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Beppe Grillo, una barzelletta vivente
Commento di Diego Gabutti Beppe Grillo Aveva esordito in politica alla fine degli anni ottanta con la barzelletta su Craxi in Cina (il segretario socialista che prende da parte il «presidente Ping» dell’epoca e chiede: «Ma se qui siete tutti socialisti, a chi rubate»?) Passano trent’anni ed eccolo lì, impettito a fianco dell’ambasciatore cinese (l’ambasciatore Ping) a Roma: una barzelletta vivente, tipo esportazione. «Gag» involontaria, ma calzata e vestita, Beppe Grillo era a Roma, qualche giorno fa, nel suo ruolo di Garante e d’Elevato. Doveva fare 1) quello che si dice un cazziatone a Gigio Di Maio e 2) per liquidare con un «vaffa» i 5stelle ribelli all’alleanza organica col PD (già Partito di Bibbiano, il PD è infatti diventato nelle ultime settimane Culo, o Camicia, non è chiaro, nella combinazione di maggioranza, e guai a irritarlo troppo). Già che c’era, più Garante ed Elevato che mai, Grillo ha pensato bene di sostituire Di Maio, notoriamente un somaro in geografia, anche nel suo ruolo di ministro degli esteri (o meglio di «ministro degli esteri», tra due grosse virgolette). Sgridato Giggino, vaffati i 5stelle ribelli al verbo, Grillo ha onorato con ben due visite due in un solo giorno (e per un tot di quattro ore) l’ambasciata cinese, dove lo immaginiamo in compagnia dell’ambasciatore Ping davanti a un bicchiere di gazosa cinese (la gazosa Ping) e a qualche raviolo Ping a vapore. A chi rubavano Ping e Grillo? Pardon… cosa si sono detti i due Elevati? Niente di ché, a quanto pare: quattro ore di chiacchiere a pera, due visite in un solo giorno tanto per fare. Si è trattato, spiegano i pentastellari spallucciando, d’una «visita privata». Ping e il Fenomeno? Sono amiconi, anzi péngyǒu, o comunque si dica in cinese mandarino. Forse hanno giocato a Mah Jong. O forse si sono dati al gossip e sparlato di Giuseppe Conte, ultimamente un po’ troppo europeista, o dei giovani teppisti e agenti dell’Occidente corrotto che stanno turbando l’ordine pubblico a Hong Kong senza mostrare il dovuto rispetto ai Garanti e agli Elevati di Pechino. Vedovi dello streaming, che un tempo obbligava gli Eletti, e tanto più gli Elevati, a vivere «h24» (per dirla nella neolingua dei social network) in diretta smartphone su Facebook e You Tube come Jim Carrey in Truman Show, i seguaci del clown genovese avranno parlato di vasi Ming (nel caso del Vaffista in Capo vasi anche un po’ «del Meng», come direbbe l’altro sommo neolinguista, il direttore-titolista di Libero). Possibile? Possibilissimo. Grillo e Ping che mangiano involtini al pesto spettegolando degli assenti (di Salvini, che non stravede per Pechino ma per Mosca e San Pietroburgo, dove si sente come a casa sua, meglio che in Val Brembana, e dei pentastellari, passati ad arruffianarsi Bruxelles e Bibbiano). Perché no? Ma c’è anche un’altra scuola di pensiero. Qualcuno mormora, infatti, che il governo Zingaretti-Renzi-Di Maio abbia affidato a Beppe Grillo (in segreto, senza dirlo a nessuno… qual è il contrario di streaming?) la partita estera e che Gigio di Maio sia ormai in vista del tunnel in fondo al quale splende la luce dell’aldilà, come nelle esperienze di pre-morte dei divi del cinema. Grillo, in fondo, è uno che ha molto viaggiato (possiede una barca, non gli mancano le palanche) e che non s’informa leggendo libri e giornali, come fanno le persone ignoranti, ma attraverso le sue personali «fonti» internazionali, ben più affidabili. Suo suocero, un iraniano, gli ha per esempio spiegato che «le traduzioni dei discorsi di Bin Laden non erano esatte» e che «tutto quel che in Europa sappiamo su Israele e Palestina è filtrato da un’agenzia internazionale che si chiama Memri. E dietro Memri c’è un ex agente del Mossad. Ho le prove: Ken Livingstone, l’ex sindaco di Londra, ha usato testi arabi con traduzioni indipendenti. Scoprendo una realtà mistificata, completamente diversa». Quanto alla Cina, il comunismo in salsa agrodolce era già il piatto preferito di Gianroberto Casaleggio buonanima, nostalgico del maoismo e primo artefice della piaga biblica pentastellare da cui siamo stati investiti come da una pioggia di cavallette o da una visita a sorpresa dell’angelo sterminatore. Casaleggio Sr. era un fan della grande rivoluzione culturale proletaria e in particolare (al pari di certi esponenti di Magistratura democratica) dei processi negli stadi ai nemici del popolo, che a conclusione dell’udienza venivano generalmente liquidati a calci e pugni, e talvolta più sobriamente lapidati. Anche Casaleggio I, come i despoti asiatici che tanto ammirava, non faceva che parlare di rivoluzione. Rivoluzione di qua, rivoluzione di là. Rivoluzione digitale, rivoluzione neurosociale, rivoluzione psicopolitica. («Rivoluzione», fateci caso, è da cinquant’anni la parola preferita dagl’invasati). Idem il nuovo ministro maò-maò degli esteri, Grillo Giusseppe, che ripete la lezione casaleggista originaria con fedeltà e fervore, da affezionato pupazzo del ventriloquo buonanima. Signori, la politica estera italiana: la svolta cinese, l’elogio del terrorismo jihadista da parte d’Alessandro Di Battista in arte «Dibba», l’evviva prima a Chávez e poi a Maduro, i «gilets jaunes», le «traduzioni infedeli» dei discorsi d’ Osama Bin Laden, i voti a raffica contro Israele in sede ONU da parte dell’Italia, il suocero dell’Elevato e la sua vasta scienza diplomatica. Per capire la spericolata e pericolosa deriva circense dello Stivalone citerò qui il necrologio che un giornalista particolarmente spiritato di Wired dedicò a Gianroberto Casaleggio il 12 aprile del 2016, nel giorno della sua dipartita. «Non è poi così arduo», scrisse il posseduto con penna dannunziana, immaginare il caro estinto «a una tastiera, mentre pigia tasti seguendo le note di un proprio spartito mentale; imperturbabile, come rapito dall’estasi di mondi personali. Note psichedeliche che fanno da base sonora per la voce carismatica dell’animale da palcoscenico di turno, il vocalist Beppe Grillo». Signore, pietà.
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