nella lista dei soggetti internazionali sotto sanzioni per il dipartimento del Tesoro, accusato di sostegno ad attività terroristiche per conto delle Irgc (il corpo delle guardie della rivoluzione islamica), designate da Washington come una formazione terroristica. Fonti non confermate sostengono che uno dei suoi figli, Ali Ghaani, studente di ingegneria a Mashhad, abbia partecipato alle proteste del 2009 contro i presunti brogli elettorali che portarono alla rielezione di Ahmadinejad, e alle proteste dell'Onda verde. Motivo per cui sarebbe inviso ad alcuni dei falchi di Teheran.
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