Stato liberale, tribù, sovranismo Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Stampa Data: 29 dicembre 2019 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Il bivio dello Stato liberale»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/12/2019, a pag.1, con il titolo "Il bivio dello Stato liberale" l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
SE i primi venti anni del XXI secolo hanno avuto come protagonista la crisi dello Stato liberale, il decennio che sta per iniziare porta con sé l'interrogativo sul possibile riscatto delle istituzioni democratiche e ció passa attraverso il bivio fra tribù e comunità. La crisi dello Stato liberale nasce su impatto della globalizzazione, ovvero il progressivo abbattimento delle frontiere che fa percepire una diminuzione di sicurezza e prosperità ai cittadini delle democrazie avanzate a causa dell'aumento di migranti e diseguaglianze. Tale processo ha portato a un crollo di fiducia nelle istituzioni dello Stato liberale - la democrazia rappresentativa - e alla riaffermazione delle tribù ovvero l'aggregazione dei cittadini attorno a gruppi, leader e messaggi identitari basati soprattutto sull'avversione verso qualcuno: i politici, la casta, gli imprenditori, le minoranze, gli stranieri, i migranti o chiunque non condivida al mille per mille i propri interessi nella versione più estrema. Tale dinamica tribale è stata esaltata dall'uso dei social network e ha portato a fenomeni di protesta - populista o sovranista - che tengono oggi banco in forme diverse in Europa, Nord America e America Latina.
La copertina
L'interrogativo con cui si apre il nuovo anno e decennio è se questa ondata popular-sovranista, di stampo tribale, porterà a una reazione uguale e contraria sul modello di quanto descritto dall'economista dell'Università di Chicago Raghuram Rajan nel suo ultimo libro "The Third Pillar" (Il terzo pilastro), dove spiega che l'equilibrio fra Stato e mercato si deve alla presenza di "comunità" forti, consolidate e rappresentative. Ovvero, ciò che consente di tenere assieme istituzioni governative e mercato vibrante è una società basata su gruppi e associazioni che aggregano gli individui sui valori che più lì identificano. Ciò che distingue queste "comunità" è essere il pilastro di un sistema democratico ovvero l'esatto contrario delle "tribù" che tendono invece ad affossarlo. Alla base di tale distinzione c'è l'idea stessa di Stato liberale: in un sistema democratico dove le istituzioni governano e il mercato crea prosperità sono le comunità a custodire i valori mentre in un sistema dove il governo è corrotto e il mercato impoverisce sono le tribù a imporsi trasformando i valori in una clava che moltiplica i conflitti. Ad arrivare a una conclusione coincidente sono l'economista del Mit di Boston Daron Acemoglu e il politologo di Chicago James Robinson nel loro volume "The Narrow Path", appena uscito negli Stati Uniti, dove spiegano che "il destino della democrazia liberale" è legato alla capacità dello Stato di percorrere il "sentiero stretto" fra "garantire sicurezza" e "tutelare le libertà" dei singoli. L'immagine a cui ricorrono per descrivere tale scenario è quella di un "Leviatano incatenato" ovvero sufficientemente forte per proteggere ma anche limitato al punto da poter garantire spazio alle libertà dei cittadini. Lasciando così l'opportunità alla società civile - questo è il punto di incontro con il pensiero di Raghuram Rajan - per svolgere un ruolo da protagonista attraverso comunità capaci di trasformarsi nella spina dorsale di una rinnovata democrazia. Lì dove "comunità" coincide con i valori prevalenti in ogni singolo Stato: fede, cultura, storia, tradizioni, idioma o altro. Se tutto ciò ci riguarda è perché guardando bene all'Europa, e anche all'Italia, il confronto fra tribù e comunità è cristallino di fronte ai nostri occhi. Le tribù sono quelle di chi si aggrega contro il prossimo: i gilet gialli contro Parigi, i sovranisti contro i migranti, i suprematisti contro ebrei e musulmani, i populisti contro imprenditori e borghesi. Le comunità invece si uniscono attorno a bisogni condivisi: difendere il clima, garantire i diritti digitali, creare nuovi lavori, innovare gli studi, integrare le diversità. Insomma, il duello fra tribù e comunità appare solo all'inizio ma già si profila come un indicatore strategico della salute delle democrazie avanzate.
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