Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/11/2019, a pag.17, con il titolo "Il capo militare curdo: 'Trattiamo con gli Usa ma Trump rispetti i patti'" l'intervista di Gabriella Colarusso con Mazloum Abdi Kobani, capo militare kurdo
Mazloum Abdi Koban
Da apprezzare le risposte di Mazloum Abdi Koban, è l'assenza dell'Europa e degli Usa che deve scandalizzare, tante parole solidali ma nessuna azione concreta, solo complicità col massacratore Erdogan
Gabriella Colarusso
La sera del 18 dicembre 2018 Mazloum Abdi Kobani venne convocato con urgenza da Joseph Votel, allora comandante delle forze americane in Medio Oriente: per ordine del presidente Donald Trump, gli disse in video conferenza, le truppe degli Stati Uniti si sarebbero ritirate dalla Siria del Nord nel giro di qualche settimana. Un colpo duro per l'uomo che dall'assedio di Kobane nel 2014 era stato uno degli alleati più importanti dell'America nella regione, comandante delle Sdf, le forze democratiche siriane arabo curde che hanno combattuto e sconfitto l'Isis in Siria con la copertura aerea degli Stati Uniti. Mazloum Abdi Kobani è il nome di battaglia di Ferhat Abdi Sahin, 52 anni, un passato di militanza nel Pkk, il partito indipendentista curdo che è nella lista delle organizzazioni terroristiche degli Stati Uniti e della Turchia. Erdogan l'ha definito un terrorista pericoloso, su di lui pendono un mandato di cattura e una richiesta di estradizione di Ankara agli Stati Uniti. 11 4 ottobre scorso l'America gli ha di nuovo voltato le spalle. «Hanno aperto i cieli ai bombardamenti turchi ed è stato un grande shock per il nostro popolo, oltre ad essere una violazione degli accordi e delle promesse che gli Stati Uniti ci avevano fatto. Ora ci aspettiamo che le rispettino», dice Abdi, raggiunto nel Nord della Siria con la mediazione dei suoi collaboratori mentre continuano gli attacchi da parte turca. Abdi non usa il telefono, come tutta la prima linea delle Sdf. Si sposta di continuo. Ha risposto per iscritto alle domande di Repubblica.
Comandante Abdi, Al Baghdadi è morto, ma l'Isis ha già nominato un nuovo leader, Abu Ibrahim al Hashim al Qurashi. Quanto ancora è forte lo Stato islamico in Siria?
«L'organizzazione continua ad avere grandi quantità di denaro dai suoi traffici in Iraq e in Siria. Per questo abbiamo alzato il livello della collaborazione con la coalizione internazionale per colpire le centinaia di cellule dormienti e per arrestare gli altri leader dell'organizzazione».
Lei ha rivendicato un ruolo chiave delle Sdf nella cattura di Al Baghdadi, che è stato ucciso a Idlib, una zona non sotto il vostro controllo. Qual è stato il contributo delle Sdf all'operazione?
«La nostra intelligence militare è riuscita ad arruolare i più vicini collaboratori di Al Baghdadi, il che ci ha consentito di avere i più piccoli dettagli sui suoi spostamenti e sui suoi nascondigli. Ciò che ha complicato le cose è il fatto che Al Baghdadi si nascondesse in aree coperte dal fuoco dei militari turchi»
.II presidente turco Erdogan l'ha definita un "terrorista" chiedendo agli Stati Uniti di arrestarla ed estradarla. Che cosa risponde alle accuse della Turchia?
«Che non ci si può aspettare nulla di diverso da una persona che non nasconde al mondo il suo progetto di massacrare il nostro popolo e che minaccia chi non lo aiuta a realizzare il suo progetto».
Considera un tradimento il ritiro dei soldati Usa?
«E stata una luce verde per l'attacco turco contro la nostra gente. Gli americani hanno aperto i cieli ai bombardamenti turchi: un grande shock per il nostro popolo oltre ad essere una violazione degli accordi e delle promesse che gli Stati Uniti ci avevano fatto».
Che cosa state negoziando ora con Washington?
«Quel che ci interessa è proteggere il nostro popolo dal terrorismo dell'Isis, dalle distruzione e dalla guerra di Erdogan. Ci sono state offerte delle garanzie dagli Stati Uniti, ma c'è un certa lentezza nella realizzazione sul terreno di queste garanzie». State trattando anche con il regime siriano. Che cosa vi aspettate da Damasco?
«Non siamo al punto di un dialogo diretto con il governo di Assad, parliamo attraverso i russi, che fanno da garanti. Ma non saremo parte di alcun accordo che non preveda la difesa del nostro popolo, della sua libertà politica, amministrativa, economica e culturale».
È possibile che le Sdf, o solo le Ypg, si sciolgano per entrare nell'esercito nazionale siriano come ha chiesto Assad?
«Le unità di difesa popolare, Ypg, sono una parte importante delle Sdf, e noi vogliamo che facciano parte del sistema di difesa siriano a patto però che se ne rispetti la specificità dei comandi miliari, politica e geografica».
Vi fidate della Russia e di Assad?
«Non abbiamo alcuna fiducia, ma non è possibile risolvere i problemi della Siria se non attraverso la via politica. Dobbiamo trattare. E questo non può avvenire se non con forti garanzie da parte di tutta la comunità internazionale, compresa l'Europa. Il nostro obiettivo proteggere la sovranità nazionale della Siria e l'unità del suo territorio, il rispetto della specificità delle nostre forze armate e della nostra regione».
I siriani dell'opposizioneche vivono nelle aree sotto il vostro controllo temono il ritorno dell'esercito di Assad: sarete in grado di proteggerli? «Lavoriamo con tutte le nostre forze affinché tutti nella Siria del Nord possano vivere in libertà e dignità. È l'unica scelta possibile per noi».
Trump ha scritto: forse il momento per i curdi di "spostarsi verso la regione del petrolio", molto più a Sud della "safe zone" voluta dai turchi. È una soluzione ipotizzabile?
«È una proposta irrealistica e irrealizzabile, la terra è sacra. Non è possibile sradicare una popolazione da un'area per piantarla in un'altra».
Andrà a Washington per incontrare il presidente Usa?
«Il popolo e il governo americano sono stati al nostro fianco e per questo abbiamo il dovere di ringraziarli e di farlo anche nella loro capitale. Diffonderemo maggiori dettagli al momento opportuno».
(Ha collaborato Fouad Roueiha)
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