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Diego Gabutti
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Il neofascismo in Italia 10/12/2019
Il neofascismo in Italia
Commento di Diego Gabutti


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Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana 1943-1953, Le Monnier 2019, pp. 362, 26,00 euro


Come un tempo c’era l’«inferno» delle biblioteche, in cui trovavano posto i libelli blasfemi, eretici e licenziosi condannati dalla Chiesa, oggi c’è un inferno della politica, dove i casi della storia hanno confinato il lato freak delle ideologie. Particolarmente mostruoso, e non soltanto per la sua ferocia politica, ma anche per il suo lato involontariamente comico, è stato il fascismo, sia quello originario, con le sue tragiche leggi razziali e i suoi salti farseschi nel cerchio di fuoco, sia quello parodistico e minoritario del secondo dopoguerra, quello che giudicava Julius Evola un maître à penser e involava la carcassa di Mussolini dal cimitero di Musocco (il DUX «ivi giaceva in una fossa anonima»). Nicola Tonietto, con La genesi del neofascismo in Italia, racconta la storia di questo fascismo reducista, sconfitto ma ancora trucibaldo, col suo culto del Cadaverone, le sue maiuscole (Dio, Patria, Onore, Famiglia) e i suoi pugnali cerimoniosamente levati in aria. Fascismo secondo, il neofascismo sta al fascismo primo – quello con l’orbace, gli stivaloni e gli occhi a palla – come la parodia a un’altra parodia. Ogni volta che il fascismo, richiamandosi a origini sempre più remote e sperse nella nebbia, torna a battere un colpo sulla scena politica, come capita anche oggi qua e là, la parodia del mussolinismo originario viene elevata a potenza. Già Achille Starace – in un’epoca ben altrimenti sventurata, quando c’era davvero poco da ridere – suscitava sconcertate risate con i suoi «fogli d’ordine» (qualche esempio: «è fatto divieto di pubblicare foto del Duce mentre danza», «non interessarsi di nessuna cosa che riguardi Albert Einstein», «è vietato pubblicare le fotografie di Primo Carnera a terra»). Figurarsi, nel dopoguerra, Giorgio Almirante e Pino Rauti: personaggi da melodramma (oggi diremmo «da fumetto») e necrofori conclamati, nonché mangiagiudei scampati al giusto castigo, con i loro giornaletti sgrammaticati, il loro nichilismo da avvinazzati, il loro doppiopetto da notai. Suprema parodia, infine, parodia alla potenza «n»: i fascisti dei nostri tempi, tipo i leader inesistenti (e inconsistenti) di Casa Pound e Forza Nuova, o le «Miss Hitler» dei dopolavoro nazionalsocialisti siciliani, che stanno non diciamo a «Lui, caro Lei» ma anche solo a Ignazio La Russa e Giorgia Meloni come Dove sta Zazà alla Cavalcata delle Valchirie. All’origine di queste periodiche rifritture mussoliniane ci sono le storie raccontate da Tonietto nel suo libro. Sono avventure singolari di reduci, molti giovanissimi, altri vecchie lenze. Pubblicano bollettini letti soprattutto dalle questure e dai servizi segreti alleati, piazzano qualche ordigno esplosivo che solo raramente provoca dei danni, hanno per Duci principi e principesse, creano cellule clandestine, fondano partiti e movimenti, infiltrano il partito dell’Uomo qualunque, si fanno in quattro per Trieste italiana, cantano in coro canzoni squadriste, progettano colpi di Stato, beffeggiano il CLN e De Gasperi, tuonano contro lo straniero invasore (gli americani, mica i crucchi) e intanto cercano accordi sotto e sopra banco con gli alleati, «Perfida Albione» compresa, e persino col partito comunista. Questo il pedigree del moderno neofascismo italiano; e queste le sue remote origini. In una parola: l’«inferno» della storia e della politica.

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Diego Gabutti

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