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La Stampa Rassegna Stampa
24.10.2019 Le nuove sfide della Nato, peccato che siano solamente chiacchiere
Maurizio Molinari intervista il Segretario Generale Jens Stoltenberg

Testata: La Stampa
Data: 24 ottobre 2019
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Stoltenberg: le nuove sfide euro-atlantiche sono interferenze russe e tecnologie cinesi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/10/2019, a pag.1-4, con il titolo "Stoltenberg: le nuove sfide euro-atlantiche sono interferenze russe e tecnologie cinesi", l'intervista del direttore Maurizio Molinari al Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg.

La Nato predica l'importanza del dialogo, la diminuzione della violenza, mentre i kurdi vengono ammazzati dai soldati di Erdogan. La Nato ha ancora una qualche utilità? Per i suoi funzionari, certamente sì.

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Maurizio Molinari

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Jens Stoltenberg

Prudente ma determinato: le parole di Jens Stoltenberg consegnano alla Stampa la descrizione fedele della Nato. Alleanza guarda al summit di Londra a dicembre per accelerare la «maggiore trasformazione dalla fine della Guerra Fredda».
La Turchia di Erdogan prima ha acquistato gli SS-400 dalla Russia, poi ha invaso il Nord della Siria attaccando le milizie curde che avevano sconfitto Isis ed ora sigla accordi con Putin sulla Siria. Quale è il suo approccio ad un alleato di questo tipo? «La situazione nella Siria del Nord-Est è seria. Sono stato giorni fa Istanbul per esprimere la forte preoccupazione, soprattutto per il rischio di pregiudicare i risultati ottenuti contro Isis. Ma al tempo stesso la Turchia è l’alleato che ha subito il maggiore numero di attacchi terroristici ed ha dunque legittimi timori, senza contare che è anche l’alleato che ospita più profughi».
Quale può essere una via d’uscita dalla crisi turco-siriana? «Vi sono stati sviluppi positivi con la dichiarazione Usa-Turchia e la conseguente riduzione della violenza. Dobbiamo costruire su questo per puntare ad una soluzione politica in Siria e porre fine ad anni di stragi. La Nato sostiene tale impegno Usa».
Cosa sarà dei foreign fighters, gli alleati potranno riprenderli? «I foreign fighters sono parte del problema con cui ci confrontiamo. La Nato non ne ha responsabilità diretta ma serve un approccio più coordinato. Ed in questo senso la Nato è il luogo per farlo, anche perché ci scambiamo dati contro il terrorismo».
Isis è tutt’altro che sconfitto: dal Sahel all’Afghanistan la minaccia resta tale. Come cambia la minaccia jihadista? «Isis è una sfida globale e riguarda l’intera nostra generazione. In Siria ed Iraq abbiamo sconfitto il Califfato come entità territoriale, liberando milioni di persone grazie all’intervento guidato dagli Usa ma Isis resta presente in Siria ed Iraq: per questo sosteniamo le forze di sicurezza locali. E per questo restiamo in Afghanistan: dobbiamo prevenire che il Califfato, sconfitto nel Levante, risorga a Kabul. Isis punta sull’Afghanistan, come conferma il recente attacco a una moschea».
Insomma, non è arrivato il momento di porre fine alla missione afghana iniziata in risposta all’11 settembre 2001... «No, non è arrivato. Tutti gli alleati pagano un prezzo alto per restare in Afghanistan. Ma andare via comporterebbe un prezzo assai più alto perché metteremmo a rischio i progressi fatti su lotta al terrorismo, diritti delle donne e libertà di stampa».
Cosa pensa dei negoziati fra Stati Uniti e taleban? «Li sosteniamo ma sono bloccati perché i taleban devono accettare un’intesa capace di garantire la pace. La nostra presenza militare serve a tal fine e, in tale cornice, la missione italiana è cruciale. Ho visitato le vostre truppe: sono grandi professionisti ed hanno anche, consentitemi di dirlo, i migliori cuochi».
Isis si riaffaccia anche in Libia, dove la guerra civile è endemica. Può la Nato contribuire ad una maggiore sicurezza? «In Libia la situazione è molto difficile. Sosteniamo gli sforzi Onu per una soluzione politica. Al tempo stesso gli alleati sono pronti ad aiutare il governo libico a difendersi».
L’Italia vede nei migranti una questione-chiave della sicurezza nel Mediterraneo. C’è un ruolo per la Nato su questo fronte? «Sui migranti svolgiamo due ruoli importanti: da un lato tentiamo di affrontarne le cause con la presenza in Afghanistan, Iraq ed altre aree a rischio-Isis come Tunisia e Nord Africa. Se questi Stati sono più stabili, noi siamo più sicuri, consentendo di prevenire la partenza di migranti. E dall’altro abbiamo la presenza nel Mediterraneo con la missione “Sea Guardian” come anche nel Mar Egeo per far rispettare l’accordo Ue-Turchia».
