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Il Foglio - Libero Rassegna Stampa
25.10.2019 Le false accuse contro Donald Trump. E sui soldati americani in Siria non è detta l'ultima parola
Servizi di Daniele Raineri, Glauco Maggi

Testata:Il Foglio - Libero
Autore: Daniele Raineri - Glauco Maggi
Titolo: «'Ci teniamo il greggio' - L’impeachment contro Trump è un complotto»

Riprendiamo oggi, 25/10/2019, dal FOGLIO a pag.1 con il titolo 'Ci teniamo il greggio', il commento di Daniele Raineri; da LIBERO, a pag. 15, con il titolo "L’impeachment contro Trump è un complotto", il commento di Glauco Maggi.

Ecco gli articoli:

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Donald Trump, Recep T. Erdogan

IL FOGLIO - Daniele Raineri: 'Ci teniamo il greggio'

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Daniele Raineri

Roma. Da cinque giorni il presidente americano Donald Trump parla dei pozzi di petrolio in Siria e dice che non vuole cederne il controllo. “We have secured the oil”, abbiamo messo al sicuro il petrolio, dice su Twitter e in televisione, e lo proteggeremo. I pozzi del (poco) petrolio siriano si trovano nella zona di Deir Ezzor, quindi nell’est del paese controllato dalle milizie curde, ma nel settore sud – quindi molto lontano dal confine con la Turchia dove da giorni si combatte. Non è territorio curdo ma arabo, che i curdi hanno conquistato negli anni scorsi durante la campagna contro lo Stato islamico. In questo momento i pozzi sono in mano loro ma c’è anche un contingente ridotto di soldati americani e almeno uno dei siti, quello di al Omar, ospita una base militare americana (ricordate quando a febbraio un fotografo italiano fu ferito in prima linea? Gli americani lo evacuarono in elicottero da lì). E’ lo stesso sito che ospitava una base dello Stato islamico che le squadre della Delta Force americana attaccarono con un raid a sorpresa nel maggio 2015 per catturare Abu Sayyaf al Tunisi, un leader dello Stato islamico che dirigeva il contrabbando di greggio del gruppo terroristico. I soldati non riuscirono a catturare vivo il leader, vinsero uno scontro feroce con i terroristi – corpo a corpo – e in meno di un’ora risalirono sugli elicotteri e volarono via. Fu la seconda operazione americana nel cuore del territorio che allora era nemico. I soldati americani hanno abbandonato la Siria ma secondo fonti militari c’era un piano per tenere nella zona dei pozzi circa duecento soldati delle forze speciali. Ieri però il settimanale Newsweek ha rivelato che – secondo una fonte del Pentagono – il contingente americano che dovrebbe fare la guardia ai pozzi potrebbe essere molto più numeroso, circa mezza brigata corazzata con trenta carri armati modello Abrams. In effetti il numero citato prima, duecento soldati, sembrava troppo basso per presidiare installazioni in un territorio infestato da molte presenze ostili – dalle milizie filoiraniane allo Stato islamico. Ma se lo scoop di Newsweek sarà confermato allora vuol dire che Trump ha tolto dalla Siria mille uomini per poi rispedircene duemila. Operazione “Blood for oil” l’ha battezzata il Daily Beast, rispolverando lo slogan (falso) contro la guerra in Iraq del 2003: “No blood for oil”. E’ come se non ci fosse una visione generale delle cose e le decisioni fossero prese giorno per giorno: Trump ordina il ritiro di mille soldati dalla Siria per “riportarli a casa”, invece poi vanno in Iraq “per continuare da lì la missione” ma il governo iracheno nega l’autorizzazione e nel frattempo si parla di farne tornare il doppio nella zona dei pozzi. L’America, che è uno dei maggiori esportatori di greggio al mondo (a settembre è stato il primo), non vuole prendersi le esigue riserve siriane (meno dell’un per cento di quelle saudite) ma l’Amministrazione Trump considera quei pozzi un possibile oggetto di scambio con il regime siriano e la Russia. Inoltre vuole restare con i soldati in quella zona per minacciare gli iraniani, che in Siria operano come se fosse casa loro. Quanto sia un piano fattibile è da vedere. Ieri Trump scriveva su Twitter che i curdi dovrebbero spostarsi “verso il petrolio”: in pratica chiede loro di abbandonare il territorio dove vivono da centinaia di anni e di scendere a sud in territorio arabo, dove lo Stato islamico è molto presente, per intavolare negoziati con il regime siriano – che però non vede l’ora di impartire loro una lezione molto dura.

