Riprendiamo dal CORRIERE della SERA/Firenze di oggi, 26/10/2019, a pag.20, con il titolo "Carteggio Nirenstein-Lattes dalla Cortina di Ferro" la cronaca di Lorella Romagnoli
Ritratto di famiglia
Le carte dello scrittore e storico polacco Alberto Nirenstein e della giornalista del Corriere della Sera e del Corriere Fiorentino Wanda Lattes sono state depositate alla Fondazione di Studi Storici Filippo Turati di Firenze dalle figlie Susanna, Fiamma e Simona. Presto saranno catalogate e in futuro verranno messe a disposizione degli studiosi. «Del babbo — racconta Susanna — ci sono alcuni inediti, studi in polacco e in ebraico e articoli sulla Shoah, della mamma articoli giornalistici sui beni culturali e le carte delle sue ricerche». A ciò si aggiunge la corrispondenza tra loro negli anni tra il '5o e il '53. Alberto Nirenstein, che durante la Seconda Guerra Mondiale si era arruolato come ufficiale nelle Brigate Ebraiche della VIII armata britannica, tornò in Polonia chiamato per una consultazione — lavorava all'ambasciata polacca — ma lì fu trattenuto fino alla morte di Stalin e fu lì che iniziò la ricerca delle testimonianze sull'Olocausto del popolo ebraico rintracciando alcuni diari in cui erano scandite le varie fasi del supplizio e della Resistenza del ghetto di Varsavia. Impossibile rientrare in Italia, dove nel 1945 aveva sposato Wanda Lattes, che negli anni della guerra, giovanissima, era stata staffetta partigiana a Firenze per Giustizia e Libertà. Nel dopoguerra Wanda Lattes aveva iniziato, tra le prime donne in Italia a scegliere questa professione, il suo lavoro da giornalista, e fu proprio allora che visse il trauma della separazione dal suo amato Alberto. «Quegli anni e quelle lettere mia mamma li ha rievocati nel racconto Storia di Alberto — continua Susanna — in cui lei ricorda il loro incontro, il loro amore e poi la disperazione per questo distacco. Nessuno li aiutava e nessuno aiutava il babbo a venir via dalla cortina di ferro». «Quando telefonava dalla Polonia nella casa dei miei nonni a Firenze, dove vivevamo la mamma, la Susanna ed io, ci assemblavamo intorno al telefono nero appoggiato su un tavolino antico, trattenendo col fiato corto e l'ansia di scambiare almeno una parola la sensazione tragica di una lontananza infinita — ha scritto Fiamma Nirenstein in un articolo in memoria del babbo — Sapevamo che a lui mancavano il cibo, gli abiti, le scarpe, la libertà; gli mancava di nuovo, dopo la perdita della sua famiglia di Baranov nella Shoah e dopo gli anni duri della fondazione di Israele, un nido dove posare il capo. Però, eravamo forti: questo era il messaggio. Dovevamo essere forti, perdurare nonostante le privazioni».
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