Più alleati denunciano interferenze russe nelle rispettive politiche interne. In che termini è una minaccia comune? «In più Paesi Nato abbiamo assistito a interferenze russe nelle vita politica per indebolire le istituzioni democratiche anche grazie alla disinformazione, ai social media ed agli attacchi cyber. Dobbiamo prendere tale minaccia molto seriamente. La Nato lo fa accrescendo le difese cyber, sollecitando maggiore attenzione del pubblico e contrastando tale propaganda. Ma la miglior ricetta contro la disinformazione è l’informazione corretta, basata su fatti veri. Per questo gli Stati hanno la responsabilità di reagire alle bugie sui social media. Il miglior strumento per riuscirci è un’informazione libera ed indipendente».
Lei crede che la Russia abbia una strategia specifica per usare le interferenze al fine di far implodere le democrazie Nato? «Da quanto abbiamo visto vogliono intromettersi nei nostri processi democratici. Per questo dobbiamo difenderci».
Come lo state facendo? «Anzitutto rivelando cosa fanno i russi. Come ha fatto l’intelligence olandese rivelando il tentativo di infiltrazione nell’Organizzazione internazionale contro le armi chimiche, o come fatto con il tentato colpo di mano in Montenegro. Vi sono state interferenze in molti Paesi».
Per questo chiede una più forte difesa cyber della Nato? «La difesa cyber serve a proteggere i nostri network, per crearla servono esercitazioni comuni e la Nato ha a Tallinn, in Estonia, un centro di eccellenza dove abbiamo svolto la maggiore esercitazione cyber di sempre. Gli alleati devono apprendere gli uni dagli altri come meglio difendersi».
Di questo discuterete al summit di Londra? «Sì, perché ha a che vedere con la modernizzazione della Nato. È il maggior salto dalla fine della Guerra Fredda: con nuove forze e nuove strutture di comando. Per difendere anche le infrastrutture civili perché le minacce sono ibride. Servono più intelligence, più cyberdifesa, più risorse e strutture civili più resilienti. Penso ad esempio al 5G. Confidiamo nel raggiungimento di un accordo in materia nella riunione dei ministri della Difesa Nato».
Come rimediare alle differenze cyber fra Paesi più avanzati, come la Gran Bretagna, ed altri meno, come ad esempio l’Italia? «La Nato serve ad aiutarci l’un l’altro. In molte aree è l’Italia a guidarci: dalle missioni all’estero, dal Kosovo all’Afghanistan, alla polizia aerea, in Islanda con gli F-35. L’Italia partecipa alle esercitazioni cyber e investe nel cyber. Dobbiamo aiutarci».
Torniamo all’agenda di Londra: come può la Nato mantenere la leadership nello sviluppo hi-tech davanti alla sfida della Cina? «Unendosi per agire e investire assieme. La Nato ha sempre avuto la leadership nell’hi-tech e ci ha aiutato nella sicurezza: dobbiamo mantenerla anche davanti alla sfida delle tecnologie più dirompenti come intelligenza artificiale, sistemi atomici, biotech, cyber offensivo. Tutto ciò cambierà il sistema di Difesa come fece la rivoluzione industriale. Per questo dobbiamo affrontare la sfida anche impiegando la tecnica dei negoziati sul disarmo. E poi ci sono gli investimenti: spendere di più significa sviluppare nuove tecnologie, in maniera coordinata per essere più sicuri ed evitare di erigere barriere che potrebbero dividerci».
La tecnologia cinese del 5G è una minaccia per la Nato? «È una sfida. La Cina ha il secondo budget militare del mondo, investono in tecnologie avanzate e nuovi missili di precisione - strategici e a medio raggio - dunque Pechino deve entrare nell’architettura del disarmo internazionale. La Cina non viola gli accordi sul disarmo esistenti perché non ne fa parte, tranne il Trattato contro la proliferazione».
Ritiene che a 70 anni dalla nascita la Nato abbia nella Cina la sua sfida più difficile? «Per ragioni storiche la Nato si è concentrata sull’Urss/Russia ma ora l’equilibrio globale cambia per la crescita cinese. Vogliamo una relazione aperta con Pechino perché è una grande opportunità economica per molti alleati ma al tempo stesso vi sono delle sfide. Nessuno vuole che la Nato si spinga fino al Mar della Cina Meridionale ma è la Cina che si avvicina a noi: in Africa, nel Mediterraneo, nell’Artico e nel cyberspazio. In una maniera o nell’altra dobbiamo affrontare tale scenario».
Guardando al summit di Londra in dicembre, cosa si aspetta dagli alleati per fronteggiare interferenze russe e tecnologie cinesi? «Mi aspetto che confermino la Nato come la più forte alleanza del mondo. Dobbiamo restare uniti ed adattarci ad un mondo che cambia. Stiamo attraversando la maggiore trasformazione della Nato dalla Guerra Fredda e dobbiamo affrontare la sfida delle tecnologie emergenti».

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