Siria: Usa pronti ad intervenire per contenere Erdogan Commenti di Marco Bresolin, Paolo Mastrolilli, Daniele Raineri
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Marco Bresolin, Paolo Mastrolilli - Daniele Raineri Titolo: «Usa pronti ad agire contro Ankara - Falso ritiro trumpiano»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/10/2019, a pag. 6, con il titolo "Usa pronti ad agire contro Ankara", la cronaca di Marco Bresolin, Paolo Mastrolilli; dal FOGLIO a pag.1 con il titolo "Falso ritiro trumpiano", il commento di Daniele Raineri.
Ecco gli articoli:
Donald Trump, Recep T. Erdogan
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Usa pronti ad agire contro Ankara"
Marco Bresolin, Paolo Mastrolilli
«Noi preferiamo la pace alla guerra, ma se un'azione militare dovesse diventare necessaria, dovete sapere che il presidente Trump è pienamente pronto ad intraprenderla». L'avvertimento che il segretario di Stato americano Pompeo ha inviato ad Ankara, durante un'intervista alla Cnbc, è il più duro lanciato da Washington dall'inizio della crisi siriana. Il capo della diplomazia ha ribadito che gli Stati Uniti non hanno mai dato il via libera alla Turchia per l'offensiva, finalizzata a creare una zona cuscinetto nel territorio di Damasco, per allontanare le milizie curde dal confine. Ieri il «New York Times» ha scritto che il vero obiettivo di Erdogan è ottenere le armi nucleari, per cambiare gli equilibri in Medio Oriente. Pompeo ieri ha ripetuto che il governo Usa vuole usare il negoziato o la pressione economica delle sanzioni, per risolvere la crisi, ma non esclude l'uso della forza se diventasse necessario. Trump è stato criticato dagli stessi repubblicani per aver ritirato i soldati, ma poi ha inviato il vice Pence e Pompeo ad Ankara per mediare la tregua in corso di attuazione. Quindi ha detto che i soldati ritirati dalla Siria non torneranno a casa, ma andranno nel vicino Iraq. La Turchia però continua a sfidare gli Usa. «Tutto l'Occidente, compresi gli Stati della Nato e dell'Ue, ci ha attaccato ed è al fianco dei terroristi». L'affondo lanciato ieri da Erdogan è durissimo e il timing non è casuale: oggi il presidente turco incontrerà a Sochi Vladimir Putin, con il quale parlerà delle «misure necessarie» da prendere nel Nord-Est della Siria. Stasera alle 21 (ora italiana) scadono infatti i cinque giorni di tregua decisi giovedì e fonti di Ankara assicurano che «non ci sarà un'ulteriore proroga». La Turchia vuole il ritiro delle milizie curde dalla zona di sicurezza che Erdogan intende creare al confine, un'area di 32 chilometri nella quale la Turchia punta a reinsediare parte dei 3,6 milioni di rifugiati siriani accolti in virtù di un accordo con l'Ue. Mentre la ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha chiesto ieri l'istituzione di una zona di sicurezza sotto controllo internazionale «nelle regioni della Siria al confine con la Turchia». La proposta sarà formalizzata alla riunione dei ministri della Difesa degli Stati Nato il 24 e 25 ottobre. Il presidente turco ieri ha lanciato un appello agli Stati Uniti, chiedendo di favorire il ritiro dei curdi. Diversamente, minaccia, «l'operazione ripartirà». L'unico che potrebbe fermarla sembra essere proprio Putin (che ieri ha avuto un colloquio telefonico con Macron), il quale dovrà cercare un difficile compromesso tra Erdogan, Assad e i curdi. Ankara accusa le forze dell'Ypg (Unità di protezione popolare) di aver violato «36 volte la tregua» ed è pronta a far ripartire l'attacco. Ma Trump sostiene che «il cessate il fuoco regge» e che le milizie della Ypg stanno lasciando alcune zone «in maniera intelligente». Il presidente Usa è poi tornato, a modo suo, sull'accusa di aver pugnalato i curdi alle spalle: «Non avevamo mai detto che saremmo rimasti 400 anni a proteggerli». Ieri un centinaio di mezzi americani ha lasciato la Siria per dirigersi verso l'Iraq. Il Pentagono sta valutando la possibilità di lasciare alcune truppe a guardia dei giacimenti petroliferi nel Nord-Est, accanto alle forze turche, per proteggerli da un'eventuale incursione Isis.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Falso ritiro trumpiano"
