Riprendiamo da PANORAMA, di oggi, 20/11/2019, con il titolo "Io sto con Israele", l'analisi di Maurizio Belpietro.
Maurizio Belpietro
Nel febbraio del 1991 il giornale per cui lavoravo, l'Europeo, mi inviò in Israele, al seguito di un gruppo di ebrei italiani e di politici milanesi. Era un viaggio della vicinanza, un modo per manifestare sostegno, perché in quei mesi le città israeliane erano prese di mira dai missili di Saddam Hussein. Ricordo i crateri provocati dagli Scud iracheni nei quartieri di Tel Aviv e gli arrivi, nonostante la guerra, degli aerei carichi di ebrei russi in cerca della terra promessa. Ricordo anche le serrande abbassate nei negozi del quartiere arabo di Gerusalemme e la paura negli occhi del negoziante palestinese che, dovendo sfamare la famiglia, cercava di vendermi qualche oggetto, rischiando la vendetta dei miliziani di Hamas che imponeva con le armi il coprifuoco e l'Intifada. I morti che addebitavano agli israeliani a volte erano infatti solo commercianti, che per aver venduto qualche cosa erano accusati di collaborazionismo. Da allora, dopo quello che ho visto e soprattutto dopo aver toccato con mano la faziosità di gran parte della stampa italiana sul conflitto arabo-israeliano, sto dalla parte di Israele, senza se e senza ma. Certo, non sono mai andato a braccetto degli Hezbollah, cioè degli esponenti di un movimento terroristico libanese, come certi ministri degli Esteri della sinistra tipo Massimo D'Alema, il quale non si fece scrupolo di dimostrare la vicinanza a un gruppo che spesso e volentieri aveva tirato missili su Israele. Tutto ciò per dire che non sono certo sospettabile di antisemitismo, di fascismo (non ho mai nutrito nostalgia per il Ventennio) e neppure di tutti quei sentimenti che si nutrono di discriminazione. Ho anche grande rispetto per la tragedia di Liliana Segre, che fu deportata insieme alla famiglia ad Auschwitz, vivendo sulla propria pelle e su quella dei propri cari la Shoah. Nessuno che abbia visitato - e io l'ho fatto due volte - Yad Vashem, ossia il memoriale dell'Olocausto, può non averlo. Dunque sono lieto che Liliana Segre sia stata nominata senatore a vita, perché penso che sia un parzialissimo risarcimento per le leggi razziali del 1938. E mi fa orrore che qualcuno, sui social o altrove, la insulti o la offenda. Ciò premesso, non posso però non dire che la commissione che si è votato istituire in Parlamento per indagare sui fenomeni di discriminazione serve solo a strumentalizzare la storia della senatrice Segre ai fini di una lotta politica. In Italia esiste dagli anni Cinquanta una legge che punisce chiunque provi a ricostituire il partito fascista e spesso la magistratura è chiamata a giudicare atteggiamenti o movimenti ritenuti fascisti. Dal 1993 è in vigore la legge Mancino, dal nome dell'ex ministro dell'interno ed ex presidente del Senato, che non solo ribadisce il divieto di costituire movimenti che si ispirino al fascismo, ma sanziona penalmente chiunque discrimini le persone in base alla razza o alla religione. E anche in questo caso il giudizio è rimesso alla magistratura. Dunque, diciamo che se c'è un nazista o un fascista in circolazione e se questo nazista o fascista minaccia la sicurezza di un ebreo (ma anche di un musulmano o di un valdese) il nostro codice può essere tranquillamente applicato. Perciò non si capisce a che cosa serva una commissione d'inchiesta con poteri della magistratura. La legge c'è e chi la viola può essere condannato. Per quale ragione dunque un gruppo di persone in Parlamento dovrebbe indagare sulle discriminazioni sovrapponendosi all'azione delle Procure? Serve alla lotta politica, in particolare a qualcuno che intende usare l'arma della commissione per convocare, interrogare e semmai censurare le persone che su certi argomenti non hanno un pensiero politicamente corretto. In parole povere, serve a dire che in Italia si rischia il ritorno del fascismo e del nazismo, che chi critica l'immigrazione dissennata discrimina le persone in base al colore della pelle o della religione, che l'Italia è un Paese sostanzialmente xenofobo, islamofobo, segregazionista e razzista. Non importa che le indagini demoscopiche dicano il contrario e neppure che le elezioni ogni volta smentiscano questa tesi (perché i cosiddetti movimenti di estrema destra, alle elezioni prendono sempre lo «zero virgola»). Non importa neppure che si lancino allarmi che non hanno alcun fondamento, come i numeri delle minacce quotidiane contro Liliana Segre e gli ebrei italiani, passati sulle pagine di Repubblica da 200 l'anno - come sono - a 200 al giorno, con il risultato di gonfiare il fenomeno e di accreditare a mezzo stampa una falsità. L'antisemitismo non c'è, ma bisogna continuare a evocarlo, perché altrimenti gli antifascisti in servizio permanente effettivo non saprebbero più cosa fare. E da disoccupati, senza la mission di difendere la democrazia dalle squadracce nere, si troverebbero all'improvviso a doversi cercare un lavoro e una professione. Dunque a noi tocca il fascismo latente, che non c'è, ma è addormentato e sul punto di risvegliarsi appena se ne presenterà l'occasione. Anzi, è già sulla rampa di lancio delle strumentalizzazioni, pronto a essere utilizzato al bisogno. Perché a questo serve la commissione. Non ad aiutare gli ebrei italiani a difendere la propria storia e la propria identità e a rammentare lo sterminio. Serve a colpire qualcuno che non la pensa come il pensiero dominante. Risultato, con la commissione ci attende un fiume di melassa, anzi un fiume di retorica. Come se non ci bastasse quella del fascismo, ci tocca pure quella dell'antifascismo. Anzi, quella dell'antirazzismo. Perché la commissione vuote arrivare li, a impedire di parlare degli immigrati, accolti dalla sinistra come nuovi italiani, ma anche come nuovi schiavi a basso costo. lo sto con Israele e con gli ebrei, non con chi usa l'antisemitismo per impedire di parlare di immigrazione, paragonando le leggi razziali al decreto sicurezza, i barconi affondati all'Olocausto. lo sto con Israele e gli ebrei, non con chi banalizza a fini politici la Shoah.
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