Il totale rifiuto delle vecchie élite corrotte, che ha caratterizzato le elezioni legislative e presidenziali tenutesi in Tunisia, è stato accompagnato da una deleteria frammentazione dei voti tra i diversi partiti. Il nuovo Parlamento non assomiglia per nulla a quello vecchio. Indebolito dalle sue lotte interne, Nidaa Tounes, il partito al potere, che aveva 86 seggi, ora ne ha solo più tre. Ennahda-La rinascita-il partito dei Fratelli Musulmani, ha riguadagnato il primo posto, ma con solo 52 seggi contro i 69 di prima, il che difficilmente gli consentirà di raggiungere quei 109 voti su 217 di cui il Parlamento necessita per formare il governo. Ancora più sorprendente è stata la scelta del nuovo Presidente, una personalità che non s’ispira ad alcun partito: Kais Saied, giurista, professore di Diritto costituzionale, soprannominato “Robocop” per il suo aspetto severo, è stato eletto con un perentorio 72,21%. Secondo con il 27,29% è arrivato il suo avversario, Nabil Karoui, un uomo d'affari, arrestato in attesa del processo per riciclaggio di denaro sporco e per evasione fiscale: era stato rilasciato solo pochi giorni prima dello scrutinio. Le elezioni si sono svolte sullo sfondo di una grave crisi economica che durava da anni e che aveva suscitato proteste popolari e scioperi, mentre i dissensi all’interno del governo riflettevano le profonde divergenze nel partito al potere, che l’hanno portato al suo crollo e al fallimento alle urne. Dopo la destituzione di Zin el-Abdine Ben Ali nel 2011, si sono succeduti non meno di sette governi, nessuno dei quali è riuscito a risanare l'economia della Tunisia o ad avviare uno sviluppo sostenibile. La massiccia assistenza da parte dei Paesi occidentali, che ha comportato il versamento di 10 miliardi di dollari nelle casse dello Stato e il prestito di 2,93 miliardi di dollari accordato dal Fondo Monetario Internazionale, non è riuscita a realizzare il cambiamento a causa dell'instabilità politica, della corruzione e dell'inefficienza del regime. Così i partiti politici nelle ultime elezioni hanno pagato il prezzo di questo fallimento. Eppure in tutto questo la stampa occidentale riesce a mettere in rilievo la prova del buon funzionamento della democrazia e i tunisini sono lieti di sottolineare che il regolare svolgimento dei tre scrutini successivi - uno per il Parlamento, gli altri due per il primo e il secondo turno delle elezioni presidenziali - è la prova di un vero pluralismo. Le votazioni sono state libere, senza intervento politico e senza alcuna scena di violenza. 32 partiti avevano presentato delle liste e a questa cifra si erano aggiunti dei candidati indipendenti. Sono stati eletti 20 partiti e 12 indipendenti. Per le elezioni presidenziali, erano in lizza 26 candidati. Risultato? Anche se in testa al primo turno, Kais Saied ha ottenuto solo il 18,40% dei voti; e con il 15,6% Nabil Karoui ha prevalso sul candidato di Ennahda con il suo 12,88%. Questa è stata la terza elezione dopo la rivoluzione nata dall’effimera "Primavera araba" e i risultati non sono incoraggianti.
Nabil Karoui
Ci sono troppi partitini che, per riuscire a formare una coalizione, sono stati costretti a scendere a compromessi. Un governo di tal fatta, non avrà nulla di omogeneo e la cooperazione con il Presidente non sarà facile. Le due principali forze politiche che abbiamo di fronte sono il Presidente e il partito Ennahda. Sulla carta il conservatore Kais Saied sembra più vicino all’ambiente islamico che ai partiti laici. Ha voluto tenersi fuori dalla politica, non ha voluto creare un suo proprio movimento e ha trascorso gran parte della sua vita insegnando Diritto costituzionale a Tunisi. Proprio per questo, dopo la rivoluzione, gli è stato chiesto di partecipare alla stesura della nuova Costituzione adottata nel 2014. Soltanto nel 2018 ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico accademico per prepararsi alla corsa alla Presidenza. Si è astenuto dal presentare un programma economico e sociale e ha fatto una campagna per la riforma costituzionale. Ha sostenuto il decentramento e la sostituzione del parlamento con dei consigli regionali. Ha anche evidenziato le sue convinzioni ultraconservatrici dichiarandosi contro l'abolizione della pena di morte che è stata sospesa nel 1994; contro il movimento LGBT; contro le organizzazioni straniere della società civile attive in Tunisia. È inoltre contrario alla proposta di legge sulla parità di genere per tutto quel che riguarda le eredità, una misura contraria alla Sharia, che era stata presentata in parlamento dal defunto Presidente Beji Caid Essebsi. Kais Saied ha ripetutamente espresso il suo totale rifiuto di qualsiasi normalizzazione con Israele, accusandolo di alto tradimento. Come è riuscito allora ad ottenere un successo così brillante quando, secondo i sondaggi, era solo di qualche punto davanti a Karoui? L’atteggiamento di conservatore politico-islamico di questa figura austera e poco conosciuta dal pubblico avrebbe dovuto scoraggiare i giovani tunisini che aspirano ad una maggiore liberalizzazione della società. I commenti sono divisi su questo problema. Per gli uni,il risultato è dovuto alla sua riservatezza,alla sua onestà, al fatto che non sia coinvolto in nessuno dei tanti casi di corruzione, oltre alla sua mancanza di legami con i vecchi partiti politici; per gli altri è il suo piano di decentralizzazione e la sua opposizione alla normalizzazione con Israele, che gli è valso il