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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.01.2020 La fine di Suleimani: ecco perché è una svolta per il Medio Oriente
Commenti di Alberto Giannoni, Benny Morris

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Alberto Giannoni - Benny Morris
Titolo: «Antisemiti o sionisti, Israele divide i politici italiani - 'La mezzaluna sciita' da sempre la sua ossessione: armava lui Hamas e Hezbollah»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 04/01/2020, a pag.2, con il titolo "Antisemiti o sionisti, Israele divide i politici italiani", il commento di Alberto Giannoni; dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, con il titolo " 'La mezzaluna sciita' da sempre la sua ossessione: armava lui Hamas e Hezbollah", il commento di Benny Morris.

Ecco gli articoli:

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Qassem Soleimani con Ali Khamenei

IL GIORNALE - Alberto Giannoni: "Antisemiti o sionisti, Israele divide i politici italiani"

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Alberto Giannoni

Milano È una consacrazione definitiva, quel «grazie» che Matteo Salvini ha riservato a Donald Trump, ascrivendogli il merito di aver eliminato, col generale iraniano Qassem Soleimani, «un nemico dell'Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà». Quel «grazie» conferma che la Lega oggi è il partito più filo-israeliano forse d'Europa, contendendo il primato a Forza Italia, che è nata amica di Israele e degli ebrei tanto da aver guidato nel 1994 quello che a Gerusalemme fu definito «il governo più filo-israeliano» della storia italiana. Non si sbagliavano nella capitale ebraica: Silvio Berlusconi spostò davvero l'asse della politica estera romana, tradizionalmente filo-araba per volere della Dc. Berlusconi si rifaceva, in questo, più alla tradizione laica del Pli e dei repubblicani, convinti col padre fondatore Ugo La Malfa che la libertà dell'Occidente si difendesse «sotto le Mura di Gerusalemme». Fiaccolate, Israele day, sit-in: Forza Italia ha sempre coltivato questo rapporto speciale e Berlusconi ha proposto spesso di accogliere Israele nell'Ue, rilanciando una vecchia suggestione di Marco Pannella, storico amico di Israele che fece celebrare un Consiglio federale del Partito radicale a Gerusalemme e in ogni momento di tensione si faceva vedere al Portico d'Ottavia, cuore dell'ex «ghetto» di Roma, onorando una tradizione che partiva dal «Mondo» di Pannunzio e di cui resta traccia in «Più Europa». Umberto Bossi parlava raramente di Israele, ma una volta lo aveva fatto rammentando il nonno della moglie, l'impiegato varesino Calogero Marrone, «Giusto tra le nazioni» per aver salvato un gran numero di ebrei e poi morto a Dachau. Oggi Matteo Salvini tiene sul comodino una foto di Bibi Netanyahu e non perde occasione per mostrarsi filo-israeliano, al dì là di ogni possibile calcolo. E anche su questo i suoi lo seguono, senza remore. A Pontida è spuntata, altissima, la stella di David e in Lombardia - notizia di oggi - il gruppo del Carroccio prepara una mozione pro-Israele, per equiparare antisionismo e antisemitismo. Diversa è la storia della destra italiana. Giorgio Almirante da giovane era stato redattore alla «Difesa della razza». Eppure anni dopo, nel Msi (poi An) una linea filo-israeliana e aliantista si affermò convivendo con una filopalestinese. Toccò poi a Gianfranco Fini, da vicepremier, dichiarare solennemente l'infamia delle leggi razziali e il fascismo parte di un «male assoluto». Di questi filoni deve tener conto oggi la presidente di Fdi, Giorgia Meloni, meno filo-israeliana di Salvini. Tormentati anche i percorsi della sinistra. Tranne che nell'era di Bettino Craxi, assolutamente filo-israeliano era il Psi, soprattutto grazie a Pietro Nenni, grande estimatore di Golda Meir e di uno Stato che nasceva «socialista» e democratico mettendo in pratica l'eroico esperimento collettivista dei «kibbutz». Nonostante le ossessioni antisemite di Stalin, amico degli ebrei era agli inizi il Pci, ma dal 1967 le direttive moscovite prevalsero, aprendo una crepa drammatica segnalata dalla cacciata da «Paese Sera» del direttore Fausto Coen, redarguito da un capo dell'«Unità» che in un scatto d'ira arrivò a distruggere le matrici delle rotative nel giornale «gemello». Nel '67, nel corso di una tesissima veglia davanti al «tempio», l'architetto azionista Bruno Zevi accusò i comunisti di inerzia di fronte a un'Urss che «oltre a non aiutare Israele, istiga e arma i Paesi arabi che vogliono distruggerlo». I comunisti sono diventati pervicacemente ostili a Israele, e solo per opera di Piero Fassino e poi di Matteo Renzi il Pds-Pd è approdato a posizioni più equilibrate, mentre il mondo dei centri sociali e delle falci e martello oggi compete in antisemitismo con la destra estrema.

