Il velo islamico in gita scolastica: un'eccezione tipicamente francese
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
In questa fine del 2019, mentre dall'Asia all'America Latina, dall'Africa al Medio Oriente si susseguono sanguinosi conflitti, un’altra grave preoccupazione scuote le democrazie occidentali. Si tratta dell'uso del velo islamico nello spazio pubblico. Un’espressione peraltro che si presta a diverse interpretazioni. La Francia proibisce il velo integrale (burka e niqab) mentre adotta una posizione molto più imprecisa sull'hijab, un velo che si può indossare in vari modi, dal più discreto che copre solo i capelli alle versioni più rigorose che coprono le spalle. E’ in gioco il principio della laicità, uno dei pilastri della democrazia francese. Le madri che accompagnano i loro figli nelle gite scolastiche possono indossare questo accessorio? Bisogna vedere in TV come le pubblicità e i dibattiti politici affrontano l’argomento; la carta stampata non è da meno e gli dedica molto spazio. Tutte le istituzioni dello Stato, dalle autorità municipali fino al parlamento e al governo, hanno affrontato il problema. Tanto più che riguarda un tema scottante: l'islamofobia che si sarebbe diffusa in Francia e le minacce ai fedeli musulmani, al punto che si prevedono raduni di manifestanti contro questo fenomeno e si svolgerà una marcia di dimostranti. “Si tratta di combattere un atteggiamento di odio cieco che spinge a maltrattamenti e reati contro i fedeli veri o presunti di una religione”, proclama Mélenchon leader del movimento La France insoumise, lui che non ha mai dimostrato uno spirito così battagliero né tanta volontà riguardo all’odio verso gli ebrei. Queste proteste reclamano, tra gli altri, il diritto delle donne di vestirsi come meglio credono. Soltanto si ha l'impressione che per i fautori di questa libertà, essa sia limitata esclusivamente all'uso del velo. E’ fuori discussione che di tale libertà possa fruirne la ragazzina in gonna o minigonna, o una signora con una generosa scollatura o le donne di tutte le età che vogliono godersi il bikini in piscina. È risaputo che in alcuni quartieri è meglio evitare abiti che “ferirebbero la sensibilità dei residenti.” È che potrebbero scatenare reazioni…violente.
Le leggi della repubblica non sarebbero applicabili in tutto il territorio e ci sarebbero suscettibilità molto legittime da rispettare. Suscettibilità in gran parte a senso unico. Fuori da questi quartieri sensibili, un pio musulmano che indossi un abito lungo, la barba e uno zucchetto bianco può camminare per le strade di Parigi senza alcun timore. Al momento della preghiera, talvolta si vedono gruppi di fedeli inginocchiati in mezzo alla strada, bloccando il passaggio delle auto e dei pedoni. Che dire invece della scolaretta o della studentessa che esibisce con orgoglio la sua Stella di David al collo? Di uno studente che ha una kippà in testa? Non si conta più il numero di aggressioni subite da giovani e meno giovani, aggrediti solo perché riconosciuti ebrei. I giornali, quando riportano questi episodi, spesso si lasciano andare a commentare che è meglio evitare qualsiasi provocazione. Tra l’altro, nelle mense scolastiche si esita a servire il prosciutto, eppure è il piatto preferito dai bambini, per non “offendere” i piccoli musulmani. Anche i piccoli ebrei non mangiano carne di maiale, ma nessuno si sarebbe mai sognato di rimuoverla dal menu. “Tutti gli animali sono uguali”, scrisse George Orwell, “ma alcuni animali sono più uguali di altri.”
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".