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La Stampa Rassegna Stampa
29.12.2019 L'espansione islamica in Africa e il jihad del deserto
Analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 29 dicembre 2019
Pagina: 3
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Dal Mali al Burkina Faso i gruppi jihadisti arruolano pastori Peul e nomadi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/12/2019, a pag.3 con il titolo "Dal Mali al Burkina Faso i gruppi jihadisti arruolano pastori Peul e nomadi" il reportage di Domenico Quirico.

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Domenico Quirico

Prima regola: definire il terreno in cui si svolgerà la battaglia, e subito. Perché i jihadisti lo fanno, con metodo. Scelgono il luogo, regimi grondanti di unto, vischiosi, regimi da mangia e non lasciar mangiare gli altri; lo ispezionano, a lungo, anche le anime di chi ci vive; si mescolano, seducono, arruolano. Comunità contro società: funziona sempre. Quando scendono in campo e cominciano a uccidere sanno tutto. Noi arriviamo dopo, con il fiato corto, la bava alla bocca e ci schieriamo nell'affanno, a casaccio, con alleati dell'ultimo minuto, lerci o incapaci. I jihadisti pare prendano vigore semplicemente appoggiandosi alla terra. Chiediamoci perché. Allora vi descrivo il nuovo campo di battaglia, lo hanno scelto loro, il centro del Mali, le ambe dei Dogon così cari agli antropologi; ma già i confini dello scontro scivolano e si dilatano al contiguo Burkina Faso. Corrodono dall'interno i cordoni sanitari che dovrebbero contenerlo. Centinaia di chilometri di onda di piena islamista che schiuma, gli argini mal vestiti da alleati locali gracili e sonnolenti. E il nostro sguardo che si sforza di non vedere. La radio descrive un massacro di Natale, l'ennesimo, nel Burkina Faso, decine di morti. La caccia ai cristiani, uccidono il Bambinello. Lo hanno già ammazzato una volta. Da noi sarà una notizia, una delle ultime, nei telegiornali.

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Un villaggio Dogon nel Mali

II campo di battaglia Dall'alto della «falaise» dei Dogon si percorre questo campo di battaglia nella sua ampiezza sterminata. sembra un fortilizio inespugnabile: non c'è che dire, hanno scelto bene. Un Paese roccioso e tormentato tra montagne a picco, pianure, deserto, e altopiani. Queste terre sono in debito con noi, anzi con la Francia. In finta ritirata, al momento delle indipendenze, Parigi le ha sistemate unendo in modo artificiale nomadi con contadini, neri con tuareg, speculando proprio come un debitore accortamente insolvente, sicuro che dovranno continuare a lasciargli credito e potere. Dopo Segou finisce il Mali dei bambara, dei mandingo. La strada sale verso Mopti e Konna, inizia la terra dei Peul, nomadi e pastori. Terra insicura, terra di nuovo jihad. Il fiume Niger con verzura scarmigliata la divide e la salva dal deserto in una lotta eterna, gigantesca e teatrale. L'altopiano dei Dogon è invece arido, sassoso, corroso, tutto porta il segno di una erosione infinita. Il paesaggio specchia la vita dura degli abitanti, solo il sudore dell'uomo riesce a render verdi le rocce.

