Strana sessione al Parlamento francese in cui, come commenta Le Figaro del 4 dicembre, “l'Assemblea approva il testo del partito di maggioranza con fatica”. Eppure si doveva condannare l'antisemitismo, una proposta che avrebbe dovuto essere accolta all’unanimità. Così non è stato. Sui 577 deputati dell'Assemblea nazionale, se ne sono trovati solo 154 che approvassero il testo: 72 si sono opposti, per lo più i deputati di sinistra, socialisti o comunisti, e tutti gli altri si sono astenuti o non erano presenti. Si trattava semplicemente di adottare la definizione dell’antisemitismo com’è stata formulata dall’Alleanza Internazionale per il ricordo dell’Olocausto (IHRA), secondo cui “Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree, o non ebree, e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto.” Secondo Le Figaro, questa definizione costituisce "uno strumento efficace ... in quanto comprende manifestazioni di odio verso lo Stato di Israele giustificate dalla mera percezione di quest'ultimo come collettività ebraica". Da qui una levata di scudi contro quanto alcuni percepiscono come una condanna dell'antisionismo. In prima fila ci sono 127 virtuosi intellettuali ebrei che, in un articolo pubblicato su Le Monde il 2 dicembre, invitano i deputati a non votare la risoluzione. Apparentemente un appello ampiamente ascoltato, visto il numero di deputati che cautamente lasciano l’aula, affinché il loro voto non sia conteggiato e non debbano così rendere conto della loro posizione ai loro elettori. Più in generale, gli oppositori della risoluzione sostengono che essa impedirebbe una possibile critica della politica israeliana, il che non è il caso, e che gerarchizzerebbe i razzismi, privilegiando la condanna dell'antisemitismo. Eppure la proiezione in Francia del film "J'accuse", già visto da oltre un milione di spettatori, avrebbe dovuto ricordare agli uni ed agli altri come un innocente abbia potuto essere condannato solo perché era ebreo. "Che Dreyfus sia colpevole, lo deduco, non dai fatti stessi, ma dalla sua razza" aveva allora proclamato Maurice Barrès. Invece, è stato proprio osservando il processo ad Alfred Dreyfus, che Theodore Herzl, allora cronista di un giornale austriaco, comprese che l'unica risposta a questo antisemitismo virulento era il ritorno a Sion, uno dei nomi di Gerusalemme, e la creazione di uno Stato ebraico, programma che presentò poi al Primo congresso sionista tenutosi a Basilea nel 1897 mentre “l’affaire” infiammava gli spiriti in Francia e in tutta Europa. C’è bisogno di dirlo, oggi come ieri, che essere antisionista significa opporsi all’esistenza dello Stato ebraico. Del resto, gli antisionisti autoproclamati come i sostenitori del BDS non ne fanno alcun mistero. Fu brandendo bandiere palestinesi che un piccolo gruppo di manifestanti aveva protestato davanti all'Assemblea nazionale il giorno prima del voto, con uno striscione che proclamava "Stop al ricatto contro l'antisemitismo".Ovviamente, è legittimo criticare Israele, uno sport molto popolare al momento. Ciò che non lo è, è chiedere la sua scomparsa o coprire sotto il manto dell'antisionismo che è di moda, le manifestazioni di antisemitismo che si moltiplicano in Francia. Ancora ieri un centinaio di tombe sono state profanate in un cimitero ebraico in Alsazia: è la prova che l'odio per l'ebreo perseguita le sue vittime oltre la morte.
Michelle Mazelscrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".