Riprendiamo da LIBERO di oggi, 31/10/2019, a pag.11 con il titolo "Uccidere al grido Allah Akhbar non è jihadismo" il commento di Mauro Zanon; con il titolo "L'imam di Lugano non sarà cittadino svizzero", il commento di Andrea Morigi.
Ecco gli articoli:
Il terrorismo islamico e le sue vittime
Mauro Zanon: "Uccidere al grido Allah Akhbar non è jihadismo"
Mauro Zanon
Nella chiavetta Usb di Mickaël Harpon, gli inquirenti hanno trovato video di decapitazioni e di propaganda dello Stato islamico. Dopo la strage jihadista di Charlie Hebdo del 2015 aveva esultato, dicendo che i vignettisti del quotidiano satirico si erano meritati quella fine. E si era radicalizzato nella moschea di Gonesse, la banlieue a nord di Parigi in cui abitava, prima di uccidere quattro poliziotti nella prefettura di Parigi dove lavorava come agente informatico per l’intelligence. Ma nonostante tutti questi elementi, gli inquirenti incaricati del dossier Harpon «non privilegiano più la pista terroristica» per l’attentato dello scorso 3 ottobre. La notizia, a dir poco sconcertante, è stata rivelata ieri da France Inter, dopo aver parlato con una fonte vicina all’inchiesta. Secondo questa fonte, la spirale di violenza scatenatasi dopo aver scambiato trentatré messaggi con la sua compagna in cui diceva che Allah gli aveva mandato un segnale, si spiegherebbe, per gli inquirenti, con un «delirio mistico e suicida», sullo sfondo di una frustrazione professionale per il posto di semplice funzionario, aggravata dal suo leggero handicap di sordità.
RADICALIZZATO «Nessun elemento permette attualmente di affermare che si è trattato di un atto terroristico», ha riferito la stessa fonte a France Inter. La sua conversione all’islam, la sua radicalizzazione e i suoi legami torbidi con i salafiti di Gonesse non sono insomma considerati dagli inquirenti come il motore principale che lo ha spinto a passare all’attacco e a uccidere quattro “infedeli”. Inoltre i servizi segreti di Parigi «non hanno trovato alcun legame con un’organizzazione terroristica islamica», sebbene l’imam di Gonesse, Ahmed Hilali, che ha contribuito alla radicalizzazione di Harpon, è schedato “S” dai servizi segreti dal 2015 poiché considerato pericoloso per la sicurezza dello Stato ed è oggetto di un provvedimento di espulsione che non è stato ancora applicato (il colmo, come raccontato qualche giorno fa dal settimanale parigino Valeurs Actuelles, è che Hilali è ancora serenamente sul suolo francese, il suo permesso di soggiorno è stato rinnovato, ed è valido fino al 2020). All’indomani dell’attacco la Procura nazionale antiterrorismo (Pnat) si era incaricata dell’inchiesta. Martedì, la stessa Pnat ha detto che i due giudici istruttori nominati in questi ultimi giorni devono ancora precisare nel dettaglio i motivi del passaggio all’atto, anche se la pista del terrorismo non è più privilegiata.
SETTE AGENTI SOSPETTI Le rivelazioni di France Inter sono arrivate quasi in concomitanza con le dichiarazioni inquietanti del prefetto di Parigi Didier Lallement, che ieri pomeriggio, sentito dalla commissione d’inchiesta dell’Assemblea nazionale sull’attacco di Harpon, ha parlato di sette poliziotti «disarmati dal 3 ottobre», in seguito a segnalazioni per radicalizzazione. Lallement, durante l’audizione, ha aggiunto di aver chiesto alla direzione generale della polizia nazionale (Dgpn) «tre sospensioni», una delle quali è già stata effettuata. In totale, dal 3 ottobre, ci sono state «33 segnalazioni» per sospetti di radicalizzazione. Il presidente della commissione d’inchiesta, Éric Ciotti (gollista), ha chiesto infine maggiori informazioni sulla segnalazione di Harpon nella prefettura del Val d’Oise, a Gonesse, da parte della Dgsi, i servizi segreti interni di Parigi. Il prefetto non ha dato alcuna risposta concreta, dicendo solamente che bisogna aspettare i risultati definitivi dell’inchiesta.
