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La Repubblica - Avvenire Rassegna Stampa
04.01.2020 La fine di Suleimani: ecco chi disinforma
Massimo D'Alema intervistato da Concetto Vecchio, Camille Eid

Testata:La Repubblica - Avvenire
Autore: Concetto Vecchio - Camille Eid
Titolo: «D'Alema: 'Una missione Ue per fermare l'escalation. Gli Usa hanno tradito i patti' - Il soldato-stratega lodato dalla stampa per aver sconfitto il mostro Daesh»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/01/2020, a pag.8, con il titolo "D'Alema: 'Una missione Ue per fermare l'escalation. Gli Usa hanno tradito i patti' " l'intervista di Concetto Vecchio a Massimo D'Alema; da AVVENIRE, a pag. 6, con il titolo "Il soldato-stratega lodato dalla stampa per aver sconfitto il mostro Daesh", il commento di Camille Eid.

Massimo D'Alema non si smentisce e difende a spada tratta Qassem Suleimani, l'uomo che più di ogni altro si è adoperato negli ultimi vent'anni per estendere in tutto il Medio Oriente l'influenza iraniana. Per perseguire questo scopo Suleimani ha collaborato con e armato numerosi gruppi terroristi, da Hamas (Gaza) a Hezbollah (Siria e Libano) agli Houthi (Yemen). Nonostante questo D'Alema, già noto per aver familiarizzato con i terroristi di Hezbollah quando - era il 2006 - ricopriva la carica di Ministro degli Esteri, si schiera senza mezze misure con Suleimani e l'Iran terrorista. Inverte inoltre il senso delle responsabilità, addossando la colpa dell'escalation agli Stati Uniti e "dimenticando" l'assalto all'ambasciata americana a Baghdad ordinato proprio dal defunto e da lui compianto Suleimani, vero e proprio atto di guerra che non poteva rimanere senza conseguenze.

Avvenire traccia invece un ritratto tutto edulcorato del criminale Suleimani, attribuendogli addirittura il merito di aver sconfitto l'Isis. Al contrario, come chiarisce Daniele Raineri in un articolo del Foglio di oggi che non riprendiamo, Suleimani si è adoperato esclusivamente per l'espansione dell'Iran in Medio Oriente ed è responsabile della morte di migliaia di persone. Dare a lui e all'Iran il merito di aver sconfitto lo Stato islamico è il massimo della disinformazione.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Concetto Vecchio: "D'Alema: 'Una missione Ue per fermare l'escalation. Gli Usa hanno tradito i patti' "


Massimo D'Alema a Beirut nel 2006 con alcuni leader del movimento terroristico Hezbollah

