Hong Kong/Cina: le ambiguità della politica estera italiana Commento di Francesca Paci
Testata: La Stampa Data: 30 novembre 2019 Pagina: 10 Autore: Francesca Paci Titolo: «L'attacco di Pechino: 'A Hong Kong l'Italia alimenta la violenza'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/11/2019, a pag.10, con il titolo "L'attacco di Pechino: 'A Hong Kong l'Italia alimenta la violenza' " l'analisi di Francesca Paci.
Francesca Paci
Xi Jinping
Mentre su Hong Kong resiste una calma artificiale in attesa delle nuove manifestazioni del weekend, lo scontro sul futuro della ex colonia britannica si sposta in Italia, dove l'ambasciata cinese punta con forza l'indice contro i parlamentari trasversali che mercoledì hanno partecipato in Senato alla conferenza stampa dell'attivista Joshua Wong e gli "accusati" non ci stanno, reagiscono ad alta voce, decisi, compatti come capita raramente (ad eccezione del M5S), aprendo una falla nei rapporti diplomatici così tanto caldeggiati dal ministro degli esteri Di Maio e dall'ortodossia grillina. Quando nel pomeriggio arriva il comunicato del messo di Pechino a Roma, la sorpresa prevale sulla rabbia. I toni sono duri quasi quanto quelli riservati da Xi Jinping agli Stati Uniti per la legge pro-democrazia proposta dal Congresso e firmata da Trump. L'ambasciata sostiene che gli italiani abbiano fornito «una piattaforma per un separatista pro indipendenza», che abbiano sostenuto «la violenza e il crimine» e che abbiano commesso «un grave errore, un comportamento irresponsabile». Troppo anche per chi due giorni fa non c'era all'incontro organizzato da Fratelli d'Italia e dal Partito Radicale alla presenza di esponenti del Pd, Forza Italia, Lega. Troppo anche per chi nei mesi passati non si è scaldato particolarmente per la piazza di Hong Kong- «Siamo allibiti dall'arroganza e dalla sfrontatezza con le quali la rappresentanza diplomatica di Pechino si è permessa di censurare l'iniziativa di alcuni parlamentari italiani» attacca la presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. Dal Partito Radicale, storico paladino di Hong Kong ma anche dei tibetani e degli uiguri, si leva la richiesta al ministro degli esteri di «convocare immediatamente l'ambasciatore cinese» e lo stesso domanda la capogruppo del Pd in Commissione esteri Lia Quartapelle, denunciando «una pressione indebita delle autorità di Pechino». Il coro delle proteste è ampissimo, dalla presidente Casellati al collega della Camera Fico, grillino sì ma non di fede "dimaiana". Si fa sentire anche il leader della Lega Matteo Salvini rivendicando «la sovranità italiana» e cogliendo l'occasione ghiotta per una stoccata all'ex sodale ed attuale capo delle feluche Di Maio, grande sponsor della Via della Seta e ieri a lungo silenzioso (era già finito sotto i riflettori per essersi smarcato dal commentare la crisi a Hong Kong in nome del principio di "non ingerenza"). La Farnesina accusa il colpo, ragiona a porte chiuse e dopo qualche ora replica seccamente contro quella che viene definita una «inaccettabile ingerenza». C'è da rispondere a Pechino ma anche a quanti nell'opposizione e all'interno del governo giallo-rosso sono convinti che la Cina si sia presa la libertà di un j'accuse così sproporzionato perché l'Italia a 5 Stelle ha concesso al Dragone un'apertura di credito incondizionata, diversamente da altri Paesi europei come la Francia, abile nel firmare accordi miliardari senza esimersi dal criticare Pechino. Quando il ministro Di Maio decide di parlare pare confuso, non se l'aspettava: «E' strano perché abbiamo sempre avuto ottimi rapporti col governo cinese e allo stesso tempo in Parlamento ci sono tante attività che si svolgono ogni giorno ed è giusto rispettare le conferenze che approfondiscono le questioni di livello internazionale». Ribadisce l'importanza del Made in Italy da esportare, ma è troppo: «È importante allo stesso tempo spiegare che i nostri legami commerciali con tanti altri Paesi non possono mettere in discussione il rispetto delle nostre istituzioni, del Parlamento e del Governo». La Cina ascolta.
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