Daniele Raineri
Roma. Il presidente americano, Donald Trump, dice di avere ordinato il ritiro di mille soldati dalla Siria perché l’America è stanca di guerre infinite e i militari devono tornare a casa. Davanti ai giornalisti ha anche descritto le scene strazianti delle famiglie che aspettano il ritorno dei caduti in patria e si gettano sulle bare. Per questo, come ha spiegato per almeno tredici volte nell’ultimo anno, ha deciso di mettere fine alla missione americana in Siria e secondo i commentatori è una mossa che conferma la sua linea politica cosiddetta isolazionista. Secondo questa dottrina, i soldati americani devono restare in patria e intervenire all’estero soltanto in casi eccezionali. In pratica però negli ultimi sei mesi l’Amministra - zione Trump ha mandato quattordicimila soldati in più in medio oriente, per fare fronte alla tensione crescente nel Golfo. L’ultimo incremento, di tremila soldati, è stato annunciato a fine settembre. Inoltre i soldati americani che erano in missione in Siria e che ieri hanno lasciato il paese in lunghi convogli non tornano a casa ma si spostano in Iraq – quindi appena al di là del confine a est – per continuare la missione “contro lo Stato islamico”, come spiega il Pentagono. In breve: l’America non sta lasciando il medio oriente perché è stanca di guerre, sta semplicemente rimodulando la disposizione dei soldati nella stessa regione. I militari non faranno più da forza di interposizione fra le brigate turche e i curdi nel nord della Siria. Molti invece saranno schierati nel Golfo e in particolare in Arabia Saudita che, come dice Trump, “ci paga”. A completare il quadro ieri il segretario alla Difesa americano, Mark Esper, ha detto che duecento americani delle forze speciali resteranno in Siria, sempre nella zona controllata dai curdi ma più a sud, vicino ai pozzi di petrolio “per continuare la lotta allo Stato islamico”. Il presidente Trump ha scritto domenica su Twitter: “We have secured the oil”, abbiamo messo al sicuro il petrolio. I soldati americani erano già vicini al petrolio siriano – una delle loro basi è nell’im - pianto di al Omar – ed è una zona dove l’infe - stazione dello Stato islamico è in effetti molto forte. La loro missione è importante dal punto di vista strategico, perché fino a quando restano lì il regime – e i russi – non può attaccare i curdi e riprendersi i pozzi. Nel febbraio 2018 siriani e russi tentarono di attaccare ma furono bombardati dagli americani – morirono centinaia di mercenari russi, è un episodio che il Cremlino non ha mai commentato. L’Amministrazione Trump si tiene i pozzi come carta per negoziare. Duecento soldati, pur se appoggiati dagli aerei che possono intervenire in fretta, sono però un numero esiguo nel mezzo di un territorio pieno di presenze ostili e su tutta la faccenda c’è l’aria di un compromesso disperato tra i generali americani che vogliono tenere qualche posizione e Trump che vuole lo sbaraccamento completo. E abbandonare i curdi nel settore nord, dove i turchi minacciano una sostituzione etnica a colpi di bombardamenti, ma non nel settore sud, dove c’è il petrolio, assomiglia a una caricatura della politica estera americana. Ieri i civili curdi prendevano a sassate i convogli di soldati americani in uscita dalla Siria, gli stessi che avevano festeggiato come preziosi alleati in questi anni, e gridavano: “Traditori!”.
Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare: La Stampa: 011/ 65681 Il Foglio: 06/ 5890901 oppure cliccare sulle a-mail sottostanti