Libano: le dimissioni del premier Hariri e l'offensiva di Hezbollah Cronaca di Giordano Stabile, editoriale del Foglio
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Giordano Stabile Titolo: «Libano, Hariri si dimette per placare la piazza. Ma Hezbollah attacca la 'rivoluzione pacifica' - Il nervosismo violento di Hezbollah»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/10/2019, a pag.11 con il titolo "Libano, Hariri si dimette per placare la piazza. Ma Hezbollah attacca la 'rivoluzione pacifica' " il commento di Giordano Stabile; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Il nervosismo violento di Hezbollah".
Ecco gli articoli:
Saad Hariri con Mike Pompeo
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Libano, Hariri si dimette per placare la piazza. Ma Hezbollah attacca la 'rivoluzione pacifica' "
Giordano Stabile
Il numero 13 ha portato bene alla rivoluzione libanese. Al tredicesimo giorno di proteste di massa, un milione di persone nelle strade, un quinto della popolazione, il premier Saad Hariri si è dimesso. «Sono in un vicolo cieco», ha spiegato dalla sua residenza accanto al Grand Serail, con dietro il ritratto del padre Rafik. In basso, in piazza Riad al-Solh, la folla ha urlato di gioia. «Nessuna carica è più importante della salvezza di un Paese», ha continuato Hariri, prima di partire per il palazzo presidenziale sulla collina di Baabda a consegnare la lettera di dimissioni al capo dello Stato Michel Aoun. Con lui decade tutto il governo. «Killon», tutti, ripetevano i manifestanti, «ora via tutti». Non sarà così semplice. Aoun ha avviato «consultazioni». L'idea è di arrivare a un governo tecnico, forse guidato dallo stesso Hariri, approvare la legge anti-corruzione e placare la rabbia popolare. L'84enne presidente, cristiano, e il premier sunnita si trovano di nuovo legati dal destino. Hanno subito tutti e due la prepotenza siriana, con Aoun costretto a scappare dal palazzo di Baabda sotto le cannonate dell'esercito di Damasco, nel 1989, e Hariri che ha visto il padre ammazzato da una terrificante esplosione, in un attentato con tutta probabilità organizzato dal moukhabarat siriano. Tutti e due si sono poi accordati con la Siria di Bashar al-Assad ed Hezbollah per arrivare alle loro cariche, tre anni fa. Ora il castello di carte è crollato. Hassan Nasrallah ha provato in tutti i modi a frenare la piazza, impedire la caduta del governo e salvare la sua posizione di forza, anche se defilata. La «rivoluzione» chiede adesso le dimissioni di Aoun e del presidente del parlamento, lo sciita Nabih Berri, che ha fatto un appello «alla calma». Il Libano entra in una fase imprevedibile. La forza della piazza è stata finora la sua compattezza, al di là, delle differenze settarie. Per la prima volta il Mont Liban cristiano si è unito alla Tripoli sunnita, alle Tiro e Nabatiyeh sciite. I giovani con lavori precari, paghe da fame, 400 dollari al mese, si sono mescolati alla classe media delle professioni, impoverita dalla corruzione. Il miracolo della «saura silmieh», la rivoluzione pacifica, è però sotto attacco. Ieri mattina se ne è avuto un primo assaggio, quando un centinaio di militanti del partito Amal e di Hezbollah, con le T-shirt nere e le facce da picchiatori, hanno assalito le tende del sit-in in piazza dei Martiri. Hanno malmenato i ragazzi e strappato i teloni, finché i militari sono intervenuti a respingerli. I dimostranti hanno resistito e la sera, dopo l'annuncio di Hariri, si sono ripresi il centro di Beirut in un clima di festa. I canti delle primavere arabe sunnite si sono di nuovo uniti a «Bella ciao», ai pugni chiusi e ai volti stilizzati di Che Guevara. Hezbollah non cederà così facilmente. È convinto che un governo di tecnocrati spingerà il Paese verso America, Francia e Arabia Saudita, tutori di cristiani e sunniti, e lontano dall'Iran. La situazione economica è disastrosa. Le banche sono chiuse da due settimane perché temono un assalto dei correntisti, pronti a svuotare i conti, e a farle fallire. Il deficit viaggia all'11 per cento del Pil. Anche se parte dei 230 miliardi rubati dai politici, quattro volte il Pil annuale, venisse recuperato, serviranno misure impopolari. La piazza potrebbe esplodere, Hezbollah intervenire per «evitare il caos» e prendersi metà del Paese, da Tiro al centro di Beirut. Lo ha già fatto nel 2008. I falangisti sul Mont Liban, i drusi nello Chouf sono pronti a rispolverare gli arsenali sepolti da trent'anni. Servirà sangue freddo, da parte di tutti.
IL FOGLIO: "Il nervosismo violento di Hezbollah"
Terroristi di Hezbollah
Tredici giorni di protesta hanno funzionato in Libano e a raccontarlo non sono soltanto le dimissioni di ieri del primo ministro, Saad Hariri. E’ soprattutto il violento nervosismo di Hezbollah, il Partito di Dio e milizia sciita che fa parte del governo e che al governo vuole rimanere. Le dimissioni del premier sono arrivate dopo che i sostenitori del movimento sciita hanno attaccato in camicia nera i manifestanti nella piazza di Beirut, fortunatamente ancora poco popolata in attesa della protesta serale. La mossa di Hariri, suggellata da una celebre frase del padre, l’ex premier Rafiq ucciso nel 2005 – “Nessuno è più grande del suo paese” – va nella direzione delle rivendicazioni della piazza e contro i suoi principali alleati di governo: contro il presidente cristiano Michel Aoun; contro Gebran Bassil, ministro degli Esteri che non lascia il suo posto nonostante sia obiettivo degli insulti più virulenti della piazza; contro il segretario generale del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, che ripete da giorni il suo ritornello: il governo resta, tutto intero. Perché senza i soldi dell’alleato iraniano affaticato dalle sanzioni americane, il potere di Hezbollah risiede ora soprattutto nei suoi seggi in Parlamento. Ed è il Parlamento che, dopo consultazioni, nominerà un nuovo premier. Difficile però che i partiti tradizionali, guardiani del confessionalismo in affanno davanti alla contestazione che mette a rischio la loro legittimità, riescano a trovare unità nell’emergenza. Hariri potrebbe essere un candidato, ma forse soltanto in cambio di un esecutivo tecnico. Lo stallo – probabile – potrebbe significare che il premier uscente resti a sbrigare gli affari di routine, senza però i poteri e il peso politico per prendersi al più presto cura della devastante situazione economica. Il peggiore nemico del Libano oggi ha un nome: è la svalutazione della moneta nazionale, capace di portare a un dissenso molto più irrequieto.
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