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Giuliana Iurlano
Antisemitismo Antisionismo
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Babij Jar. La cancellazione della memoria 26/11/2019
Babij Jar. La cancellazione della memoria
Commento di Giuliana Iurlano

Risultati immagini per Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev
La copertina (Il Mulino ed.)

Il tema dell’oblio è un tema molto delicato e costituisce l’altra faccia della memoria. Quest’ultima – che i greci rappresentavano come Mnemosyne, la dea sorella di Lete (oblio, dimenticanza) e madre delle nove Muse, generate con Zeus (la potenza) – è, dunque, l’arché, il principio del ricordo, principio senza il quale tutti i saperi (le nove Muse) non potrebbero reggersi: essa, infatti, costituisce l’ossatura della struttura disciplinare di ogni singolo sapere. E, tra questi saperi, naturalmente vi è Clio, la musa della storia, che si nutre della memoria e, grazie alla sua potenza derivata geneticamente da Zeus, può mantenere in piedi il ricordo del passato. Ma come funziona la memoria? C’è differenza tra Lete e Mnemosyne? Sono gemelle antitetiche; ma, mentre Lete rappresenta quasi la naturalità dell’oblio, Mnemosyne, invece, deve contrastare tale tendenza biologica e puntare sulla forza (Zeus) della cultura. Dunque, possiamo dire che, mentre l’oblio è naturale, la memoria è un fatto culturale: dobbiamo imparare a ricordare. Per l’ebraismo, il ricordo è fondamentale: l’obbligo del ricordo, Zakhor, ricorre moltissime volte nel testo biblico come imperativo sostanziale per l’ebreo.

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La tragedia della Shoah ha esteso l’obbligo del ricordo all’umanità intera, ma il processo mnestico e, insieme, etico non è stato affatto lineare. I nazisti per primi si incaricarono di cancellare le tracce dello sterminio e, successivamente, i sopravvissuti si scontrarono dapprima con il bisogno generalizzato di dimenticare la sofferenza causata dalle vicende belliche e, poi, con il loro stesso silenzio, spesso durato anni e anni, come risposta alla mancanza iniziale di ascolto. Infine, e finalmente, il bisogno di memoria ha prevalso e oggi luoghi come Auschwitz si sono trasformati in “memoriali”, in cui la sacralità del ricordo procede di pari passo con la ricostruzione storica. Purtroppo, non è avvenuto così dappertutto. La stessa storiografia sulla Shoah ha risentito per molto tempo della mancanza di memoria storica, soprattutto per quanto riguarda l’Europa orientale, dove lo sterminio degli ebrei ha avuto fisicamente inizio. Dopo la rottura del patto segreto Molotov-Ribbentrop e l’invasione tedesca dell’Urss, i nazisti presero Kiev – la capitale ucraina multietnica, con una presenza ebraica molto significativa – il 19 settembre 1941, dopo settantatré giorni di assedio, individuando immediatamente Babij Jar come il luogo ideale per le prime eliminazioni sommarie. Di norma, l’annientamento della popolazione ebraica era preceduto dall’iter perverso delle operazioni di registrazione, concentramento e isolamento. A Kiev, invece, nel settembre del 1941, si passò immediatamente alla fucilazione degli ebrei, grazie al Sonderkommando 4a, composto per la maggior parte da collaborazionisti ucraini, anche perché i sovietici, prima di abbandonare la città, avevano minato alcuni punti nevralgici e compiuto atti di sabotaggio. Il burrone di Babij Jar si trasformò ben presto in una gigantesca tomba dove almeno 40.000 ebrei furono sterminati in quello che sarebbe stato ricordato come l’“Holocaust by bullets”. La storiografia ha taciuto per molto tempo su questa parte della Shoah, anche per le scelte politiche dell’Unione Sovietica, che – dopo l’ingresso a Treblinka e ad Auschwitz dell’Armata Rossa – decisero di “non dividere i morti”, di fatto celando la verità più importante costituita dal fatto che le vittime erano soprattutto ebrei di tutte le età. In un importante saggio di Antonella Salomoni (“Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev”, Bologna, Il Mulino, 2019, pp. 350) vengono ricostruite passo per passo le vicende attraverso le quali oblio e memoria si intrecciano in un percorso lacerante di celamento della verità storica – coniugato con il progressivo crescendo di antisemitismo delle autorità sovietiche – e di inutili tentativi di mantenere viva la memoria storica di Babij Jar. Salomoni analizza il ruolo avuto da scrittori, pittori, musicisti e poeti nel ricordare quella Shoah volutamente dimenticata e le proposte avanzate perché il luogo dello sterminio diventasse a tutti gli effetti un vero e proprio “memoriale”. Nel 1962, il burrone fu ricoperto da tonnellate di terra mescolate ad acqua e il confinante cimitero ebraico di Luk’janivka definitivamente smantellato. Per evitare che il terreno melmoso si muovesse, fu costruita una diga con pozzi e canali di derivazione per lo scolo idrico, nella speranza che la poltiglia decantasse e si depositasse. Ma il 13 marzo 1961 i calcoli degli ingegneri si rivelarono errati e le acque del disgelo primaverile ruppero l’argine, provocando un enorme torrente di fanghiglia che investì l’intero quartiere di Kurenivka. Passarono molti anni prima che le autorità sovietiche autorizzassero la costruzione di un monumento dedicato genericamente alle vittime della barbarie nazista. Lo scrittore Viktor P. Nekrasov, che tanto si era battuto contro la manipolazione e la cancellazione dell’eccidio, continuò a gridare a gran voce la sua protesta contro quell’“oltraggio ai morti” e contro il terribile ordine di “dimenticare Babij Jar”, mentre Elie Wiesel, nel 1979, di fronte alla palese negazione di Babij Jar, sentiva la rabbia straripargli in petto: “Come osano falsificare la verità fino a questo punto? Chi ha permesso, chi ha ordinato di commettere questo sacrilegio? Gli ebrei uccisi, per quale motivo furono uccisi?”.


Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta


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