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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
29.10.2019 Vladimir Bukovsky & Gustaw Herling: due autori da leggere per capire il totalitarismo comunista
Commenti di Francesca Sforza, Giampiero Mughini

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesca Sforza - Giampiero Mughini
Titolo: «Vladimir Bukovsky, l'orrore del paradiso sovietico - Sia lode a Herling»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/10/2019, a pag.26 con il titolo "Vladimir Bukovsky, l'orrore del paradiso sovietico" il commento di Francesca Sforza; dal FOGLIO, a pag. 1-2, con il titolo "Sia lode a Herling", il commento di Giampiero Mughini.

Per una piena comprensione della figura di Gustaw Herling, rimandiamo all'analisi di Diego Gabutti, in esclusiva su IC: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=570&id=76319

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Francesca Sforza: "Vladimir Bukovsky, l'orrore del paradiso sovietico"

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Francesca Sforza

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Vladimir Bukovsky

Una volta, durante una spedizione geologica in Siberia, il giovane Vladimir Bukovsky decise di fare un esperimento: prese tre formiche e le mise in una tazza. A ogni tentativo delle formiche di risalire il bordo della tazza, dava una scossa e le ributtava in fondo. Contò in tutto 180 tentativi falliti di uscire dalla tazza prima di osservare la resa: le formiche si misero in cerchio, ogni tanto si sgranchivano sul posto, ma non tentarono più la fuga, almeno per i tre giorni successivi in cui la tazza rimase sull'erba. «Volevo vedere fino a che punto le formiche fossero migliori delle persone», scrisse Bukovsky più tardi nel suo Vita di un dissidente, pubblicato nel 1978 in Gran Bretagna, dove viveva dal 1976, e dove domenica scorsa è morto per una malattia cardiaca, in un ospedale di Cambridge, all'età di 76 anni. Vladimir Bukovsky aveva un talento spiccato per l'esplorazione dell'animo concentrazionario, che ritrovò, col passare degli anni, in quello stesso Occidente – a suo avviso malato di politically correctness – che lo aveva celebrato come eroe leggendario del dissenso antisovietico. Nato a Belebej, nella Russia centro orientale, ma presto evacuato con la sua famiglia a Mosca, Bukovsky entrò nel mirino delle autorità sovietiche quando era poco più che ventenne. Organizzava serata di letture di poesia, frequentava dissidenti, partecipava a manifestazione in difesa di prigionieri politici. Dopo vari passaggi in carcere, nel 1971 fu definitivamente arrestato e spedito nella prigione moscovita di Lefortovo. Da lì fece arrivare in Occidente – in forma di samizdat – materiali che dimostravano l'uso degli ospedali psichiatrici per i dissidenti e i prigionieri politici, considerati generalmente «affetti da schizofrenia» e disturbi genetici.«All'interno dei confini della dottrina comunista – scrisse allora – ci sono solo due possibili spiegazioni per la dissidenza: o viene diretta dall'estero tramite il reclutamento da parte di agenti imperialisti, oppure è malattia mentale, intesa come una manifestazione di patologia nei processi della psiche». La popolarità di Bukovsky all'estero diventava sempre più difficile da gestire, tanto che nel 1976 il Cremlino decide di liberarlo e scambiarlo con il leader comunista cileno Luis Corvalan, detenuto nelle carceri di Pinochet. Espulso in Svizzera, Bukovsky ripara in Gran Bretagna, dove continua ad attaccare il regime sovietico con i suoi scritti; dalle colonne del New York Times, nel 1987, in un articolo dal titolo La Glasnost è un gioco di specchi?, accusa Gorbaciov e le sue riforme: «Si vuole indurre gli occidentali ad applaudire l'Urss promettendo condizioni che, per loro stessi, non tollererebbero neanche un momento». Dopo la caduta del comunismo, la decisione di tornare in Russia, la speranza che qualcosa potesse cambiare, infine la consapevolezza che Eltsin non avrebbe fatto altro che proseguire il regime sovietico con altre facce. Da quegli anni uscirà un bestseller tradotto in nove lingue, Processo a Mosca, i crimini sovietici e le complicità occidentali, in cui Bukovsky rovescia sulle pagine nomi e cognomi di tutti coloro che avevano contribuito a tenere in vita l'idra sovietica. Il tentativo però di promuovere una sorta di processo di Norimberga sui crimini del comunismo fallì, come fallì, nel 2008, quello di candidarsi alle presidenziali russe, poi vinte da Dmitry Medvedev (con Putin premier). Nel 2014 viene arrestato dalla polizia inglese con l'accusa di pedofilia in seguito al ritrovamento, nel suo computer, di una grande quantità di materiale pedo-pornografico. Bukovsky respinge le accuse e punta il dito contro i servizi russi, che a suo dire avrebbero voluto incastrarlo dopo la sua testimonianza sul caso di Alexander Litvinenko, l'agente ucciso con il polonio nel 2006. Alla fine il processo però non fu celebrato perché Bukovsky era già troppo malato per presentarsi in aula. Ma il disincanto era già diventato da qualche tempo la sua cifra distintiva, portandolo ad analisi molto critiche nei confronti delle società occidentali, in particolare dell'America e dell'Europa. Il Bukovsky che paragona il gulag sovietico a quello del politicamente corretto caratteristico dell'Ue, non è tuttavia il Bukovsky migliore. Niente di paragonabile, neanche stilisticamente, con quello che raccontava il momento dell'«illuminazione» per ogni cittadino sovietico, quello in cui si rende conto in quale Paese vive veramente: «C'è una storiella su questo: la maestra elementare spiega ai bambini la geografia – scriveva nel 1979 – Appende al muro la mappa del mondo e dice: "Vedete bambini, questa è l'America, dove le persone vivono molto male, non comprano mai caramelle o gelati ai bambini e non li portano mai al cinema. Qui invece, bambini, c'è l'Unione Sovietica, dove tutti sono felici, i bambini ricevono caramelle, gelati e vanno al cinema". Improvvisamente una delle allieve scoppia in lacrime. "Tania, perché piangi?" "Voglio andare in Unione Sovietica", risponde la bambina tra i singhiozzi».

