Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 26/11/2019, a pag.V, con il titolo "Se Hitler avesse avuto Facebook" l'analisi dell'attore Sacha Baron Cohen.
Sacha Baron Cohen
Ricevendo l’International Leadership Award, un premio della Anti Defamation League, una ong internazionale ebraica con sede negli Stati Uniti, l’attore Sacha Baron Cohen ha fatto un discorso – senza interpretare nessuno dei suoi famosi personaggi, ma essendo se stesso, cosa che non gli capita mai e che, dice, lo terrorizza – sul ruolo dei social media nella nostra società, descrivendo con precisione come si muove “la più grande macchina di propaganda della storia”. Ecco cosa ha detto.
Ti ringrazio, Anti Defamation League (ADL), per questo riconoscimento e per il tuo lavoro nel combattere razzismo, odio e intolleranza. E quando dico “razzismo, odio e intolleranza” non mi sto riferendo ai nomi dei Labradoodles di Stephen Miller (consigliere del presidente americano, Donald Trump). Ora, capisco che qualcuno di voi starà pensando: che cavolo ci fa un comico a parlare a una conferenza come questa? Sono certamente un comico. Ho passato la maggior parte degli ultimi vent’anni a interpretare personaggi. Questa in effetti è la prima volta che tengo un discorso interpretando il mio personaggio meno popolare: Sacha Baron Cohen. E devo confessare che sono terrorizzato. Capisco pure che la mia presenza qui possa sembrare inaspettata anche per un’altra ragione. E’ capitato che alcuni critici abbiano detto che le mie performance rischiano di rafforzare vecchi stereotipi. La verità è che per tutta la vita ho avuto la passione di sfidare fanatismo e intolleranza. Da ragazzo, nel Regno Unito, ho marciato contro il National Front e per abolire l’apartheid. Quando ero all’università, ho viaggiato in America e ho scritto poi la mia tesi sul movimento dei diritti civili, e mi sono aiutato molto con gli archivi della ADL. E quando sono diventato un comico, ho cercato di utilizzare i miei personaggi per convincere le persone ad abbassare la guardia e mostrare le loro vere convinzioni, pregiudizi compresi. Ora, non sono qui a sostenere che tutto quello che ho fatto l’ho fatto con gli obiettivi più nobili. Sì, parte del mio lavoro, ok forse metà dei miei film, è del tutto immatura, e l’altra metà puerile. Lo ammetto, non c’era nulla di particolarmente illuminante riguardo a me nella versione Borat dal Kazakistan, il primo giornalista di fake news, mentre entravo completamente nudo in una riunione di operatori finanziari che si occupavano di mutui. Ma quando Borat è riuscito a far cantare un intero bar dell’Arizona “butta l’ebreo giù dal muro”, ha mostrato la sostanziale indifferenza della gente nei confronti dell’antisemitismo. Quando interpretando Bruno, un giornalista di moda gay e austriaco, ho iniziato a baciare un uomo in combattimento in una gabbia in Arkansas, facendo partire una mezza rissa, ho mostrato il potenziale violento dell’omofobia. E quando, travestito da sviluppatore molto scrupoloso, ho proposto di costruire una moschea in una comunità rurale portando un abitante ad ammettere orgoglioso “sono razzista, contro i musulmani”, ho mostrato quanto sia accettata l’islamofobia. Ecco perché apprezzo molto l’opportuni - tà di essere qui con voi. Oggi in giro per il mondo, i demagoghi si appellano agli istinti peggiori. Le teorie del complotto che una volta erano confinate ai margini sono diventate mainstream. E’ come se l’Era della ragione – l’era delle discussioni basate sui fatti – stesse finendo e ora la conoscenza è delegittimata e il consenso scientifico è rifiutato. La democrazia, che dipende dalle verità condivise, si sta ritirando mentre l’autoritarismo, che dipende dalle bugie condivise, è in marcia. I crimini d’odio crescono, come gli attacchi letali sulle minoranze religiose ed etniche. Che cosa hanno in comune questi trend pericolosi? Sono un comico e un attore, non un accademico. Ma una cosa mi è del tutto chiara: tutto questo odio e questa violenza sono facilitati da un gruppo di compagnie internettiane che rappresentano