Iran, come funziona la repressione: già oltre 1500 morti nelle proteste contro il regime Commento di Gabriella Colarusso
Testata: La Repubblica Data: 24 dicembre 2019 Pagina: 16 Autore: Gabriella Colarusso Titolo: «Iran, la repressione degli ayatollah: '1.500 morti nelle proteste di piazza'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/12/2019, a pag.16, con il titolo "Iran, la repressione degli ayatollah: '1.500 morti nelle proteste di piazza' ", il commento di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
La protesta continua per le strade di Baghdad
La repressione delle proteste di novembre in Iran è stata brutale e il numero delle vittime potrebbe essere molto più alto di quello finora certificato dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Un'inchiesta pubblicata ieri dalla Reuters parla di circa 1.500 persone uccise, tra cui 17 adolescenti e 400 donne. L'agenzia inglese cita tre fonti anonime del ministero dell'Interno iraniano e un quarto funzionario. A dare l'ordine di «fare tutto il necessario» per sedare le rivolte sarebbe stata direttamente la Guida suprema, Ali Khamenei, in una riunione con i più alti responsabili della sicurezza a cui avrebbe partecipato anche il presidente Hassan Rouhani, che guida un governo considerato espressione dell'ala più moderata del regime. «L'ordine ha dato il via alla più sanguinosa repressione dei manifestanti dopo la Rivoluzione islamica del 1979», scrive Reuters. «Non possiamo commentare il report che cita persone che lavorano al ministero dell'Interno e informazioni delle forze di sicurezza, degli ospedali e dei medici legali», spiega da Londra Nassim Papayianni, ricercatrice del team Iran di Amnesty International. «Non abbiamo accesso a fonti interne al governo, le nostre ricerche si basano sui report che riceviamo dall'Iran e che verifichiamo. Finora possiamo confermare che i morti sono stati almeno 304, ma crediamo che il bilancio sia più alto e stiamo indagando per verificare le notizie di altre vittime». Il Consiglio supremo di sicurezza nazionale dell'Iran ha smentito l'inchiesta della Reuters: «Falsa propaganda», frutto di una «guerra psicologica», una «storia americana» — rispolverando le teorie cospirazioniste di una regia americana dietro le proteste — ma senza fornire un bilancio certo delle vittime. Le proteste sono scoppiate il 15 novembre scorso: l'aumento del prezzo della benzina ha fatto da detonatore a una rabbia diffusa contro la corruzione e l'inefficienza del governo, accusato di spendere soldi per le operazioni militari nella regione — in Libano, Siria, Yemen — e non per dare servizi dignitosi ai cittadini. Alcuni manifestanti hanno attaccato banche e uffici governativi e la sera del 17 novembre hanno dato fuoco alle immagini di Khamenei, che in Iran ha il controllo su tutte le decisioni che riguardano la sicurezza e gran parte di quelle politiche: l'ayatollah ha fatto subito capire che aria tirasse definendoli «banditi». Per una settimana il governo ha bloccato Internet e così le notizie sui morti sono cominciate a trapelare solo verso la fine di novembre. «Crediamo che le persone arrestate siano migliaia e temiamo che vengano torturate o costrette a confessioni forzate poi usate contro di loro nel processo: già ne sono apparse su alcune televisioni di stato», spiega Papayianni. Le testimonianze raccolte da Amnesty raccontano anche di famiglie che hanno subìto pressioni dalle forze di sicurezza per non parlare con i media o fornire versioni false sulla morte dei loro cari: «In un caso almeno ci hanno raccontato che è stato detto loro di dire che la vittima era morta in un incidente stradale». Farnaz Fassihi, però, che per il New York Times si occupa di seguire cosa accade in Iran e ha raccontato la repressione del regime, solleva dubbi sulle cifre fornite da Reuters. «Può qualsiasi altro giornalista indipendente o qualsiasi organizzazione per i diritti confermare i numeri di Reuters? Io non ci sono riuscita — ha scritto su Twitter - e anche il Dipartimento di Stato ha gonfiato i numeri», riferendosi alle dichiarazioni dell'inviato speciale Usa per l'Iran, Brian Hook, che per primo aveva parlato di più di 1.000 morti. Sul coinvolgimento diretto di Khamenei nella gestione della repressione invece sembrano esserci pochi dubbi. Il 3 dicembre è stato proprio un alto funzionario delle guardie rivoluzionarie iraniane, Yadollah Javani, a dire pubblicamente che se non fosse stato per «l'intervento tempestivo» del leader supremo, non sarebbe stato possibile «mettere fine alle proteste».
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