Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 20/12/2019, a pag. 12, con il titolo "Anche sotto falso nome Singer duella con Dio", la recensione di Fulvio Panzeri.
Fulvio Panzeri
La copertina (Adelphi ed.)
Non sembrano essere del tutto chiusi i conti con l'opera di un grande del Novecento del calibro di Isaac Bashevic Singer visto che riesce a riservarci ancora sorprese, a distanza di quasi trent'anni dalla sua morte, avvenuta nel 1991. Infatti da ciò che lo scrittore probabilmente aveva messo da parte, pur pensando a un'eventuale futura pubblicazione, affiorano testi che risultano fondamentali per una rilettura più approfondita o per un confronto con altri suoi romanzi. Lo sta a dimostrare il prezioso lavoro di riscoperta che ha intrapreso la casa editrice Adelphi, recuperando opere che erano rimaste in forma di dattiloscritto negli archivi e che possiamo a ragione considerare non certo minori, ma alla pari, come valore, dell'opera conosciuta. Si tratta di romanzi che Singer aveva pubblicato a puntate su un quotidiano yiddish di New York, nella seconda metà degli anni Sessanta, utilizzando uno pseudonimo, quello di Ytzkhok Warshawski, con il quale ha firmato anche numerosi pezzi giornalistici. La motivazione per cui non aveva usato il proprio nome era quella di distinguere una produzione che, negli intenti dello scrittore, voleva essere più popolare, ma si sa che l'esito e la riuscita di un'opera non sempre dipendono dal carattere che vuole imprimergli l'autore e che la grandezza può rivelarsi anche in progetti meno ambiziosi. Se ne era accorto lo stesso Singer che, in più di un'occasione, aveva sottolineato come quella linea di demarcazione che lo pseudonimo intendeva porre, in effetti, poi non abbia retto. Scrive Elisabetta Zevi, curatrice in modo egregio di questi recuperi: «Il confine tra l'"ego differente" cui inizialmente intendeva attribuire la sua produzione "popolare" e lo scrittore Isaac Bashevis ha finito col tempo per farsi meno chiaro, sino quasi ad annullarsi». E al grande yiddishista Chone Shmeruk lo stesso Singer, nel 1973, diceva: «All'inizio Warshawski scriveva "pezzi più leggeri", ma poiché i nomi appartengono alla stessa persona, lo stile dell'uno si è fuso con quello dell'altro... Direi che Warshawski fa un po' meno attenzione all'uso della lingua». Da qui la sorprendente riscoperta che arriva a distanza di più di cinquant'anni, ora per la prima volta pubblicato in volume, de Il ciarlatano, nell'ottima traduzione di Elena Loewenthal, uscito a puntate, tra il 1967 e il 1968, una sorta di commedia ebraica che alterna il tragico e il comico, romanzo che è in linea con i temi del miglior Singer, anzi va nella direzione di quella rilettura dei caratteri della cultura yiddish che è al centro della sua opera. Nel discorso per l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1978 aveva detto: «La mentalità yiddish non è altezzosa. Non dà la vittoria per scontata. Non pretende né intima ma si arrabatta, sguscia, passa di straforo tra i poteri della distruzione, sapendo intimamente che il piano di Dio per la Creazione è soltanto al suo principio». In questa dichiarazione è possibile leggere lo spirito, portato al parossismo, che anima questo suo romanzo riscoperto, Il ciarlatano«, incentrano sulle contraddizioni di un uomo, Hertz Minsker, arrivato dalla Polonia Negli Stati Uniti, a NewYork, con il suo bagaglio di conoscenze che non riesce a mettere a frutto, che vanta legami con Jung e Martin Buber, che da quarant'anni vuole scrivere un libro, ma è ancora fermo al primo capitolo.
Isaac B. Singer
Vive di espedienti, in una camera in affitto, aiutato economicamente dall'amico immobiliarista Morris Kalisher, ebreo devoto e benestante, che lui ripaga ingannandolo, tradendolo con la moglie Minna, poetessa dalle molte velleità. Non sarà l'unica donna con cui ha a che fare, perché l'eros è una sorta di attrazione fatale, un peccato senza pentimento: ci sono anche la sua compagna Bronia, che a Varsavia ha lasciato il marito e due figli, a cui si aggiunge — , a completare il quadro da commedia dai risvolti a volte farseschi — Miriam, una giovane che viene assunta dalla padrona di casa, che fa la medium, per rendere più credibili le sue sedute. Anche questo dello spiritismo è uno degli aspetti che ritornano spesso nell'opera di Singer, che qui riesce a rendere ancor più credibile quel carattere di dissoluzione-finzione che viene affidato al protagonista. In questa America degli anni Quaranta, in cui è ambientato il romanzo, sullo sfondo si legge anche il tragico della Storia, la ferita che stanno subendo l'Europa abbandonata e il popolo ebraico: così l'equivoco e il tradimento, l'umorismo e il melodramma, il tragico intessono una vicenda narrativa che chiama in causa anche gli aspetti più fortemente religiosi della cultura ebraica, mettendo a confronto quelli di osservazione più ortodossa, ma soprattutto quelli di scetticismo, se non di negazione. Il protagonista, per esempio, si chiede: «Pentirmi? Ma con chi? Esiste un Dio, questo sl, ma è completamente diverso da come lo descrivono. Disperato e umiliato, non coglie più il senso delle cose». E un modo forse per distogliere lo sguardo dalle sue incompiutezze, per leggere la sua esperienza nel segno della vanità di tutto: «La vita, la morte, l'amore non erano che congetture. Forse la creazione era solo un gioco — una grossa bolla di sapone soffiata da un gigantesco bambino...».
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