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La Stampa Rassegna Stampa
13.12.2019 Algeria alle urne: scontri, boicottaggi, astensione
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 13 dicembre 2019
Pagina: 10
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Scontri, boicottaggi e astensione. È resa dei conti tra le due Algerie»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/12/2019, a pag.10, con il titolo "Scontri, boicottaggi e astensione. È resa dei conti tra le due Algerie" l'analisi di Francesca Paci.

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Francesca Paci

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L'Algeria va al voto

«Ho combattuto contro i francesi e oggi voto per dovere di patria, ma ho votato scheda bianca». Ottantasei anni, passo deciso, Zohra esce dalla cabina elettorale della scuola Mohammed Allik, il seggio nel cuore della benestante Hydra, sulle alture di Algeri, dove dopo di lei arrivano l'ex ministro dell'interno Zerhouni e il candidato presidente Benflis, investito negli ultimi giorni dalle polemiche per un collaboratore «troppo amico» di Parigi. L'Algeria, guidata dal Capo di Stato Maggiore Gaid Salah, va al voto in ordine sparso per eleggere il successore del deposto Bouteflika. Da una parte c'è il richiamo del governo, pago di un'affluenza ufficiale oltre il 33%, e dall'altra il boicottaggio del movimento per la democrazia, l'hirak, che da 10 mesi chiede «uno Stato civile e non militare». Le urne e la piazza, i due fronti di un Paese che spinge dal basso per sostituire la legittimità storica, invecchiata male nelle mani del «pouvoir», con quella politica di un popolo giovane, 42 milioni di abitanti di cui il 70% under 35. Un Paese enorme, ricco di petrolio ma costretto a venderlo e reimportarlo lavorato, dove le riserve straniere sono crollate da 200 a 50 miliardi di dollari in 5 anni e i ragazzi, cresciuti tra la repressione e il trauma della guerra civile, emigrano non tanto per la disoccupazione (12%) quanto per il mal di vivere. «Da quando è iniziata la rivoluzione ci sono meno partenze in mare, la gente ha speranza ma chiunque sarà presidente dovrà tenerne conto, dovrà sciogliere il parlamento e liberare i detenuti politici» nota il giornalista Amar Lachemout, 45 anni. Un corteo massiccio sfila su viale Didouche verso la Grande Poste, si scontra con la polizia che manganella le prime file, si ricompatta, lancia rose agli agenti, «Indipendenza!». Per tutta la giornata la capitale e il Paese marciano su binari paralleli. Il centro di Algeri con le strade ribelli e i seggi vuoti di Ibn Rachik e al Ommoume, dove votava il segretario del partito dei lavoratori Louise Hannouche, in cella come altri attivisti, vignettisti, 130 detenuti secondo la Lega algerina per i diritti umani. I quartieri popolari di Bir Morad Rais, Bab el Oued, palazzoni, zero proteste, gli elettori della stabilità: uomini soprattutto, tra 30 e 60 anni, sostenitori del favorito indipendente Abdelmadjid Tebboune. E poi, fuori, seggi chiusi e scontri duri in Cabilia, arresti, accuse reciproche d'intelligenza con la Francia, in pessimi rapporti con Gaid Salah ma considerata dalla piazza il grande orologiaio del regime. «Non ci fermeremo, vogliamo una road map inclusiva per uscire dai clan e tornare alle istituzioni» ragiona Zubeida Assaoul, leader dell'Ucp, uno dei partiti dell'opposizione che si è sottratta al voto non riconoscendone le procedure prima ancora dei 5 candidati. Una forza e una debolezza. L'hirak è determinato ma non ha capi, perché, spiega l'attivista Laila Baratto, «la politica è screditata e chi vorrebbe impegnarsi teme di esservi associato». Con il buio, mentre la polizia disperde i manifestanti, il presidente dell'Autorità indipendente per le elezioni Chorfi celebra il voto «trasparente». Il risultato sarà una virgola, non un punto. È molto probabile un secondo turno tra il candidato islamista Abdelkader Bengrina (ieri sera era al 29%, risultati parziali) e Tebboune (l 37%). Nonostante le pesanti condanne a politici vicini a Bouteflika, il governo provvisorio, alias il Capo dell'esercito, non ha placato la rabbia popolare e ha fretta di restaurare se non la legittimità almeno la legalità di un presidente eletto, ancorché da pochi.

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