Andrea Morigi: "L'imam di Lugano non sarà cittadino svizzero"
Andrea Morigi
All'imam tunisino della moschea di Lugano-Viganello, la Segreteria di Stato della migrazione ha negato, il 14 settembre 2018, la cittadinanza svizzera in quanto, «dalle verifiche effettuate, egli sarebbe coinvolto in attività di terrorismo islamico». Non è detta l'ultima parola, ma spetta a lui, il tunisino Samir Radouan Jelassi, chiarire «l'origine dei finanziamenti» del luogo di culto dei musulmani residenti nel Canton Ticino.
IL CONTRATTACCO Soltanto che, invece di fornire la documentazione che comprova la trasparenza delle donazioni ricevute, Jelassi va al contrattacco e, assistito dall'avvocato Paolo Bernasconi, presenta una denuncia presso il Ministero pubblico della Confederazione (MpC) nei confronti di «ignoti funzionari dell'Amministrazione federale, con particolare riferimento a funzionari federali attivi presso la Segreteria di Stato della migrazione» e «del Servizio delle attività informative della Confederazione», per diffamazione, calunnia, ingiuria e abuso d'autorità. Il risultato è una sconfitta: il 13 giugno 2019 il Mpc decreta il non luogo a procedere. Ma Jelassi non demorde e si rivolge alla Corte dei reclami penali (Crp) di Bellinzona, la quale il 4 ottobre respinge l'istanza e pone a carico del reclamante la somma di 2.000 franchi di tassa di giustizia. Niente da fare, quindi, per la cittadinanza. Ma la notizia è stata secretata. Lo scrive a Libero lo stesso avvocato Bernasconi, in risposta a una mail con la quale, dopo una telefonata, gli chiedevamo «conferma della sua opposizione alla pubblicazione della sentenza», nella quale «si stabilisce il non luogo a procedere per le autorità che hanno negato la cittadinanza elvetica al suo assistito, l'imam di Lugano Samir Radouan gelassi» e i motivi del ricorso. Una collaboratrice dello studio legale di Lugano, per conto dell'avvocato Bernasconi, ci informa che «mediante sentenza datata 28 ottobre 2019 il Tribunale federale svizzero ha ordinato l'embargo riguardo alla sentenza del Tribunale penale federale, comminando la pena della multa a carico di colui che dovesse violare questo embargo. Questa diffida vale nei confronti di chiunque, compreso il sottoscritto, fino a nuovo ordine». Va preso come un no comment, anche se il quesito riguardava l'esistenza di atti a firma dell'avvocato Bernasconi avverso la decisione della Crp di Bellinzona. In ogni caso, Jelassi continua a predicare in Svizzera, nella stessa moschea che fu frequentata da «persone radicalizzate» come Abderrahim Moutaharrik, il pugile marocchino che si allenava vicino a Lugano, arrestato nel 2016 e condannato in Italia a sei anni di carcere per terrorismo, e il suo presunto reclutatore svizzero-turco dell'Isis, oppure Oussama Kachia, il foreign fighter marocchino di Varese morto in Siria.
RETI ISLAMISTE IN MOSCHEA Il MpC ritiene che Jelassi «non sarebbe stato collaborativo nel corso degli interrogatori eseguiti dal Servizio delle attività informative della Confederazione in quanto non avrebbe agito né cooperativamente né in modo trasparente, e che il suo atte amento sarebbe stato piuttosto sospettoso, le sue esitanti risposte lasciando dubbi sul fatto che volesse nascondere qualcosa con riferimento alle reti islamiste attive nella moschea». Eppure non lo espellono.
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