'Il jihad e l'odio contro gli ebrei', di Matthias Kuentzel Recensione di Vincenzo Pinto
Testata: Il Foglio Data: 21 novembre 2019 Pagina: 3 Autore: Vincenzo Pinto Titolo: «»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi 21/11/2019, a pag. 3, la recensione al libro di Matthias Kuentzel "Il jihad e l'odio contro gli ebrei" di Vincenzo Pinto.
Vincenzo Pinto
La copertina (Belforte ed.)
Com’è noto, le ideologie totalitarie del Novecento hanno secolarizzato le religioni, inglobandone buona parte dei motivi, delle ansie e delle aspirazioni. Comunismo, nazismo e altre forme di ismi hanno promesso il paradiso e hanno realizzato l’inferno. Individuare il filo rosso che lega le ideologie totalitarie ai movimenti di liberazione nazionale non è affatto facile, anche perché si rischia di esagerare la portata dell’ideologia oppure di sminuirne la rilevanza ai fini politici. Nell’uno e nell’altro caso si cade nel “paradosso del marxismo”, cioè nell’aver parlato di primato della prassi riuscendo, nel migliore dei casi, a fare solo filosofia materialistica. Tutta questa premessa è d’obbligo nel momento in cui dobbiamo presentare il saggio di Matthias Küntzel. Politologo tedesco al centro di numerose controversie, Küntzel ha deciso di costruire un saggio di storia delle idee sul nesso fra nazionalsocialismo e islamismo. La tesi del volume è esplicitata all’inizio: “Il mio libro dimostra che al Qaida e gli altri gruppi islamisti sono guidati da un’ideologia antisemita che e stata trasferita al mondo islamico nel periodo nazista. Il volume mostra come la visione paranoide dei nazisti e la ‘realtà immaginaria’ che guidò le loro azioni dominino le menti dei terroristi islamisti e determinino le loro politiche odierne, e trae conclusioni sull’attuale scontro globale” (pp. 76-77). “Realtà immaginaria” è il fulcro di tutto il libro e spiega al contempo le critiche piovute a vario titolo sullo studioso tedesco. Dopo la presentazione di Jeffrey Herf e la prefazione analitica di PierreAndré Taguieff, l’autore ricostruisce la storia dell’islamismo radicale partendo dai Fratelli musulmani e dal muftì di Gerusalemme durante il periodo mandatario. Di particolare attenzione è un discorso rivolto dal muftì agli imam delle SS islamiche bosniache, dove sono riportati i punti di contatto fra nazismo e islamismo (pp. 122-123). L’Egitto torna a essere protagonista nel secondo capitolo, dove l’Küntzel mostra la presenza tutt’al - tro che sotterranea dell’ideologia islamista nel paese dei “socialisti arabi” (con le baionette), da Nasser sino a Mubarak. Il terzo capitolo analizza la storia di Hamas e i legami tra l’egiziano Arafat e il Muftì. Il quarto capitolo si concentra sui legami tra Bin Laden e i Fratelli musulmani. L’attentato dell’11 settembre sarebbe la realizzazione consapevole di un piano presente sin dalle origini nell’ideologia islamista del movimento egiziano. I Fratelli musulmani sono diventati un’organizzazione di massa non come movimento coloniale, ma come “movi - mento antiebraico” (p. 264). Le affinità elettive tra islamismo e nazismo non sono state comprese appieno dalle potenze coloniali (dopo la Seconda guerra mondiale), né da molti studiosi e opinionisti degli ultimi anni, affannati a “capire” (cioè giustificare) il fenomeno dell’odio antiebraico alla luce delle “colpe” occidentali verso le popolazioni arabe. Torniamo al punto centrale di questo saggio di storia delle idee. La realtà, come sappiamo, è sfuggente se non è ancorata ai fatti, se cioè non è empiricamente conoscibile. Ancor più evanescente è la realtà immaginaria: sovrapponendo pensiero ed essere, essa rifiuta categoricamente qualsiasi ancoraggio all’esistente. Vogliamo dunque dire che la polemica sul libro di Küntzel è basata sul niente? Che fare storia delle idee significa fare psicopatologia delle intenzioni? Può darsi. Resta il fatto che è sempre opportuno fare attenzione alle parole, perché, come nel caso del jihad antiebraico, spesso sono ben più pericolose delle bibliche pietre (non d’i nciampo).
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