Il reclutamento In questo scenario percorso da mille conflitti secolari e contemporanei, hanno pensato i jihadisti, si possono trovare rivoluzionari perfetti e vittime altrettanto designate e incoercibili. Perché noi crediamo che cerchino uomini fragili da modellare come creta, che non offrano resistenza. Non è vero. Cercano uomini di ferro come i pastori Peul, gente che cammina ignorando le frontiere, ama la sua vita povera, ardua, anche temeraria, il cui senso è garantito anche da Allah; che trova fratelli, sono nove milioni, in tutta l’Africa centro occidentale, giù fino alla savane della Nigeria e del Senegal. La loro origine è più misteriosa di quella dei tuareg, hanno fondato imperi, li hanno perduti, musulmani, conoscono già possenti teocrazie. Ancora a metà ottocento Handallahi era la loro Mossul. Nel 2012 l'offensiva jihadista si fermò al fiume, erano uomini del deserto quelli, tuareg. Arruolando i Peul lo ha scavalcato. Dilaga oltre. Avete mai sentito parlare di luoghi come Komokani, Ibi, Banani, Guimini, Kassongo? certo no. Sono villaggi dei Dogon seduti imprudentemente sul fianco della falesia o rannicchiati tra alcune enormi rocce, in pianura o sull'altopiano. Se arrivate dalla strada che sale a Mopti a prima vista pensate che siano disabitati, dei siti preistorici scoperti da poco. Tutto ha il colore della terra, le rocce, le case, anche i radi uomini. Come un bulbo di cemento, qua e là, scoprite una chiesa cristiana o una moschea. Estranee in questo mondo così uniforme. Dio qui si chiama Amma, vive in ogni cosa, per essere onorato gli basta, parco come i suoi fedeli, un altare di pietra o l'anima profonda di ogni Dogon. Si sono rifugiati qui per non essere convertiti, di forza, all'Islam. Da qualche tempo Amma ha paura. Perché sulla «falaise» ha fatto irruzione la guerra. La festa del ringraziamento, per il raccolto di gennaio, quest'anno forse non ci sarà: ci sono morti, miseria, dolore. Colpa di un altro dio più palpabile e feroce. Il dio della vendetta e della guerra santa. Sotto il «toguna», la casa della parola, gli anziani, con voci pensose, lente, antiche ci raccontano storie brutali: villaggi assaliti, dati alle fiamme, uomini e donne scannati o bruciati vivi. Io diffondo la morte, dunque sono: riconoscete il cogito integralista? Chi studia come nasce il jihad universale del terzo millennio, come dalle sabbie spuntino i califfati, dovrebbe salire qui, ascoltare i racconti degli anziani. ritroverebbe in perfezione lo schema che i mafiosi della guerra santa hanno applicato in molti altri luoghi, dalla Nigeria alla Somalia. Non hanno bisogno di ricorrere alla satanizzazione dell'Occidente. Quella verrà poi. Per accendere la miccia basta un conflitto locale, anche minuscolo, che non ha nulla a che fare con dio, la teologia, il rito e la palingenesi universale. Cause concrete, brutali: invasione dei campi con il bestiame, antiche liti di pascoli, l'uso dei pozzi, antipatie etniche vecchie di secoli. Lavoratele, allargatele, dovete saper scaldare gli odi latenti o tiepidi, giocate sui miscugli di tradizione e modernità, date alle vendette, poco a poco, l'impronta di dio. Peul e Dogon litigano da sempre per i passaggi del bestiame, i campi danneggiati, qualche bestia sparita: una volta gli anziani si incontravano, discussioni con la grazia pigra e saggia del discorso paesano, si trovava un accordo. Oggi i Peul radicalizzati attaccano, bruciano. Tra i Dogon nascono squadre di autodifesa. Perché l'esercito non c'è, lo Stato corrotto e lontano, è scomparso. Ecco, i giorni correnti sono tutti stampati di sangue, c'è un martire quotidiano per la propria parte, si preparano reliquari di segno opposto, gli Stati diventano due, quattro negli stessi confini. E’ fatta: quel luogo è vostro. L'integralista conosce solo un mondo intrinsecamente perverso, da lavorare con una universale malvagità prima di portarlo alla pace. Nel villaggio Dogon stasera splende un desolante pieno di luna. Le capanne bruciate, splendono contro luce, travi, speroni di muri intrisi di storie di cui non c'è più che un'orma. Ora i cani abbaiano irosi dappertutto. L'oscurità se ne colma. I cani sono sacri, uno di loro quando arrivarono, stremati, sull'altopiano, li salvò scoprendo un pozzo. Gli attacchi li hanno segnati. La notte non placa nulla. Accanto alle reliquie del villaggio il coro non ha tregua, muso alla luna, il bagliore dei denti.

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