LIBERO - Glauco Maggi: "L’impeachment contro Trump è un complotto"

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Glauco Maggi

Questo impeachment di Trump è sempre più un teatro politico senza sostanza istituzionale. Ieri, per richiamare attenzione del Paese sul comportamento scorretto dei Democratici nel condurre l’inchiesta sull’accusa al presidente Usa di aver ricattato il collega ucraino, i Repubblicani hanno inscenato una rara protesta all’interno del Congresso. In una trentina, alle nove del mattino, hanno occupato la stanza “segreta” al terzo piano sotterraneo del parlamento, adibita agli interrogatori a porte chiuse dei testimoni convocati dalle Commissioni congressuali. Poi hanno tenuto una conferenza stampa per spiegare il motivo della intrusione indebita, che ha costretto il rinvio al tardo pomeriggio della audizione di Laura Cooper, vice assistente del ministro della Difesa. «A noi, membri votanti in Congresso, è negato l’accesso per impedirci di vedere che cosa sta avvenendo dietro queste porte chiuse, dove stanno tentando di montare l’impeachment del presidente degli Stati Uniti con un bagaglio partigiano di regole», ha dettoil deputato Steve Calise, “Whip” della minoranza del GOP (la seconda carica allaCamera), che poi ha ordinato la pizza per i reporters da un vicino negozio dal nome “We The Pizza”, frequentato dai congressmen. «Questo è un processo in stile sovietico. Non dovrebbe essere consentito negli Stati Uniti d’America. Ogni membro del Congresso dovrebbe poter entrare in questa stanza. La stampa dovrebbe avere accesso libero qui», ha aggiunto Scalise.

PAR CONDICIO Il GOP chiede trasparenza nel processo, e soprattutto la par condicio giudiziaria tra i membri delle Commissioni inquirenti. I Democratici, essendo in controllo alla Camera, possono convocare chi vogliono e fare le domande che credono, ma senza rilasciare neppure le trascrizioni intere delle deposizioni. Ai Repubblicani non è permesso di condurre contro-interrogatori dei testi e tantomeno di convocarne altri a discarico, scelti da loro. Se l’inchiesta fosse formalizzata dal voto in aula, invece, diventerebbe un procedimento istituzionale, e quindi bipartisan sotto tutti gli aspetti. È quello che i DEM non vogliono, perché a loro conviene selezionare le parti delle dichiarazioni che sono interpretabili come dannose per Trump, e farle filtrare alla stampa amica censurando ovviamente le parole che lo discolpano. E il New York Times ha obbedito subito, titolando “I Repubblicani costringono l’inchiesta a fermarsi mentre montano le prove contro Trump”. Quali prove «montano»? Se ci sono, e sono tanto evidenti, perché non renderle pubbliche nella loro interezza e permettere al pubblico di giudicare, ha scritto con logica stringente il Wall Street Journal?

SOTTO PRESSIONE Il perché è evidente. La Speaker Nancy Pelosi ha comunicato qualche settimana fa di aver deciso di rinviare sine die il voto alla Camera per lanciare ufficialmente il procedimento di inchiesta che dovrebbe raccogliere le prove dei «crimini» del presidente. Nel frattempo, però, Adam Schiff, il chairman della principale Commissione inquirente è stato investito dalla stessa Pelosi della responsabilità di guidare questa indagine giudiziaria coperta. Schiff ha emesso dozzine di avvisi di comparizione, praticamente a quasi tutti i membri della Casa Bianca e dei ministeri cruciali, dalla Difesa agli Esteri. Molti, tra cui il segretario di Stato e il suo staff, hanno respinto l’“invito” sostenendo che la loro collaborazione all’inchiesta è subordinata al voto della Camera. Se e quando ci sarà, parleranno. Altri, diplomatici o funzionari di vari ministeri, hanno accettato di presentarsi alla ingiunzione legale, e i Repubblicani vogliono, almeno, far sì che l’America sappia che cosa dicono per intero. Anche in Senato, dove sono maggioranza e controllano le Commissioni, il GOP si sta mobilitando: il Chairman della Commissione Giustizia Lindsay Graham ha detto che intende introdurre una mozione di censura del modo scorretto di procedere della Camera. La battaglia è appena iniziata.

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