IL FOGLIO - Giampiero Mughini: "Sia lode a Herling"

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Giampiero Mughini

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Gustaw Herling, Etica e letteratura. Testimonianze, diario, racconti, a cura di K. Jaworska, Meridiano Mondadori 2019, pp. 1837, 80,00 euro.

E’una bellissima notizia il fatto che questo libro/monumento del Novecento, Un mondo a parte di Gustaw Herling (nato in Polonia nel 1919, morto a Napoli nel 2000), si sia appena guadagnato l’onore di figurare in un Meridiano Mondadori dal titolo Etica e letteratura interamente dedicato al testimone oculare di alcune delle massime tragedie del secolo scorso. E’ un risarcimento che l’editoria italiana doveva su tutti a chi ha raccontato tra i primissimi la condizione umana di chi era prigioniero in un lager sovietico, a un polacco che ha combattuto in prima fila nella micidiale battaglia volta a strappare Cassino ai tedeschi, a questo grande intellettuale europeo che nel secondo Dopoguerra aveva sposato Lidia Croce (la più giovane delle quattro figlie di Benedetto Croce) e che dal 1955 aveva vissuto a Napoli fino a immergersi nella cultura italiana e nelle sue topografie. Herling aveva 20 anni ed era uno studente dell’Università di Varsavia quando nel settembre 1939 i panzer tedeschi sfondarono in poche settimane le difese polacche. In quello stesso mese di settembre i russi penetrarono in Polonia da est a papparsene i territori orientali, com’era del resto pattuito nel codicillo segreto dell’accordo Molotov-Von Ribbentrop del 24 agosto 1939. Herling che era riuscito a sottrarsi alle grinfie dei nazi tentò di uscire dalla Polonia per riunirsi a quei suoi connazionali che stavano organizzandosi a formare una unità militare indipendente atta a combattere i nazi. I russi lo arrestarono nel marzo del 1940 e condannarono a cinque anni di reclusione accusandolo di voler fare lo spione a favore dei tedeschi. La sua cella era prevista per 20 detenuti, ce ne stavano 70. Dopo l’attacco tedesco all’Urss del giugno 1941, i russi amnistiarono i polacchi che loro avevano tenuto nei lager solo perché erano polacchi. Herling venne liberato solo a inizio 1942 e dopo aver fatto uno sciopero della fame in condizioni umanamente terrificanti. Appena liberato, entrò a far parte del “Corpo polacco” comandato dal generale Wladyslaw Anders. Furono loro ad arrivare per primi (e a scoppiare a piangere) sulle postazioni di Cassino da cui i tedeschi erano stati sloggiati dopo combattimenti tra i più infernali della Seconda guerra mondiale, combattimenti nei quali Herling si guadagnò la più alta onorificenza militare polacca Inutile dire che, finita la guerra, Herling avrebbe potuto vivere dappertutto fuorché nella Polonia comunista, in quel regno della menzogna assoluta che era il comunismo reale. E difatti andò a vivere dapprima a Roma e poi a Londra, dove cominciò a scrivere quello che ho definito il suo libro/monumento. Un mondo a parte apparve per la prima volta in lingua inglese nel 1951 col titolo A World Apart: A Memoir of the Gulag, accompagnato da una prefazione di Bertrand Russell che ne diceva tutto il bene possibile. Nel raccontare fino allo spasimo la sofferenza e l’umiliazione dei prigionieri di un campo di lavoro sovietico sul mar Bianco – prigionieri che erano solo un piccolo comparto di una massa di detenuti politici che nel 1940 Herling valuta fra i 