Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/10/2019, a pag.8 con il titolo "Rivoluzione in Libano, il premier Heriri resiste 'non lascerò l'incarico'" la cronaca di Giordano Stabile
Giordano Stabile
Sono due ragazze sui venticinque, una con la divisa della polizia militare, sulla manica lo scudetto con la bandiera libanese, l'altra ha i colori nazionali, bianco e rosso, dipinti sulla guancia. Hanno entrambe i capelli castani ricci, raccolti con un elastico, e potrebbero essere sorelle. Si spingono, fronte contro fronte, sul ponte che unisce il quartiere cristiano di Ashrafieh a quello musulmano di Hamra, alla fine di avenue Charles Malek. Assieme a un migliaio di manifestanti la ragazza blocca il ponte, sulla via più trafficata di Beirut. Le forze dell'ordine hanno l'ordine di sgomberarlo. Nessuno vuole cedere. Nel decimo giorno della rivoluzione, il Libano èin stallo. Si sente sull'orlo di un cambiamento indicibile fino a poche settimane fa. Oppure nell'abisso. Sotto il ponte un tempo correva laLineaverde, che fra il 1975 e il 1990 ha diviso i quartieri musulmani da quelli cristiani. Una terradi nessuno, dove la vegetazione era cresciuta come un giungla, abbeverata anche dal sangue delle vittime della guerra civile, centomila in tutto. Adesso è li che tutto il Libano si riunisce senza più divisioni settarie. I musulmani arrivano da Hamra e dalla banlieue sciita, Dahiyeh. I cristiani scendono daAshrafieh, il quartiere benestante sulla collina, oppure marciano da Nord, dai sobborghi più poveri di Daura e Ante lias. Parlano lo stesso dialetto e hanno la stessa rabbia in corpo. «Nessuno ci potrà dividere — racconta Carole, avvocato di 42 anni -. Nasrallah ha detto ai suoi di non venire più, ha provato a spaventarci. Ma neppure i suoi lo ascoltano, continuano a manifestare». Il discorso di venerdì del leader di Hezbollah, come quello di giovedì del presidente Michel Aoun, è servito a poco. Il Partito di Dio, come i suoi alleati cristiani, ha provato a mettere su binari più moderati la protesta. Ha promesso riforme, la fine della corruzione, uno Stato più equo. Ma ha anche chiesto la fine dei blocchi che paralizzano l'economia. Al popolo non basta. «Non ce ne andremo finché non si dimettono — continua Carole -. Ci vuole una legge anticorruzione. E la riforma della giustizia, con giudici indipendenti. E non basta la restituzione di quello che hanno rubato. Devono anche andare tutti a processo. Tutti significa tutti». Anche la borghesia di Ashrafieh si è radicalizzata. Carole lavora 16 ore al giorno per guadagnare «1000 dollari almese». Paga le tasse e non ha servizi pubblici decenti. Senza il «wasta», il sistema di agganci famigliari e clientelari, «non vai da nessuna parte» mentre i colleghi emigrati a Dubai «guadagnano dieci volte di più». Stanno peggio, certo, i giovani senza titolo di studio, con stipendi da 400 dollari. «Il vuoto, il caos», paventato dai leader politici spaventano meno dello status quo: «Anch'io ci sto rimettendo soldi. Meglio perdere un po' adesso ma avere il cambiamento, inshallah». I militari attorno sembrano a disagio. Qualcuno scambia una battuta con i dimostranti, anche se ha l'ordine di non familiarizzare. Alla fine una parte dell'incrocio viene riaperto. Altri blocchi sono stati tolti più a Nord. ABeddawi, vicino a Tripoli, tre persone sono state ferite da colpi di armadafuoco. La piazza non molla. E la classe politica che in un settimana si è espressa con Aoun, Nasrallah e il premier sunnita Saad Hariri, sa che dovrà dare un segnale forte. O l'esercito spazza via i blocchi con la forza e mette fine alla «saura simlieh», la rivoluzione non violenta. Oppure la classe politica si dimette in blocco. Nella notte fra sabato e domenica Hariri e Aoun hanno avuto un vertice di tre ore. Sono usciti senza fare dichiarazioni. Ieri dal palazzo di Baabda, sede della presidenza della Repubblica, hanno fatto filtrare che sarebbe stato pronto per oggi un nuovo governo, «di transizione», con soli 14 ministri, per portare il Paese a nuove elezioni. L'entourage di Hariri ha poi smentito. Altri rumours dicono che domani verrà annunciato la fine del segreto bancario, lo schermo dietro il quale si nascondono le fortune accumulate con la corruzione. Sarà una lunga domenica.
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