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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
27.11.2019 Hong Kong, appello all'Europa mentre il Vaticano sceglie un'inaccettabile equidistanza
Cronaca di Francesco Radicioni

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesco Radicioni
Titolo: «Il grido dei manifestanti di Hong Kong: 'La Cina ci schiaccia, Europa ascoltaci' - Il Papa molla Hong Kong: 'Non so valutare'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/11/2019, a pag.9, con il titolo "Il grido dei manifestanti di Hong Kong: 'La Cina ci schiaccia, Europa ascoltaci' " la cronaca di Francesco Radicioni; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Il Papa molla Hong Kong: 'Non so valutare' ".

Mentre la Stampa si conferma il quotidiano italiano che meglio copre quanto sta succedendo a Hong Kong, Papa Bergoglio afferma di non saper valutare la questione. Il Vaticano sceglie quindi un'inaccettabile equidistanza, allineandosi con la dittatura di Pechino.

Ecco gli articoli:

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Proteste contro il regime cinese a Hong Kong

LA STAMPA - Francesco Radicioni: "Il grido dei manifestanti di Hong Kong: 'La Cina ci schiaccia, Europa ascoltaci' "

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Francesco Radicioni

Se un numero sufficiente di Paesi si unisse e prendesse una posizione ferma su Hong Kong, allora sarebbe molto difficile per Pechino rifiutare un compromesso». All'indomani del trionfo elettorale del fronte pro-democrazia alle elezioni per il rinnovo dei consigli di distretto di Hong Kong, Avery Ng – il leader della League of Social Democrats finito dietro le sbarre alcuni mesi fa per aver rivelato i dettagli di un'indagine per corruzione - è convinto che l'Europa potrebbe fare di più per proteggere l'alto livello di autonomia dell'ex-colonia britannica garantito dalla formula «un Paese, due sistemi». «I politici e i cittadini europei - prosegue Ng - dovrebbero riconoscere la gravità della rapida espansione globale della Cina che sta ora sconfinando anche in altri ambiti sociali come il potere di lobby politica e di censura». Anche se ammette che «vista l'incertezza dell'economia globale, qualsiasi Paese che si oppone a Pechino in materia di diritti umani ora rischia sicuramente di perdere vantaggi economici a breve termine». È questa una convinzione comune tra chi negli ultimi sei mesi è sceso per le strade di Hong Kong. «Ci saremmo aspettati di più dall'Italia e da altri Paesi europei», spiega Mary, 30 anni, parlando da dietro una mascherina chirurgica. «Ma dopo la firma del memorandum sulla via della Seta, il vostro paese va ormai a letto con la Cina». «Con l'eccezione degli Stati Uniti - le fa eco Wong, 53 anni, piccolo imprenditore - nessuno sta facendo nulla per Hong Kong». Nelle scorse settimane il Congresso americano ha approvato quasi all'unanimità lo Hong Kong Human Rights and Democracy Act che prevede una revisione annuale del livello di autonomia dell'ex-colonia britannica come condizione perché la città continui a godere nella legislazione degli Usa di uno status commerciale separato dalla Cina. Lunedì, però, la Repubblica Popolare ha convocato l'ambasciatore Usa a Pechino, minacciando «conseguenze» se Trump dovesse firmare la legge. Parlando con i giornalisti all'indomani del trionfo del campo democratico alle elezioni di distretto, ieri la leader di Hong Kong Carrie Lam ha ammesso che «le inadeguatezze» della sua amministrazione nel rispondere alla peggiore crisi politica in città degli ultimi decenni hanno contribuito al tracollo del fronte pro-Pechino nelle urne. «Naturalmente ci sono alcuni che ritengono che il governo non abbia gestito con competenza l'iter legislativo e le sue conseguenze», ha confessato Lam. La Chief Executive dell'ex-colonia britannica non ha mostrato, però, alcuna intenzione di accogliere le richieste dei manifestanti. Se la legge sull'estradizione verso la Cina - la miccia dell'ultima ondata di proteste - è stata ormai ritirata, chi dall'inizio dell'estate scende per le strade di Hong Kong chiede anche elezioni a suffragio universale per il Consiglio Legislativo e lo Chief Executive, un'amnistia per i manifestanti arrestati e un'indagine indipendente sull'uso eccessivo della forza da parte della polizia.

Gli studenti temono il carcere Vanno avanti nel distretto finanziario di Central i flash-mob durante la pausa pranzo - con gli impiegati che scendono dagli uffici e scandiscono gli slogan della protesta nelle strade o negli shopping - mentre si tenta una mediazione per sbloccare l'assedio della polizia al Politecnico. Dopo che 10 giorni fa il campus universitario era diventato l'epicentro delle proteste, poche decine di manifestanti rimangono ancora barricati all'interno dell'università: sanno che se escono rischiano l'arresto e una condanna per rivolta che a Hong Kong può comportare pene fino a dieci anni di carcere.

IL FOGLIO: "Il Papa molla Hong Kong: 'Non so valutare' "

Immagine correlata
Papa Francesco

Erano attese le parole del Papa su Hong Kong e non c’era occasione migliore del viaggio di ritorno dalla trasferta in estremo oriente. Francesco non ha eluso l’argomento, anche se si è guardato bene dal dare un suo parere rispetto alla violenta battaglia tra i manifestanti per la democrazia e i gerarchi cinesi. Giorni fa aveva fatto ben sperare qualche organo di stampa il telegramma spedito alla governatrice della città-stato, Carrie Lam, ma è stato proprio Bergoglio, ieri, conversando con i giornalisti, a gelare i più entusiasti: “I telegrammi si mandano a tutti i capi di stato, è una cosa automatica di saluto ed è anche un modo cortese di chiedere permesso di sorvolare il loro territorio. Questo non ha un significato né di condanna né di appoggio. E’ una cosa meccanica che tutti gli aerei fanno quando tecnicamente entrano, avvisano che stanno entrando, e noi lo facciamo con cortesia”. Questo, ha detto il Papa, ha solo “un valore di cortesia”. E comunque, ha proseguito Francesco, “non è soltanto Hong Kong. Pensi al Cile, pensi alla Francia, la democratica Francia: un anno di gilet gialli. Pensi al Nicaragua, pensi ad altri paesi latinoamericani che hanno problemi del genere e anche a qualche paese europeo. E’ una cosa generale. Che cosa fa la Santa Sede con questo? Chiama al dialogo, alla pace, ma non è solo Hong Kong, ci sono varie situazioni con problemi che io in questo momento non sono capace di valutare. Io rispetto la pace e chiedo la pace per tutti questi paesi che hanno dei problemi, anche la Spagna. Conviene relativizzare le cose e chiamare al dialogo, alla pace, perché si risolvano i problemi. E infine: mi piacerebbe andare a Pechino, io amo la Cina”. E’ il trionfo della realpolitik vaticana – non esente da buone dosi di cinismo – e sarà interessante sapere cosa dirà giovedì, nella prolusione per l’inaugurazione dell’Anno accademico all’Università cattolica di Milano, il segretario di stato cardinale Pietro Parolin (parlerà di diplomazia). Si vedrà se tornerà sull’argomento, inquadrando meglio le pilatesche affermazioni papali o se sposerà la linea della Civiltà Cattolica che tanta influenza ha oggi a Santa Marta.

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