18 e i 25 milioni – era un testo schiacciante nel far pendere la bilancia a favore della tesi che quanto a orrore il comunismo reale e il nazismo erano fatti esattamente della stessa pasta. Basterebbe affiggere su un muro dieci pagine scelte a caso di questo libro per mettere a tacere i quattro babbei che ancora di recente hanno detto che comunismo e nazismo sono profondamente diversi, perché il primo era nato a fin di bene mentre il secondo era criminale fin dalle sue molecole fondanti. E come no. Di certo era nato a fin di bene il lager dov’era detenuto Herling, un campo dove i prigionieri non contavano i mesi e gli anni della loro pena perché sapevano che da un momento all’altro quella pena poteva essere aumentata. Con qualche eccezione, lo racconta Herling. Ad esempio quella di un ferroviere di nome Ponomarenko che era stato un vecchio bolscevico e che era stato condannato a dieci anni. Lui ci credeva fermamente che dieci anni sarebbero stati e non uno di più, e li contava, e stavano per scadere, mancavano ormai solo un paio di giorni e lui già assaporava la conquistata libertà. Solo che il giorno prima lo chiamarono e gli dissero che la sua pena sarebbe durata indefinitamente. Ponomarenko tornò alla sua cuccetta, si stese, pronunziò poche parole a dire che la sua vita era finita, morì tra le quattro e le cinque del pomeriggio. Non era difficile immaginare che racconti così ameni avrebbero avuto difficile cittadinanza nell’Italia del secondo Dopoguerra, dove l’italocomunismo esercitava un dominio pressoché totale. La prima edizione italiana di Un mondo a parte la pubblicò nel 1958 la Laterza e Herling reputa che non arrivò neppure in libreria. Stesso discorso per una successiva edizione Rizzoli, a proposito della quale un collaboratore di Paese Sera scrisse che a Herling andava tolta la cittadinanza italiana per poi espellerlo. La prima edizione vera e reale del libro è del 1992, per i tipi della Feltrinelli. Solo che nel Meridiano Un mondo a parte non è l’unico tesoro. Lo è altrettanto l’edizione finalmente integrale – più di 600 pagine – del Diario scritto di notte che Herling è andato scrivendo per tutto il tempo dei suoi 35 anni vissuti in Italia. E dove di primizie ne potete raccogliere a man bassa. Ad esempio l’incontro del gennaio 1978 tra Herling e il professore napoletano Vincenzo Maria Palmieri, quello che aveva fatto parte della Commissione di 12 scienziati che la Croce Rossa Internazionale nell’aprile 1943 aveva incaricato di stabilire se i 4.000 e passa ufficiali polacchi trovati morti nel bosco di Katyn erano stati uccisi dai nazi o dai sovietici. La commissione stabilì che senza ombra di dubbio erano stati uccisi dai sovietici, i quali del resto mezzo secolo dopo lo ammetteranno. Ebbene nell’Italia del secondo Dopoguerra gli italocomunisti resero la vita impossibile a Palmieri. Uno studente comunista arrivò a insultarlo pesantemente durante una lezione universitaria. Herling riferisce così le parole di Palmieri durante il loro incontro del gennaio 1978 (e che nel 1955 si era invece rifiutato di incontrarlo): “Subito dopo la guerra, nella Napoli liberata, ho avuto la vita difficile per via della mia partecipazione alla Commissione. Giorno dopo giorno Mario Alicata mi faceva letteralmente a pezzi e mi insultava sull’Unità; da studente era stato un promettente attivista fascista”.

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