Elie Wiesel - Tutti i fiumi vanno al mare - E il mare non si ri
ELIE WIESEL
"Tutti i fiumi vanno al mare - E il mare non si riempie mai"
Ed. Bompiani - € 9,50
"Ricordarsi, che cosa vuol dire? Far rivivere un passato, illuminare volti e avvenimenti di una luce bianca e nera, dire no alla sabbia che ricopre le parole, dire no all'oblio, alla morte." Ecco perché, a sessantacinque anni, Elie Wiesel decide di scrivere le sue mernorie, di ripercorrere la sua vita, dall'infanzia felice a Sighet, piccola città dei Carpazi, dall'orrore dei campi di sterminio dove ha lasciato il padre, la madre, la sorellina dai capelli d'oro e di sole, alla sua sopravvivenza, come lui la chiama, prima in Francia, poi in giro per il mondo, infine negli Stati Uniti. Una sopravvivenza in cui grazie anche al mestiere di giornallista assiste ai grandi avvenimenti degli ultimi trent'anni, conosce personaggi importanti e capi di stato, ha amici come Primo Levi e François Mauriac, incorre in curiose avventure. Autore di numerosi romanzi pubblicati in Italia, difensore delle vittime, dei sopravvissuti, degli oppressi, premio Nobel per la pace, Elie Wiesel ci dimostra come, pur senza mai dimenticare, pur con ferite irrimarginabili, pur continuando a lottare tra dubbio e fede, si possa ancora guardare avanti, si possa credere nell'amicizia, nell'amore, nella pace. In una parola, nell'uomo.
E' la bellissima testimonianza di un ragazzo che viene da Sighet, che da giovane si innamora della Kabbalah, che vede incenersirsi a poco a poco il suo mondo e con esso le cose in cui credeva, che conosce la deportazione e il terrore di essere al mondo, che viene accolto in Francia, che si appassiona alla storia della nascita di uno stato-risarcimento per i torti millenari subiti dal suo popolo, Israele. Diventa insegnante, gira il mondo per testimoniare il sesto senso ebraico, la memoria, partecipa ai timori e alle paure e all'ansia che quello stato possa scomparire nelle innumerevoli guerre in cui è coinvolto. Scrive, imbastisce anche un virtuale processo a Dio a Shamgorod, vince il Nobel per la pace, si entusiasma per la sorte dei refusnik russi, degli ebrei a cui non era permesso fare alijah sotto il regime sovietico. E' la storia di questo secolo e con esso del passaggio nella "porta della speranza", petaq tiqva.
"Diventerò militante. Insegnerò. Condividerò. Testimonierò. Rivelerò e allevierò la solitudine delle vittime." Queste sono le sfide che si lancia Elie Wiesel. I luoghi in cui regnano la guerra, la dittatura, il razzismo e la segregazione determinano la geografia del suo impegno e, di giorno in giorno, la sua storia: ex Unione Sovietica, Medio Oriente, Cambogia, Sudafrica. Conferenze, dichiarazioni, interventi: per lo scrittore dell'angoscia e del dubbio, la parola diventa un'arma. Egli denuncia la liberazione da parte della Francia del terrorista Abou Daoud, la visita del presidente Reagan al cimitero militare tedesco di Bitburg, le ambiguità di Mitterrand, di Walesa e di Simon Wiesenthal. E combatte quegli intellettuali inquisitori che parlano dei 'dividendi di Auschwitz', quei produttori per i quali l'Olocausto è un pretesto per fare spettacolo, quella intellighenzia che semina malintesi fra Israele e la Diaspora. Con il Premio Nobel per la pace arrivano la celebrità, gli onori, le disillusioni. E talvolta la solitudine, nonostante la presenza, nel cuore dei sogni, della famiglia scomparsa, nonostante l'affetto degli studenti di New York, di Boston o di Yale, nonostante la cerchia degli amici e l''Ahavat-Israel', l'amore per Israele. "Tutti i fiumi vanno al mare, e il mare non si riempie mai." Eppure, come potrebbe l'adolescente miracolato di Buchenwald rinunciare al suo ruolo di testimone e difensore dei diritti di tutti gli uomini?