Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/11/2019, a pag.13, con il titolo "Esplode la rivolta della benzina in Iran. Migliaia di arresti e Internet oscurato" la cronaca di Francesco Iannuzzi; con il titolo 'Gli ayatollah hanno paura del popolo. Oggi è possibile un cambio di regime', l'intervista di Gianni Vernetti alla giornalista anti-regime Masih Alinejad.
Ecco gli articoli:
Francesco Iannuzzi: "Esplode la rivolta della benzina in Iran. Migliaia di arresti e Internet oscurato"
Proteste di piazza in Iran
L'Iran è da due giorni in fiamme per una rivolta popolare che sta interessando una dozzina di città, compresa Teheran. Tutto è cominciato quando il governo ha deciso l'aumento del prezzo della benzina e di alcuni generi di prima necessità. Ci sarebbe già «un certo numero di morti» ha annunciato il canale televisivo della Repubblica islamica «Press Tv». Migliaia sarebbero gli arresti compiuti dalle forze di sicurezza inviate a sedare le rivolte. Tra i morti anche un poliziotto ucciso dalla folla a Kemanchar, nel nord del Paese. I maggiori danni si sono verificati nelle province di Khuzestan, Teheran, Fars e Kerman. In tutto il Paese sono state incendiati o saccheggiati cento agenzie bancarie e 57 negozi; una succursale della Maskan Bank è stata data alle fiamme in piazza Sadegian, nella parte occidentale di Teheran, isolata da un ampio dispiegamento di mezzi antisommossa, presenti anche in altre zone della capitale. I disordini hanno anche causato la parziale chiusura del Gran Bazaar di Teheran, ha confermato l'Associazione islamica delle corporazioni e dei mercati. Ma trapela poco dall'Iran sulle proteste in corso, le autorità, per impedire la diffusione delle immagini della repressione, hanno «limitato l'accesso pubblico a Internet la scorsa notte e per le prossime 24 ore», ha affermato l'agenzia di Stato Irna. Le autorità sono comunque decise a reprimere con fermezza le proteste e la guida suprema, l'ayatollah Khamenei ha avvertito: «Danneggiare e bruciare non è qualcosa che la gente dovrebbe fare, è teppismo». Ancora più chiaro il messaggio lanciato ai manifestanti dall'intelligence iraniana che ha annunciato che risponderà con determinazione contro quei manifestanti che prendono parte ad azioni vandaliche: «Non verrà risparmiato alcuno sforzo allo scopo di salvaguardare la sicurezza nazionale». Appena più morbido l'intervento del presidente Hassan Rohani che ha affermato che «manifestare il proprio malcontento è un diritto, ma la manifestazione è una cosa e la rivolta è un'altra». Tutto è cominciato quando il governo ha deciso l'aumento del 50 per cento del prezzo della benzina e anche il suo razionamento. Il costo al litro è salito a 15.000 rial (10 centesimi di euro) dai 10.000 e per ogni auto il tetto massimo è stato portato a 60 litri. Superata questa quota il prezzo per litro è stato portato a 30.000 rial. Un aumento che crea grande disagio e difficoltà in un Paese dove i collegamenti e i commerci tra le città si svolgono prevalentemente su ruote.
Gianni Vernetti: 'Gli ayatollah hanno paura del popolo. Oggi è possibile un cambio di regime'
Gianni Vernetti
Masih Alinejad
Masih Alinejad, 42 anni, è una notissima giornalista iraniana che ha iniziato la propria carriera nel 2001 scrivendo sul quotidiano «Hambastegi». Nel 2005 è stata cronista parlamentare. E in questa veste è diventata nota per gli articoli lucidi e pungenti contro la corruzione del sistema politico iraniano e contro le violazioni dei diritti umani. Allontanata dal Parlamento, nel 2009 ha abbandonato l'Iran per le troppe minacce. Dal suo esilio a New York ha lanciato le campagne «My Stealthy Freedom» e «White Wednesday» contro il velo.
