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La Stampa Rassegna Stampa
25.11.2019 Grillo incontra l'ambasciatore cinese: M5S pericolo per la democrazia e amico di regimi criminali
Cronaca di Jacopo Iacoboni

Testata: La Stampa
Data: 25 novembre 2019
Pagina: 11
Autore: Jacopo Iacoboni
Titolo: «Grillo, visita top-secret nell’ambasciata cinese»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/11/2019 a pag.11 con il titolo "Grillo, visita top-secret nell’ambasciata cinese" il commento di Jacopo Iacoboni.

Beppe Grillo, pur non avendo alcun incarico di governo, incontra l'ambasciatore cinese Li Junhua. Ancora una volta è l'ex comico il padrone del Movimento 5 stelle, che non ha nulla di democratico e rappresenta un pericolo per la democrazia in Italia. Come se non bastasse, la politica estera di marca 5 stelle è tutta improntata all'amicizia verso dittature come Cina, Russia, Iran.
Le cronache di tutti gli altri quotidiani non tengono conto del fatto gravissimo dal punto di vista istituzionale. Che i 5Stelle siano di fatto una proprietà privata è già un enorme scandalo, ora anche la politica estera non ha più alcun pudore a rivelare pubblicamente le sue attività extra governative. Ma ancora più grave è l'assenza di critiche.

Ecco l'articolo:

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Jacopo Iacoboni

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Beppe Grillo ieri con l'ambasciatore cinese


Come sempre, quando viene scoperto, Grillo prova a buttarla in spettacolo: così, ieri, ha scritto sui social che la sua visita venerdì all’ambasciatore cinese Li Junhua è stata una cosa di amicizia, «gli ho portato del pesto e gli ho detto che se gli piacerà dovrà avvisarmi in tempo perché sarei in grado di spedirne una tonnellata alla settimana, sia con aglio che senza, per incoraggiare gli scambi economici». La realtà è molto più seria; e forse non fa ridere. Partiti da Mosca, i 5 stelle sono ormai stabilmente nell’orbita geopolitica di Pechino. Grillo pubblica sul suo blog testi che negano la repressione contro gli uiguri e descrivono la Cina (e lo Xinjiang) come un Paradiso nei diritti umani. Il ministro degli esteri Luigi Di Maio si rifiuta di dire una parola sulla repressione a Hong Kong. E venerdì sera, la discesa a Roma del comico - salutata dal Pd come evento per puntellare Conte e ridimensionare proprio Di Maio - era in realtà dettata da un appuntamento ai Parioli: all’ambasciata cinese, dove Grillo è stato per due ore e mezzo. Non è chiaro in quale veste Grillo tenga incontri di questo genere. Né si conoscono i dettagli della cena e delle conversazioni. Quel che è certo è che da tempo il Movimento di Casaleggio ha consolidato una relazione fortissima con Pechino (in realtà già nel 2013 il primo ambasciatore che Grillo e Gianroberto Casaleggio andarono a visitare dopo il boom elettorale fu il cinese Ding Wei). Di Maio un anno fa ha firmato il celebre memorandum sulla Via della Seta, che ha prodotto forti fastidi negli Stati Uniti, ma in un anno ha portato ben poco di concreto all’Italia (al contrario Macron, senza firmare memorandum, ha incassato 40 lucrosi contratti bilaterali Francia-Cina). Il governo Conte1 aveva creato una corsia preferenziale per Huawei nella costruzione dell’infrastruttura per il 5G in Italia, e sembrava che il Conte2 - con il decreto cyber, che è stato il suo primo atto - volesse frenare, almeno su questo riallineandosi a Occidente. Macché: la versione definitiva, grazie a un costante lavoro di modifiche dei parlamentari 5S, «non ha affatto contrariato Huawei», ci racconta una fonte che ha seguito il negoziato, e notato la presenza di lobbisti cinesi nel Palazzo. Nei giorni in cui in aula i grillini chiedevano (favoriti dal Pd e ostacolati solo da Fratelli d’Italia) di tagliar corto la discussione generale sul testo, cioè di blindarlo, il ceo di Huawei Italia, Thomas Miao, accettava di inaugurare la convention milanese organizzata dalla Casaleggio associati sul 5G. Lieve conflitto d’interessi? Il premier Conte, pochi giorni fa, parlando alle assise delle aziende italiane nel comparto dell’intelligence, sul 5G è stato chiarissimo: «Le porte non sono spalancate a priori per nessuno, e non sono pregiudizialmente chiuse per nessuno». Grande gioia al quartier generale di Huawei, perché le porte - così avevano capito gli americani a fine agosto - dovevano invece esser assai più chiuse ai cinesi.

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