Presidente Massimo D'Alema, da ex ministro degli Esteri, che valutazione dà dell'uccisione del generale Soleimani? II mondo è davanti a un nuovo 1914? «Andrei cauto nel maneggiare certi paragoni storici. Siamo di fronte a un evento gravissimo, dalle conseguenze non facilmente calcolabili, che avrà l'effetto di moltiplicare odi, tensioni e instabilità, ma non vedo all'orizzonte una guerra mondiale».
Perché lo ha fatto Trump? Che strategia persegue? «Vuole andare al voto a novembre in un clima di tensione, creando una situazione in cui non si può cambiare il comandante in capo. Ma quando le ragioni della politica interna dominano quelle della politica estera allora la spiegazione è sempre una leadership in difficoltà».
Vi coglie quindi una debolezza? «Vi leggo una crisi di egemonia, per citare Gramsci. Del resto la crisi è evidente se si sostituisce la politica con i droni».
Qual è la prima conseguenza, per noi europei? «La vera novità a cui ci troviamo di fronte è che la comunanza di valori di Europa e America non c'è più. E gran parte dei guai, dall'insicurezza all'aumento del prezzo del petrolio, resteranno a noi. Siamo di fronte a un leader che attizza il fuoco e scappa. l'ultima cosa che ci si aspetterebbe da un alleato. Clinton nei Balcani intervenne, ma per risolvere il conflitto, qui Trump i conflitti li lascia in eredità agli altri».
Siamo sull'orlo di un conflitto in Medio Oriente? «Perché sull'orlo, scusi? Ci siamo già, e da tempo, in molte parti del Medio Oriente, in Siria, in Libia, in Iraq: guerre che provocano un enorme di Concetto Vecchio numero di morti. E quanto accaduto da un lato rende l'America inaffidabile e dall'altro rafforza il ruolo della Russia, perché è un Paese stabile che mantiene gli impegni che assume. Gli Usa hanno spezzato un patto con l'Europa. Obama, grazie all'accordo sul nucleare, aveva lavorato per favorire la componente più moderata dell'Iran; Trump l'ha rotto, avviando un'aggressione che avrà l'effetto di moltiplicare violenze e conflitti. Il risultato è disastroso. In Iran, infatti, sono emersi gli elementi più radicali. Soleimani, tra le altre cose, aveva contribuito a sconfiggere l'Isis. Ora l'Isis esulta».
Dove ha sbagliato l'Europa? «Non ha saputo difendere l'accordo sul nucleare offrendo una collaborazione economica all'Iran per fronteggiare gli effetti delle sanzioni americane. Il punto è che ogni Paese prova a gestire da solo i vari conflitti aperti».
L'Europa cosi è troppo debole? «Più che debole non è in grado di usare la propria forza, economica e militare. Il Medio Oriente ha bisogno dell'Europa, per ragioni economiche. Una ragione in più per convincere l'Europa a giocare un ruolo nella pacificazione, cercando di imporre dei compromessi. invece risorge il nazionalismo. Nel Novecento ha prodotto tragedie. Qui, come minimo, sta provocando impotenza. Ma è il momento di uscirne con un'iniziativa forte e unitaria per fermare la spirale di guerra».
Che tipo di iniziativa? «Immagino una missione dell'Unione Europea in grado di interloquire con i protagonisti per fermare l'escalation e costruire una soluzione nella quale gli attori fondamentali della Regione possano sentirsi garantiti».
Anche l'Italia non incide? «Sono anni che l’Italia non esercita un ruolo nella regione. In passato svolgemmo una funzione che portò alla pace tra Libano e Israele. Ma il nostro errore più grande è stato quello di non avere esercitato un ruolo in Libia per fermare il conflitto in corso: la nostra presenza, per evidenti ragioni storiche, era pure richiesta».
La sua mediazione nel 2006 per la pace tra Libano e Israele perché viene ricordata per la passeggiata con il deputato Hezbollah sottobraccio? «Perché siamo un Paese in cui spesso nel dibattito politico prevale la faziosità e l'ignoranza. Hezbollah all'epoca era al governo in Libano. Cosa bisogna fare per ripianare i conflitti se non dialogare con le parti in causa? La politica ha un senso se si ha una conoscenza di base dei fenomeni e degli attori in campo. E soprattutto devi sapere cosa fare. Avere un rapporto positivo sia sul fronte libanese che su quello iracheno è una garanzia per i nostri militari che sono lì per assicurare la pace e non per fare la guerra».
Come valuta l'operato di Di Maio da ministro degli Esteri? «Apprezzo le sue buone intenzioni anche se a volte sembra essere distratto dalle questioni di politica interna e dalle vicende del suo Movimento»
Nell'immediato quindi cosa rischiamo concretamente? «L'aggravarsi della crisi economica. Le difficoltà nelle quali ci dibattiamo sono in parte attribuibili anche al conflitto in corso in Medio Oriente, perché rallentano enormemente lo sviluppo, i traffici, ponendo enormi problemi di sicurezza. Purtroppo, rispetto all'enormità dei problemi in campo, va rilevata l'estrema povertà del dibattito pubblico».
Non siamo sempre stati più interessati alle vicende interne che a quelle estere? «Per niente. Nella Prima Repubblica l'Italia seppe tessere una politica estera intelligente in Medio Oriente, e in generale con il mondo arabo. Tra le tante cose negative che la furia antipolitica ha prodotto nel tempo c'è anche la perdita di questa grande tradizione».

