Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/10/2019, a pag.10, con il titolo "Putin-Erdogan, patto sul Nord della Siria" l'analisi di Giordano Stabile; con il titolo "E ora Vladimir è l'unico arbitro del Medio Oriente", il commento di Giuseppe Agliastro.
Ecco gli articoli:
Vladimir Putin con Recep T. Erdogan
Giordano Stabile: "Putin-Erdogan, patto sul Nord della Siria"
Giordano Stabile
Ci sono volute cinque ore di colloqui serrati, un negoziato con grande profusione di mappe che Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan hanno analizzato con piglio militare. Alla fine a Sochi è arrivato l'accordo sul Nord-Est della Siria. Un'intesa che in parte ricalca quella raggiunta per la provincia di Idlib ma con un elemento in più. Per la prima volta militari russi e turchi pattuglieranno assieme una striscia di territorio siriano. È la «zona di sicurezza» reclamata da mesi dal leader turco. Correrà lungo la frontiera a Est dell'Eufrate e sarà profonda soltanto 10 chilometri. I guerriglieri curdi saranno però costretti a ritirarsi a 30 chilometri dal confine e il rispetto di questo limite sarà garantito dall'esercito governativo siriano. Il ritiro dei curdi comincerà oggi a mezzogiorno e dovrà essere completato «entro 150 ore». Putin ed Erdogan sono quindi riusciti a salvare la loro intesa, che dal 2017 ha portato le due potenze rivali ad spartirsi, passo dopo passo, la Siria. I due hanno anche rilanciato «l'accordo di Adana» del 1998, firmato da Hazef al-Assad, che metteva fine all'appoggio siriano alla guerriglia del Pkk in cambio del riconoscimento del suo regime. Il figlio Bashar raccoglie questo riconoscimento, un passo che Erdogan si era sempre rifiutato di fare ma che adesso potrebbe portare alla fine della guerra civile siriana. Restano dettagli non di poco conto. Il destino di Kobane, la principale città curda in Siria, che finirà nella fascia dei dieci chilometri e che teme le infiltrazioni dei miliziani arabo-sunniti, autori di crimini efferati nelle zone già conquistate. La fascia fra Tall Abyad e Ras al-Ayn, che per ora resterà nelle mani delle milizie, e non è chiaro se le pattuglie russe potranno entrarci. E poi l'intesa non dice nulla su Idlib, in mano a ribelli jihadisti, finora protetta dalla Turchia e reclamata da Assad. Erdogan ha sottolineato come Russia e Turchia sono unite nella «lotta al terrorismo» e alle «spinte separatiste». Putin ha ribadito che «l'integrità territoriale» della Siria non si tocca e che «tutte le truppe straniere» dovranno lasciare la Siria. Si riferiva agli americani, ma in prospettiva anche a turchi e iraniani. Lo Zar ha lanciato anche «colloqui a tutto campo» fra Damasco e le Forze democratiche siriane (Sdf) «per preservare i diritti di tutte le minoranze». I curdi sono i grandi perdenti. Hanno evitato il massacro, ma senza la protezione americana il sogno di autonomia è in frantumi. Ora, da una posizione di debolezza, dovranno strappare il massimo delle concessioni da Assad. Il raiss ieri era sul fronte di Idlib. Ha accusato Erdogan di essere un «ladro di petrolio, e anche di terra» ma ha promesso di aiutare i curdi «a difendersi». Il comandante delle Sdf, generale Mazloum Kobani, ha replicato che le sue forze si sono già ritirate dalla «zona di sicurezza» e che quindi ogni ripresa delle ostilità sarà «una violazione da parte turca». Adesso ha altri cinque giorni e mezzo per trattare con il regime. La presenza della polizia militare russa dovrebbe impedire altri sfollamenti forzati, dopo che già 300 mila persone hanno dovuto lasciare le loro case. ll punto 8 dell'accordo di Sochi prevede «sforzi unitari» per «facilitare il ritorno» dei profughi. Resta da vedere chi si fiderà a tornare nelle zone controllate dai miliziani arabo-sunniti. Fra la popolazione delle città curde, come a Qamishli, il clima è di «sconforto, paura». Il sogno di indipendenza è svanito con l'ultima colonna di blindati americani che lunedì ha lasciato il Rojava diretta nel Kurdistan iracheno, sotto il lancio di uova e pietre. Donald Trump, sotto la pressione bipartisan del Congresso, valuta ora se lasciare in Siria gli ultimi 200 soldati, che sono ancora nella zona dei campi petroliferi vicino a Deir ez-Zour. Ma non sa neppure se potrà tenere gli altri 900 in Iraq. Ieri Baghdad ha detto di non aver dato il consenso al loro ridispiegamento sul suo territorio.