la più grande macchina di propaganda della storia. La più grande macchina di propaganda della storia. Pensateci. Facebook, YouTube e Google, Twitter e gli altri: raggiungono miliardi di persone. Gli algoritmi da cui queste piattaforme dipendono amplificano deliberatamente il tipo di contenuto che tiene gli utenti attaccati – storie che accarezzano i nostri istinti di base e che scatenano indignazione e paura. E’ per questo che YouTube ha raccomandato i video di Alex Jones, re delle teorie del complotto, miliardi di volte. E’ per questo che le fake news funzionano molto meglio delle notizie vere, perché gli studi mostrano che le bugie si spargono più in fretta della verità. E non ci deve sorprendere il fatto che la più grande macchina di propaganda della storia abbia messo in circolazione le più antiche teorie del complotto della storia – la bugia secondo cui gli ebrei sono in qualche modo pericolosi. Come diceva un titolo che ho letto: “Provate soltanto a pensare che cosa avrebbe fatto Goebbels con Facebook”. In internet, ogni cosa pare ugualmente legittima. Breitbart assomiglia alla Bbc. I finti Protocolli dei Savi di Sion sembrano validi quanto un report dell’ADL. E gli sproloqui di un malato di mente appaiono credibili quanto le scoperte di un premio Pulitzer. Abbiamo perso, sembra, il senso condiviso dei fatti fondamentali su cui si basa la democrazia. Quando, nella mia versione di Ali G, un wanna-be gangster, ho chiesto all’astronauta Buzz Aldrin “com’è stato camminare sul sole?”, lo scherzo ha funzionato perché il pubblico aveva contezza degli stessi fatti condivisi. Se pensi che non ci sia stato lo sbarco sulla luna, questa battuta non ti sembra divertente. Quando Borat entrò in quel bar in Arizona per mettere tutti d’accordo sul fatto che “gli ebrei controllano i soldi di chiunque e non li danno mai indietro”, la battuta ha funzionato perché il pubblico condivideva il fatto che questa descrizione degli ebrei è una misera teoria del complotto che risale al Medioevo. Ma quando, grazie ai social media, le teorie del complotto reggono, è più facile per i gruppi di odiatori fare proseliti, è più facile per le agenzie straniere di intelligence interferire nelle nostre elezioni, ed è più facile per un paese come la Birmania perpetrare il genocidio contro i Rohingya. E’ abbastanza sorprendente quanto sia facile trasformare le teorie del complotto in violenza. Nel mio ultimo spettacolo “Who is America?”, ho trovato un ragazzo normale e istruito e con un buon lavoro che sui social media ripeteva molte teorie del complotto che il presidente Trump, usando Twitter, ha sparso più di 1.700 volte ai suoi 67 milioni di followers. Il presidente ha anche tuittato che stava per indicare gli Antifa, antifascisti che marciano contro l’estrema destra, come un’organizzazione terroristica. Così, interpretando un esperto israeliano di antiterrorismo, il colonnello Erran Morad, ho detto al mio intervistato che, alla marcia delle donne a San Francisco, gli Antifa stavano pensando di mettere degli ormoni dentro ai pannolini dei bambini per “renderli transgender”. E lui ci ha creduto. Gli ho detto di mettere alcuni piccoli apparecchi su tre persone innocenti alla marcia e gli ho detto che una volta che avesse schiacciato un bottone, avrebbe scatenato un’esplo - sione che li avrebbe uccisi tutti e tre. Non erano esplosivi veri, naturalmente, ma lui pensava che lo fossero. Volevo vedere – lo avrebbe fatto per davvero? La risposta è sì. Schiacciò il bottone e pensò di uccidere davvero tre persone. Voltaire aveva ragione, “chi riesce a farti credere delle assurdità riesce anche a farti commettere delle atrocità”. E i social media hanno lasciato che gli autocrati spargessero assurdità presso miliardi di persone. Nella loro difesa, le compagnie dei social media hanno fatto qualche passo per ridurre odio e teorie del complotto nelle loro piattaforme, ma si tratta di passi per lo più superficiali. Oggi parlo perché penso che le nostre democrazie pluraliste siano sull’orlo di un precipizio e che nei prossimi dodici