Il presidente Rohani descrive l'Iran come un Paese che vuole pace e stabilità internazionale eppure continua a reprimere ogni forma di dissenso interno come si vede dalla linea dura in questi giorni di proteste per il caro-benzina. Qual è la realtà? «Il regime teocratico degli ayatollah terrorizza i propri cittadini e prende ostaggi fra i dissidenti. Pochi giorni fa è stato arrestato mio fratello, che non svolge alcuna attività politica solo per aumentare la pressione nei miei confronti. Ed è solo l'ultimo di migliaia di arresti».
Cosa significa essere giornalista e donna oggi in Iran? «Ho lavorato tutta la vita come giornalista. I miei articoli erano ritenuti troppo critici. Non veniva contestato il merito di ciò che scrivevo, ma il mio essere una donna: con il velo che non mi copriva abbastanza o per atteggiamenti giudicati poco consoni alla "morale islamica"».
Come è nata la campagna contro il velo obbligatorio? «Poco dopo il mio arrivo a New York pubblicai su Facebook una mia foto senza velo ed una frase: "Ogni volta che sono in un paese libero, quando corro e posso sentire il vento fra i miei capelli, mi ricordo di come i miei capelli, il mio corpo, la mia vita siano stati per troppo tempo ostaggio nelle mani del regime iraniano». Arrivarono migliaia di commenti entusiasti. Poi ho iniziato a pubblicare alcune mie foto senza velo in Iran e chiesi: lo avete fatto anche voi? Volete condividere con me? A quel punto fui letteralmente bombardata da migliaia di foto e video di donne senza velo a Teheran e in tutto il Paese».
Un piccolo gesto si è trasformato in un grande movimento di disobbedienza civile. «Si, proprio così. E la protesta è andata ben oltre le mie aspettative coinvolgendo migliaia di donne in tutto il Paese. Sono così nate la campagne "My Stealthy Freedom" e "White Wednesday" che, grazie ai social media, si sono diffuse in modo spontaneo ed hanno assunta una dimensione tale che preoccupa molto il regime».
Il regime ha reagito con arresti e pesanti condanne. «Sì, è orribile. Alla fine di luglio 3 donne che avevano aderito alla campana contro il velo obbligatorio hanno subito condanne pazzesche in un processo farsa: due di loro Monireh Arabshahi e Yasaman Aryani (madre e figlia), sono state condannate a 16 anni di prigione a testa; Mojgan Keshavarz, a 23 anni e 6 mesi. Saba Kord Afshari, una ragazza di 20 anni, è stata condannata a 24 anni di detenzione. Fra le motivazioni, l'accusa di favoreggiamento della prostituzione. L'enormità di queste condanne dimostra come il regime sia spaventato dalle proteste spontanee».
Chi sono queste donne che sfidano le leggi degli ayatollah? «Sono donne che non fanno parte di un'organizzazione, né di un gruppo politico. Donne normalissime, di tutti i ceti sociali che vivono a Teheran e in campagna. Gli ayatollah sono terrorizzati dal rischio di contagio e dalla sfida che proviene dalla gente più semplice. Puoi mettere fuorilegge un'associazione o un partito politico, non puoi arrestare milioni di donne».
Crede che un cambio di regime sia possibile in Iran? «Io vengo dalla cosiddetta "area riformista" e ho votato per i candidati "riformisti", ma in 40 anni i cambiamenti sono stati marginali. Quel che sta succedendo è la crescita dal basso della voglia di vivere in un Paese democratico e secolare, nel quale la religione è separata dallo Stato. Credo sia possibile un cambio di regime».
Crede che la comunità internazionale debba fare di più per sostenere le iraniane che si levano il velo in pubblico? «Si, magari evitando di assecondare qualunque follia del regime di Teheran. Amo l'Italia e non vorrei parlarne male. Ma per noi fu un insulto vedere che, in occasione della visita ufficiale di Rohani a Roma, vennero coperte le statue dei Musei Capitolini. Mi fece soffrire vedere una cultura millenaria costretta a nascondere le proprie splendide opere d'arte per assecondare le richieste di un'anacronistica e barbara dittatura».
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