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La Stampa Rassegna Stampa
16.12.2019 Gli azionisti antifascisti a Parigi
Recensione di Mario Baudino

Testata: La Stampa
Data: 16 dicembre 2019
Pagina: 35
Autore: Mario Baudino
Titolo: «La festa mobile degli azionisti»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/12/2018, a pag.35, con il titolo "La festa mobile degli azionisti" il commento di Mario Baudino.

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Mario Baudino

Risultati immagini per Anni di Torino, anni di Parigi
La copertina del libro di Aldo Garosci

Anche gli azionisti, qualche volta, si divertivano. A modo loro, va da sé, ma la tradizionale immagine di intransigenza, moralismo e persino durezza che è stata cucita loro addosso è tutto sommato una semplificazione brutale. «Duri» lo erano: antifascisti senza incertezze quando il fascismo sembrava imbattibile, liberalsocialisti alla scuola di Gobetti, attenti alla sinistra comunista in nome della lotta alla dittatura ma distanti e distinti. Combatterono in Spagna, e nella Resistenza con le bande di Giustizia e libertà, pagarono un altissimo prezzo di sangue. Fondarono il Partito d'Azione e vennero duramente sconfitti alle prime elezioni del dopoguerra, divenendo però nella diaspora tra altre forze politiche uno stimolo culturale importantissimo nella vita della Repubblica. La loro lezione è ancora intatta. Il ricordo della loro vita reale e quotidiana balugina di tanto in tanto, attraverso saggi, romanzi (come quelli di Carlo Levi) o epistolari e diari. Uno di questi è una scoperta recente: è Anni di Torino, anni di Parigi, diario inedito del periodo giovanile anteguerra di Aldo Garosci, appena pubblicato (per la Nuova Editrice Berti) a cura di una illustre francesista come Mariolina Bertini, con prefazione di Giovanni De Luna. Garosci (Meana di Susa 1907-Torino 2000), che è stato un importante storico di formazione crociana, ma anche un giornalista pugnace - e soprattutto in età matura fiero critico del sistema sovietico -, si ritrovò giovanissimo fra gli Costretto dall'amico Carlo Levi a fare da terzo incomodo tra lui e una ballerina animatori della rete torinese di Giustizia e Libertà; dopo la prima retata del '32 riparò in Francia, si batté nella guerra civile spagnola e con l'invasione tedesca trovò rifugio in America, per rientrare in Italia negli anni della Resistenza: una vita di politico e combattente, e non solo di studioso. Questo suo testo venne in parte pubblicato in ricordo del grande amico Carlo Levi (Torino 1902 - Roma 1975) ma in una versione molto severa. L'originale, invece, dà fiato all'atmosfera incantata che aveva per un giovanotto di 26 anni la capitale francese, Tra il Quartiere Latino e i Giardini del Lussemburgo, nei ristoranti a poco prezzo dove Levi disegnava sulle tovaglie, o nello studio del pittore fra i ritratti spesso criptici e ironici degli amici - lui compreso in Garosci con giaccone, e del tutto misterioso in L'eroe cinese, dipinto nel '32, nei primi mesi parigini dei due. Ma c'erano anche le cameriere simpatiche (e gli azionisti ci scherzavano volentieri, magari chiedendo loro che cosa stessero leggendo: leggevano davvero, una volta la risposta fu Zola), gli abbigliamenti poco convenzionali, la bohème, qualche amore, qualche intrigo innocente: come quando Levi non voleva restare da solo con l'affascinante Vitia Gourevitch, nata a Odessa e cresciuta a Torino nella cerchia di Gobetti, sposata con un commerciante lettone per volere del padre (e destinata a diventare la compagna di Lionello Venturi). Ebbene, arrivata anche lei a Parigi, a causa di una certa malattia «che lo abbatteva alquanto, Carlo non desiderava rimanere, fino a che fosse guarito, solo con Vitia; e io dovevo figurare l'amico rustico e involontariamente indiscreto che si trova a chiacchierare in camera prima che giunga l'ora "de cinq à sept" dell'intimità, e, infervorato dei suoi argomenti, vi resta fin oltre il momento nel quale la visitatrice deve andarsene». Quale fosse il problema, non sappiamo. Questi bozzetti sorridenti sono l'asse portante del ricordo, in una vita da cospiratori che non si annullava nella cospirazione. Parigi fremeva. Trionfava la trasposizione cinematografica (nel capolavoro di Pabst) della brechtiana Opera da tre soldi, nei circoli della Rive Gauche si proiettavano i film russi della rivoluzione tra l'entusiasmo degli spettatori. «Ma che genere di entusiasmo era? Non credo che nessuno sia uscito da quella Corazzata Potëmkin più deciso a farsi mettere ai ferri per una carne coi vermi servita col rancio» annota lo storico: quel cinema, ormai, «celebrava il passato e non un futuro». E forse era noioso? Garosci non lo dice esplicitamente - mica è Paolo Villaggio - ma non nasconde ben altro per Ragazze in uniforme, pellicola espressionista tedesca considerata la prima nella storia a tema lesbico (visto in una sala dove «poteva accadere di scorgere accanto a sé nell'intervallo occhi lucidi e mani femminile intrecciate»): in cui ravvisava «gli ultimi riflessi della libertà romantica»: quella che si presenta «con l'autorità dell'immagine e la suggestione del sesso». Ignorava che era stato premiato alla prima mostra del cinema di Venezia, aggirando la censura. Ricorda però che «la mescolanza di barocco e di espressionistico con il messaggio sociale non era la mia specialità». Quanto a Brecht, nonostante Jenny dei pirati, l'azionista Garosci era politicamente assai critico: quei rivoluzionari che pretendevano di contrapporre a Hitler «un sentimento di tipo brechtiano, di rivolta contro la rispettabilità», commettevano, osserva, un grave errore. La condanna si attenua però sul piano del sentimento, perché riandando a quel tempo conclude che sì, il «sentimento della libertà» risultava «avvelenato», ma anche reso più intenso «con la dolcezza della vita che lo accompagna e che di rado si percepisce».

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