mesi il ruolo dei social media possa essere determinante. Gli elettori britannici andranno a votare mentre i cospiratori online promuovono la teoria orrenda della “grande sostituzione” secondo cui i cristiani bianchi verranno sostituiti deliberatamente dagli immigrati musulmani. Gli elettori americani voteranno il loro presidente mentre i troll e i bot ripetono all’infinito la bugia disgustosa della “invasione ispanica”. E dopo anni di video YouTube che definiscono il cambiamento climatico “una bufala”, l’America sta, entro un anno, ritirandosi dall’accordo sul clima di Parigi. Una fogna di intolleranza e di vili teorie del complotto che minacciano la democrazia e il nostro pianeta – questo non può essere quello che i creatori di internet avevano in mente. Credo che sia arrivato il momento di ripensare in modo sostanziale i social media e il modo in cui diffondono odio, cospirazioni e bugie. Il mese scorso, tuttavia, Mark Zuckerberg di Facebook ha pronunciato un importante discorso che, non a caso, ha messo in guardia contro nuove leggi e regolamenti su società come la sua. Bene, alcuni di questi argomenti sono semplicemente assurdi. Primo, Zuckerberg ha cercato di riassumere l’intero problema come “scelte... riguardanti la libera espressione”. E’ ridicolo. Non si tratta di limitare la libertà di parola di nessuno. Si tratta di offrire alle persone, comprese alcune delle persone più riprovevoli sulla terra, la più grande piattaforma della storia per raggiungere un terzo del pianeta. La libertà di parola non è libertà di portata. Purtroppo, ci saranno sempre razzisti, misogini, antisemiti e pedofili. Ma penso che potremmo essere tutti d’accordo sul fatto che non dovremmo dare a bigotti e pedofili una piattaforma gratuita per amplificare le loro opinioni e colpire le loro vittime. Secondo, Zuckerberg ha affermato che i nuovi limiti a ciò che viene pubblicato sui social media sarebbe un modo per “mettere un freno alla libera espressione”. E’ assolutamente senza senso. Il primo emendamento afferma che “il Congresso non farà leggi” che restringano la libertà di parola, tuttavia, ciò non si applica alle imprese private come Facebook. Non stiamo chiedendo a queste aziende di determinare i confini della libertà di parola in tutta la società. Vogliamo solo che siano responsabili sulle loro piattaforme. Se un neonazista entra in un ristorante e inizia a minacciare gli altri clienti e dice che vuole uccidere gli ebrei, il proprietario del ristorante dovrebbe servirgli un elegante pasto di otto portate? Ovviamente no! Il proprietario del ristorante ha tutti i diritti legali e l’obbligo morale di cacciare il nazista, e così anche queste compagnie. Terzo, Zuckerberg sembrava equiparare la regolamentazione di aziende come la sua alle azioni delle “società più repressive”. E’ incredibile, soprattutto perché detto da una delle sei persone che decidono quali informazioni può vedere gran parte del mondo e quali no. Zuckerberg con Facebook, Sundar Pichai con Google, Larry Page e Sergey Brin con Alphabet, la società madre di Google, e poi l’ex cognata di Brin, Susan Wojcicki, con YouTube e Jack Dorsey con Twitter. I Silicon Six – tutti i miliardari, tutti americani – a cui interessa di più aumentare il valore delle loro azioni piuttosto che proteggere la democrazia. Questo è imperialismo ideologico: sei individui non eletti che dalla Silicon Valley impongono la loro visione al resto del mondo, che non devono rendere conto a nessun governo e che agiscono come se fossero al di sopra della legge. E’ come se vivessimo nell’impero romano e Mark Zuckerberg fosse Cesare. Almeno questo spiegherebbe il suo taglio di capelli. Ecco un’idea. Invece di lasciare che i Silicon Six decidano il destino del mondo, lasciamo che i nostri rappresentanti eletti, votati dal popolo, di ogni democrazia nel mondo, abbiano almeno un po’ di voce in capitolo. Quarto, Zuckerberg parla dell’accoglien - za di una “diversità di idee” e l’anno scorso ce ne ha dato un esempio. Ha detto di aver trovato i post che negavano l’Olocausto “profondamente