CORRIERE della SERA - Benny Morris: " 'La mezzaluna sciita' da sempre la sua ossessione: armava lui Hamas e Hezbollah"

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Benny Morris

A Gerusalemme e a Tel Aviv, sede del quartier generale della Difesa e dell'Intelligence israeliano, si è tirato un sospiro di sollievo, e ci si è scambiati forse troppi sorrisi quando è giunta la notizia che gli Stati Uniti erano riusciti, con un attacco mirato, a eliminare Qassem Soleimani, il leggendario capo delle forze Quds, unità delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Finora non ci sono state indiscrezioni su un possibile coinvolgimento israeliano nell'operazione. Le forze Quds, che operavano sotto il diretto comando di Soleimani sin dal 1998, gestiscono tutte le attività di intelligence, eversione e diffusione dell'ideologia rivoluzionaria khomeinista fuori dalla Repubblica islamica. Pare che nel 2008 lo stesso Soleimani avesse dichiarato a funzionari americani di «controllare di persona la politica iraniana riguardante Iraq, Libano, Gaza e Afghanistan». Da allora, sicuramente, avrà incorporato anche Siria e Yemen sotto la sua «giurisdizione», e con ogni probabilità sarà stato direttamente coinvolto nelle operazioni iraniane nel Golfo persico, come il sabotaggio delle petroliere straniere e le ripetute aggressioni contro gli impianti petroliferi dell'Arabia Saudita nel corso degli ultimi mesi. Dai leader politici di Teheran, Soleimani aveva ricevuto l'incarico ad ampio raggio di consolidare la «mezzaluna sciita», quella fascia di territorio sotto il controllo sciita che si estende tra Iraq, Siria e Libano e che garantisce all'Iran un corridoio di terra e d'aria verso il Mediterraneo. Questo significava che avrebbe potuto agevolmente piazzare forze militari terrestri e aeree direttamente sul confine Nord e Nord-Est di Israele: una minaccia esplicita. Durante gli ultimi cinque anni, l'Iran ha gradualmente installato basi militari in grado di formare, armare e dirigere forze sciite locali in una Siria devastata dalla guerra civile; ha armato inoltre l'organizzazione guerrigliera e terroristica sciita libanese, Hezbollah, e rifornisce le milizie (sunnite) di Hamas nella Striscia di Gaza. Secondo stime israeliane, Hezbollah oggi dispone di un arsenale di 13o.000 missili, composto in maggioranza da vecchi razzi Katyusha, ma non mancano missili più accurati a medio e corto raggio. Proprio come voleva Soleimani, questo è servito da deterrente per Israele, che dal 2006 non ha più attaccato Hezbollah — e serve ancora da deterrente. Secondo gli analisti più esperti, Soleimani è stato uno stratega di primissimo ordine e un architetto brillante di operazioni di intelligence ed eversione, abilissimo nell'organizzare il suo manipolo di fanatici delle forze Quds (pare che l'organizzazione disponga di un organico di sole 3.000 unità), che gestivano operazioni anti israeliane e anti americane sia in Medio Oriente che altrove. L'utilizzo di effettivi filo-iraniani è sempre stato il principio fondamentale delle Quds, e difatti nelle decine di attacchi dell'aviazione israeliana in Siria negli ultimi anni hanno perso la vita centinaia di combattenti sciiti locali, pochissimi iraniani. La morte di Soleimani con ogni probabilità non cambierà la politica iraniana in Medio Oriente. Il suo successore, o successori — ci vorranno forse diversi ufficiali per ricoprire tutti i ruoli riuniti nella sua persona — proseguirà nell'intento di rafforzare la «mezzaluna sciita», di trasformare l'Iraq in un vassallo dell'Iran, e di sostenere Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza. Ma qualcosa forse è cambiato, e drasticamente. Nei primi mesi del 2008, i servizi segreti israeliani erano riusciti ad eliminare Imad Moughniye in un sobborgo di Damasco, utilizzando un esplosivo sofisticato nascosto nella ruota di scorta del suo Suv. Moughniye, responsabile della morte di centinaia di americani e israeliani negli anni Ottanta e Novanta, era la mente dell'intelligence di Hezbollah e ricopriva un ruolo simile a quello svolto da Soleimani in Iran. Difatti, i due uomini avevano spesso collaborato e gestivano il contrabbando degli armamenti tra Teheran, Siria e Libano. A giudicare dal fallimento di diversi interventi di Hezbollah al di fuori dei confini libanesi dalla morte di Moughniye sembrerebbe che l'organizzazione non abbia ancora trovato un degno sostituto, anche dopo aver nominato un certo numero di ufficiali a capo dei vari settori di cui si occupava personalmente Moughniye. La stessa cosa potrebbe accadere in Iran dopo la scomparsa di Soleimani. I 23 anni da lui trascorsi alla testa delle forze Quds gli avevano dato una visione a tutto campo e una vastissima esperienza operativa che i leader di Teheran troveranno difficile da rimpiazzare a breve. L'eliminazione di questo personaggio potrebbe davvero aver salvato un gran numero di vite umane.
(traduzione di Rita Baldassarre)

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