sostegno delle masse. Ricordiamo che durante la stesura della Costituzione del 2014, si era posto il problema di proporre che sostenere la normalizzazione sarebbe stato un crimine sanzionabile secondo la legge. Questa proposta non era stata accolta. Quello che sappiamo è che, secondo i sondaggi, la maggior parte del suo sostegno proveniva dalle zone rurali e in particolare dal Sud del Paese, molto favorevoli al suo piano di decentralizzazione e di una maggiore autonomia per le autorità locali, ma anche dai giovani dai 18 ai 25 anni che abbiamo potuto vedere ebbri di gioia per la strada dopo la sua vittoria. Comunque sia, è la realtà politica che detterà i suoi passi e gli permetterà o no, di modificare la Costituzione per realizzare la riforma che lui auspica. Una realtà in cui Ennahda, che ha vinto il maggior numero di seggi, determinerà il destino del Paese. Sarà in grado di formare un governo, perseguire con vigore la realizzazione di riforme economiche e sociali e riportare la calma? Secondo l'attuale Costituzione, il governo detiene gl’ingranaggi principali dello Stato, mentre il Presidente ha un ruolo dominante solo in materia di difesa e di politica estera. Eppure è lui che chiamerà il leader del partito più grande e gli darà un mese - rinnovabile una sola volta - per formare il governo. Se quest'ultimo fallisse, il Presidente consulterà i partiti per decidere chi secondo lui, abbia le migliori possibilità di successo. Se anche questo nuovo candidato dovesse fallire nell’arco di un mese, al massimo di un altro mese, il Presidente scioglierà il Parlamento e verranno indette nuove elezioni. Questa è un’opzione poco probabile perché, Ennahda, oggi primo partito in Parlamento, farà di tutto per rimanere al potere. Nelle prime elezioni del 2011 dopo la rivoluzione, aveva ottenuto il 37% dei voti e formato un governo di coalizione sotto la propria guida. Nonostante le sue promesse di liberalizzazione e rispetto dei diritti umani, aveva incoraggiato l'ingerenza delle correnti salafite. Nel 2013 per un soffio si era evitata una guerra civile dopo l'attacco che costò la vita a due militanti di partiti di opposizione di sinistra. Di fronte al crescente rischio di instabilità, Ennahda aveva preso l’iniziativa e rinunciato al potere nel 2014; l’aveva fatto più che per l'interesse del Paese, per evitare la sorte toccata ai Fratelli musulmani in Egitto, cacciati dal potere con forza dall'esercito guidato da Abdel Fattah al Sisi. Nelle elezioni successive, il partito vinse solo il 27 % dei suffragi, piazzandosi secondo dopo Nidaa Tounes, che, sotto la guida del fondatore del partito Beji Caid Essebsi, aveva ottenuto il 37%. Entrambi i partiti avevano partecipato alla formazione del governo. Essebsi era stato eletto Presidente. Ennahda aveva poi dichiarato di separarsi dall'Islam politico - ovvero la guida dello Stato secondo la Shari’a, la pietra miliare dell'ideologia dei Fratelli Musulmani. Tale dichiarazione ancora oggi non è stata attuata. Rashed Ghannouchi è rimasto Presidente del partito. Ricordiamoci che aveva trascorso vent'anni in esilio per le sue posizioni estremiste: non solo invocando la jihad contro Israele, ma boicottando anche i prodotti americani in seguito all'installazione di basi militari statunitensi in Arabia Saudita, terra sacra dell’ Islam. È ancora membro del Consiglio Internazionale della Fratellanza dei Fratelli Musulmani. Alle elezioni del mese scorso si è candidato nonostante i suoi coinvolgimenti ed è stato eletto in Parlamento. Il partito ha sostenuto la candidatura di Kais Saied, sebbene abbiamo visto che il proprio candidato è solo arrivato terzo. Ennahda trova lungo la strada un grosso ostacolo. Il gruppo di avvocati che ha indagato sull'attentato del 2013 avrebbe trovato documenti che coinvolgono direttamente il partito. Questi documenti sono stati sottoposti all'esame di un tribunale militare all'inizio dell'anno. Non è noto se l’esame sia già stato effettuato e quali siano state le conclusioni. Probabilmente il governo aveva preferito non aprire pubblicamente il dossier, per evitare gli sconvolgimenti che la verità svelata avrebbe potuto innescare e rinnovare il rischio di una guerra civile. La Tunisia è senza dubbio il più democratico di tutti i Paesi arabi, grazie al suo primo Presidente, Habib Bourguiba. Già all'alba dell'indipendenza, lui aveva promosso la liberalizzazione della società e dell'economia; si era appellato alla riforma della shari’a e al riconoscimento dei diritti delle donne. La shari’a non è menzionata come fonte di legislazione nella prima Costituzione tunisina, adottata nel 1959, né in quella del 2014. La nuova costellazione politica minerà alla base questi diritti acquisiti? Nell'immediato futuro sarà possibile formare un governo? A più lungo termine, il Presidente Saied sarà in grado di attuare la riforma costituzionale sulla quale ha basato la sua campagna elettorale? In altre parole, le nuove istituzioni politiche saranno pronte a fare le necessarie concessioni? Ci vorranno consultazioni e negoziati intensi affinché un governo possa insediarsi e lavorare per ripristinare la stabilità e contrastare l'aggravarsi della crisi economica. Le conseguenze di un fallimento sarebbero catastrofiche per il Paese.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. E' ricercatore senior presso il Jerusalem Center for Public Affairs. La analisi di Zvi Mazel sono pubblicate in esclusiva in italiano su Informazione Corretta