offensivi”, ma non pensava che Facebook avrebbe dovuto eliminarli “perché penso che ci siano cose che diverse persone considerano sbagliate”. In questo preciso momento, ci sono ancora negazionisti dell’Olocausto su Facebook, e Google ti porta ancora sui più ripugnanti siti negazionisti del’Olocausto con un semplice clic. Uno dei responsabili di Google una volta mi ha detto che questi siti mostrano semplicemente “en - trambi i lati” del problema. Questa è follia. Per citare Edward R. Murrow, “non si può accettare che ci siano, su ogni storia, due lati uguali e logici di una discussione”. Abbiamo milioni di prove sull’Olocausto: è un fatto storico. E negarlo non è un’opinione casuale. Coloro che negano l’Olocausto mirano a incoraggiarne un altro. Tuttavia, Zuckerberg afferma che “le persone dovrebbero decidere cosa è attendibile, non le aziende tecnologiche”. Ma in un momento in cui due terzi dei millennial affermano di non aver nemmeno sentito parlare di Auschwitz, come possono sapere che cosa è “attendibile”? Come dovrebbero sapere che una bugia è una bugia? Esiste una cosa che si chiama verità oggettiva. I Fatti esistono. E se queste aziende internet vogliono davvero fare la differenza, dovrebbero assumere abbastanza supervisori per supervisionare davvero, dovrebbero lavorare a stretto contatto con gruppi come ADL, insistere sui fatti ed eliminare queste bugie e cospirazioni dalle loro piattaforme. Quinto, mentre si discuteva della difficoltà di rimuovere i contenuti, Zuckerberg ha chiesto “come si pone un limite?” Sì, porre i limiti può essere difficile. Ma ecco cosa intende davvero: rimuovere la maggior parte di queste bugie e cospirazioni è semplicemente troppo costoso. Queste sono le aziende più ricche del mondo e hanno i migliori ingegneri del mondo. Potrebbero risolvere questi problemi se volessero. Twitter potrebbe implementare un algoritmo per rimuovere più hate speech da parte di suprematisti bianchi, ma secondo quanto riferito non lo hanno fatto perché espellerebbero alcuni politici molto importanti dalla loro piattaforma. Forse non sarebbe una brutta cosa! La verità è che queste aziende non cambieranno in modo sostanziale perché il loro intero modello di business si basa sul generare più engagement possibile e nulla genera più engagement delle bugie, della paura e dell’indignazione. E’ tempo di chiamare finalmente queste aziende con il loro nome: i più grandi editori della storia. Ed ecco un’idea per loro: attenersi agli standard e alle pratiche di base proprio come fanno i giornali, le riviste e i telegiornali. Per la televisione e per i film ci sono standard e prassi; ci sono alcune cose che non possiamo dire o fare. In Inghilterra, mi è stato detto che Ali G non poteva imprecare quando veniva trasmesso prima delle 21:00. Qui negli Stati Uniti, la Motion Picture Association of America regola e valuta ciò che vediamo. Ho fatto tagliare o ridurre le scene nei miei film per rispettare questi standard. Se esistono standard e prassi per tutto ciò che i cinema e i canali televisivi possono trasmettere, allora sicuramente le aziende che pubblicano materiale per miliardi di persone dovrebbero rispettare gli stessi standard e le prassi di base. Consideriamo il problema delle pubblicità politiche. Fortunatamente, Twitter le ha finalmente bandite e anche Google sta apportando modifiche. Ma se paghi, Facebook pubblicherà qualsiasi annuncio “politico” desideri, anche se è una bugia. E ti aiuteranno persino a indirizzare queste bugie a utenti mirati per ottenere il massimo effetto. In base a questa logica contorta, se Facebook fosse stato in circolazione negli anni Trenta, avrebbe permesso a Hitler di pubblicare annunci di 30 secondi sulla sua “soluzione” al “problema ebraico”. Quindi ecco standard e prassi possibili: Facebook, inizia a fare factchecking degli annunci politici prima di pubblicarli, smetti di indirizzare bugie a utenti mirati, e quando le pubblicità sono false, restituisci i soldi e non pubblicarli Ecco un’altra buona pratica: rallentare. Non è necessario pubblicare