Giuseppe Agliastro: "E ora Vladimir è l'unico arbitro del Medio Oriente"
Giuseppe Agliastro
Il Cremlino è ormai l'unico vero interlocutore universale di tutte le forze in Siria e in Medio Oriente. L'arbitro a cui è necessario rivolgersi per cercare una mediazione. Mentre gli Stati Uniti si ritirano, la Russia prende pian piano il loro posto e si rafforza nella regione giocando sia la carta delle armi sia quella della diplomazia. L'incontro di ieri a Sochi tra Putin ed Erdogan ne è l'esempio lampante. Mosca ha raggiunto un'intesa per frenare l'offensiva turca contro i curdi e dare allo stesso tempo ascolto alla richiesta di Ankara di allontanare i miliziani curdi dal proprio confine. Ne trae ovviamente grande vantaggio anche la Russia, che con l'uscita di scena delle truppe Usa sta espandendo ulteriormente la propria presenza militare in Siria, dove ha già una base aerea a Hmeymim e una base navale a Tartus. La Russia dialoga con Israele e con l'Iran, con la Turchia e con la Siria, cioè con attori tra loro nemici giurati. Ha promosso un inedito accordo tra il regime di Assad e i curdi, costretti a bussare alla porta di Damasco (e quindi di Mosca) per non essere schiacciati dall'avanzata turca dopo il ritiro dei soldati americani. Ma ha anche rapporti sempre migliori con alleati tradizionali degli Usa come gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita, dove Putin è stato recentemente in visita ufficiale. Il leader russo ha un legame speciale con Erdogan, ma assieme all'Iran è anche il principale alleato di Damasco, nemico di Ankara. Questo non impedisce però a Turchia, Iran e Russia di coordinarsi nel cosiddetto «trio di Astana» per spartirsi le zone di influenza in Siria e appianare le loro divergenze. Putin sfrutta i contrasti che sorgono in seno all'Occidente: ha consolidato l'asse col suo ex avversario Erdogan facendo leva sui dissapori tra la Turchia e gli altri membri della Nato e ha persino venduto i missili russi S-400 ad Ankara facendo esplodere la rabbia di Trump. Se il Cremlino sta allungando i suoi tentacoli sul Medio Oriente una grossa fetta di responsabilità ricade però proprio sulle spalle dell'inquilino della Casa Bianca, che con i suoi comportamenti, ultimo l'abbandono dei miliziani curdi che avevano combattuto contro l'Isis al fianco degli americani, si è dimostrato un partner inaffidabile per le potenze mediorientali. I curdi adesso devono sperare in Putin per non essere inghiottiti dal regime di Assad e non perdere completamente la loro autonomia. Assad a sua volta non può andare lontano senza i soldati e i mercenari russi e deve alle forze di Putin se è ancora in sella. Mosca ha un punto debole: una fragile economia che la rende un gigante dai piedi d'argilla. Ma il ritiro delle truppe Usa è stato per lei un regalo per accrescere il proprio peso internazionale a costo zero. La situazione è radicalmente cambiata rispetto ad appena cinque anni fa, quando, dopo essersi annessa la Crimea e aver fomentato la guerra in Ucraina, la Russia appariva come uno Stato isolato: una «potenza regionale», come l'aveva definita Obama. Ora Mosca svolge un ruolo fondamentale in Medio Oriente, consolida l'alleanza con la Cina e si rafforza anche in Africa, dove vende armi e invia mercenari in cambio di risorse minerarie e potere politico.
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