AVVENIRE - Camille Eid: "l soldato-stratega lodato dalla stampa per aver sconfitto il mostro Daesh"

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Camille Eid

“Sono nato soldato e morirò da soldato». Questa promessa l'aveva fatta Qassem Soleimani all'ayatollah Ali Khamenei in una lettera diventata di dominio pubblico. Promessa che il generale aveva sempre mantenuto, ignorando l'invito dei suoi simpatizzanti a candidarsi alla presidenza dell'Iran, come avevano fatto diversi altri capi pasdaran. Come comandante della famigerata Brigata Gerusalemme (la Forza Più popolare del presidente Rohani, guidava la Forza Quds il Times l'aveva posto tra gli astri nascenti del 2020 Già nominato il successore: è il generale dl brigata Esmail Qaani, «uno dei più decorati» nella guerra contro l'Iraq Quds), la divisione speciale che si occupa delle operazioni extraterritoriali dei pasdaran, Soleimani non cercava altra notorietà. La sua nomina, decisa dall'ayatollah Khamenei, aveva dato a questo uomo proveniente da una famiglia di poveri contadini eccellenti possibilità di arrivare molto in alto. E Soleimani le ha sfruttate tutte per diventare, nel giro di Pochissimi anni, una figura seconda solo alla Guida suprema, tanto che era risultato in un sondaggio del 2018 molto più popolare tra gli iraniani dello stesso presidente Rohani, mentre il quotidiano The Times lo aveva collocato tra gli astri nascenti del 2020. In verità, l'ascesa del generale risale a molto prima, più precisamente al 2014, quando aveva promesso in una diretta televisiva di sconfiggere il Daesh in tre anni, allorché il gruppo jihadista sembrava invincibile dopo la proclamazione del Califfato. Nello stesso anno la rivista americana Newsweek gli dedicava una copertina che lo raffigurava con la sua solita espressione sobria, incorniciata dalla divisa verde e la barba grigia. «Prima combatteva contro l'America, ora sta schiacciando il Daesh», il titolo altisonante. Soleimani era giunto qualche mese prima in Iraq per assistere le milizie sciite locali nell'offensiva contro i jihadisti in base a una precisa strategia. «Dobbiamo - spiegherà in un'intervista - mettere in quarantena le nostre frontiere per aiutare i nostri vicini ed evitare che questo cancro (il Daesh, ndr) si diffonda nel nostro Paese». Nel corso di queste imprese militari, era diventato il proconsole di Teheran in una vasta area che si estende dall'Iraq al Mediterraneo, senza considerare il suo presunto ruolo in Afghanistan e Yemen. Dal ritratto tracciato da Marco Camelos, già ambasciatore italiano in Iraq, emerge un Soleimani «campione di strategia», «scoperto» un po' tardi dagli americani. Camelos rivela che solo nel 2008, ossia un decennio dopo la nomina di Soleimani a capo della Brigata al-Quds, il generale David Petraeus, all'epoca comandante statunitense in Iraq, ha confidato a Silvio Berlusconi di essersi reso conto «solo di recente dell'importanza di Soleimani nelle dinamiche del Medio Oriente». «Non sorprende quindi - commenta Camelos - che Soleimani sia stato in grado di muovere liberamente le sue pedine nella regione, sconfiggendo i suoi nemici». Circa l'interesse americano al personaggio, Camelos contesta la narrazione ufficiale. Il diplomatico italiano afferma, infatti, che furono gli americani a cercare di stabilire una relazione con gli iraniani. «Per oltre due anni a Baghdad, i funzionari statunitensi mi hanno chiesto più volte di trasmettere messaggi alle milizie sciite, e soprattutto di promuovere un dialogo diretto con le loro controparti iraniane. Ciò è stato sistematicamente respinto da due diversi ambasciatori iraniani con cui ho avuto a che fare, entrambi considerati membri dei pasdaran, e quindi agli ordini di Soleimani». Puro stratagemma oppure volontà sincera di dialogo? Non lo sapremo mai. Soleimani sapeva di essere nel mirino degli Stati Uniti e di Israele. Eppure, non stava, come al-Baghdadi, nascosto in un tunnel. Lo si vedeva spesso sui diversi fronti siriani e iracheni insieme ai soldati, con gli stivali sporchi di fango, oppure seduto per terra a bere tè, a mangiare, a pregare. Era nello stesso tempo inafferrabile, compariva e scompariva. «E spesso a Baghdad e nel nord dell'Iraq», aveva detto di lui un leader sciita iracheno. «Il governo lo sa benissimo. E intelligente. E anche un uomo appassionato di guerra. Sa di essere bravo in essa». Ieri Khamenei ha nominato il successore. Si tratta del generale di brigata Esmail Qaani, «uno dei comandanti più decorati» nella guerra contro l'Iraq, combattuta negli anni Ottanta. Toccherà ora a lui mostrare la sua bravura.

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