immediatamente ogni singolo post. Oscar Wilde una volta disse che “viviamo in un’epoca in cui le cose inutili sono le nostre uniche necessità”. Ma avere ogni pensiero o video pubblicato immediatamente online, anche se razzista, criminale o omicida, è davvero una necessità? Ovviamente no! L’uomo che ha massacrato i musulmani in Nuova Zelanda ha trasmesso in streaming le sue atrocità su Facebook, il video si è poi diffuso su internet ed è stato visto probabilmente milioni di volte. Era uno snuff film, offerto dai social media. Perché non possiamo avere del tempo in modo che questa sporcizia che provoca traumi possa essere catturata e fermata prima che sia pubblicata? Infine, Zuckerberg ha affermato che le società di social media dovrebbero “essere all’altezza delle loro responsabilità”, ma non ha detto nulla su cosa dovrebbe accadere quando non lo fanno. Ormai è abbastanza chiaro, non ci si può aspettare che si regolino da soli. Come con la Rivoluzione industriale, è tempo che regolamenti e normative riducano l’avidità di questi predoni dell’alta tecnologia. In ogni altro settore, un’azienda può essere ritenuta responsabile quando il suo prodotto è difettoso. Quando i motori esplodono o le cinture di sicurezza non funzionano, le case automobilistiche ritirano decine di migliaia di veicoli, al costo di miliardi di dollari. Sembra giusto dire a Facebook, YouTube e Twitter: il tuo prodotto è difettoso, sei obbligato a ripararlo, non importa quanto costa e non importa quanti moderatori devi impiegare. In ogni altro settore, puoi essere citato in giudizio per il danno che causi. Gli editori possono essere citati in giudizio per diffamazione, le persone possono essere citate in giudizio per diffamazione. Sono stato citato in giudizio molte volte! Sono stato citato in giudizio in questo momento da qualcuno di cui non menzionerò il nome perché potrebbe farmi di nuovo causa! Ma le società di social media sono in gran parte protette dalle responsabilità per il contenuto che i loro utenti pubblicano – non importa quanto sia indecente – dalla Sezione 230 del, preparatevi, Communications Decency Act. Assurdo! Fortunatamente, le società internet possono ora essere ritenute responsabili dei pedofili che usano i loro siti per colpire i bambini. Dico che dovremmo ritenere queste aziende responsabili anche per coloro che usano i loro spazi per sostenere l’omicidio di massa di bambini a causa della loro razza o religione. E forse le multe non sono sufficienti. Forse è il momento di dirlo a Mark Zuckerberg e ai CEO di queste società: avete già permesso a una potenza straniera di interferire nelle nostre elezioni, avete già facilitato un genocidio in Myanmar, fatelo di nuovo e andrete in galera. Alla fine, tutto si riduce al tipo di mondo che vogliamo. Nel suo discorso, Zuckerberg ha affermato che uno dei suoi obiettivi principali è quello di “sostenere una definizione quanto più ampia possibile di libertà di espressione”. Tuttavia le nostre libertà non sono solo un fine in se stesse, ma sono anche il mezzo per un altro fine, così è negli Stati Uniti, il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Ma oggi questi diritti sono minacciati dall’odio, dalle cospirazioni e dalle menzogne. Permettetemi di lasciarvi con una suggestione per un obiettivo diverso per la società. L’obiettivo finale della società dovrebbe essere quello di assicurarsi che le persone non siano prese di mira, non vengano molestate e assassinate per ciò che sono, per la loro provenienza, per chi amano o per come pregano. Se perseguiamo questo obiettivo, se privilegiamo la verità rispetto alle bugie, la tolleranza rispetto ai pregiudizi, l’empatia rispetto all’indifferenza e gli esperti agli ignoranti, allora forse, e dico forse, possiamo fermare la più grande macchina di propaganda della storia, possiamo salvare la democrazia, possiamo ancora avere un posto per la libertà di parola e la libera espressione e, soprattutto, le mie battute continueranno a funzionare. Grazie infinite a tutti.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante