30 anni dopo il crollo del Muro di Berlino Commenti di Robero Giardina, Pierluigi Battista
Testata:Nazione/Carlino/Giorno - Corriere della Sera Autore: Robero Giardina - Pierluigi Battista Titolo: «Il crollo del Muro e la libertà ritrovata - A Berlino Est dentro le vite degli altri»
Riprendiamo oggi, 21/10/2019, da NAZIONE/RESTO del CARLINO/IL GIORNO a pag.24, con il titolo "A Berlino Est dentro le vite degli altri" il commento di Roberto Giardina; dal CORRIERE della SERA, a pag. 23, con il titolo "Il crollo del Muro e la libertà ritrovata", il commento di Pierluigi Battista; .
Ecco gli articoli:
Un tratto del muro di Berlino ancora oggi visibile
NAZIONE/RESTO del CARLINO/IL GIORNO - Roberto Giardina: "A Berlino Est dentro le vite degli altri"
Roberto Giardina
Si avvicina l'anniversario della caduta del "muro", il 9 novembre del 1989, e Berlino sarà invasa dai turisti. E tutti chiedono se è ancora possibile riconoscere la parte che stava al di là. Bisogna saper vedere spesso quel che è scomparso, si è avuta fretta di cancellare il passato. La parte orientale aveva una sua atmosfera fatta di sfumature, di odori, sapori, colori. Più grigia, senza luci, l'aria era diversa a causa delle pestilenziali Trabant, le vetturette simbolo del regime, e del riscaldamento a carbone. Si passava il muro e ci si ritrovava negli Anni Cinquanta. Si può partire dalla Kantine, la mensa, del Berliner Ensemble, il teatro di Bertold Brecht. Appare nel film Le vite degli altri, ed è rimasta quasi come allora. Nell'immaginario, Berlino Est è anche fatta di romanzi di spionaggio e di film. Gli attori, in costume e truccati, prima dello spettacolo vengono per una birra o una Bulette, che sarebbe una polpetta, ma non chiamatela hamburger. Gli artisti pagano di meno, ma i prezzi non sono cari. Per vedere come vivevano gli intellettuali, visitate la casa di Brecht e di sua moglie Helene Weigel, nella Chaussestrasse 125. Peccato che al momento sia chiuso per restauro il piccolo ristorante. Per gustare la cucina dell'est, andate al Restaurant Volkskammer, in Strasse der Parisen Kommune 18B. Per dormire, all'albergo Ostel (Wriezener Karre 5), trovate le camere arredate come trent'anni fa, a un prezzo modico, circa 70 euro per una doppia. Al Ddr Museum (Karl-Liebknecht Strasse 1) è esposta la vita quotidiana in quello che fu il paradiso rosso: pacchetti di sigarette, bottiglie di birra, la Cola marxista imitazione di quella capitalista, apparecchi radio, sedie, lampadari. Un museo per i berlinesi che soffrono di Ostalgie, la nostalgia per l'est, non per un'ideologia, ma per gli anni della giovinezza. La Karl Marx Allée è il più lungo "monumento" della Ddr, due chilometri e trecento metri. I palazzoni in puro stile sovietico furono edificati all'inizio degli anni Cinquanta. Da qui parti la rivolta del 17 giugno del '53: gli operai protestarono contro la riduzione delle paghe, già al limite della sopravvivenza, e affrontarono a mani nude i panzer sovietici. Allora si chiamava Stalin Allée, nel 1961 i berlinesi cambiarono nome: Marx, in fondo, è un filosofo tedesco. Al numero 33 trovate il cinema International, in stile moscovita, come l'annesso ristorante Moskau, con sul tetto la replica dello Sputnik. Forse vale la pena, se si ha tempo, di andare al Majakowskiring, una breve strada circolare, dove la nomenklatura aveva le sue villette, niente di lussuoso, come nelle nostre periferie. Qui trovai Egon Krenz, il capo della Germania Est,il giorno che cadde il muro, intento a spalare la neve nel suo piccolo giardino. «Sono il primo disoccupato della Ddr», mi disse. Hanno abbattuto il Palast Hotel, l'albergo dei giornalisti, dei diplomatici e delle spie, con microfoni in quasi tutte le camere, controllate dalla Stasi, la polizia segreta. È scomparso il Palast der Republik, abbattuto perché simbolo del regime. Al suo posto l'architetto italiano Franco Stella ha ricostruito il Castello dell'ultimo Kaiser, danneggiato dalle bombe e distrutto dai sovietici. A volte, a Berlino il falso appare più autentico del vero. II Nikolai Viertel sembra un quartiere ottocentesco ma fu costruito per il 750° anniversario della metropoli, nel 1987. Come la Gendarmenmarkt, la piazza forse più bella di Berlino, con lo Schauspielhaus, la sala di concerti, che era scomparsa sotto le bombe. Rifatta a memoria, perché sono spariti anche disegni e foto degli affreschi. Appena fuori, sulla strada per Potsdam, visitate la villa della Wannsee Konferenz, dove il 20 gennaio del 1942 Eichmann presentò la soluzione finale per eliminare sei milioni di ebrei (Am Großen Wannsee 56). Una data tragica del XX secolo, e un luogo idilliaco sul lago. Se proseguite, arrivate al Glienicke Brücke, il ponte delle spie, dove venivano scambiati gli agenti dell'est e dell'ovest, perché era l'unico punto di contatto neutrale tra i due mondi, l'impero sovietico e l'occidente prospero e capitalista. Volevano buttarlo giù perché secondo le regole europee sarebbe di un paio di centimetri più basso del dovuto. L'hanno salvato in extremis. È un simbolo della guerra fredda, anche se è un brutto ponte in ferro. È difficile spiegarlo, senza una carta geografica, la parte comunista si trova a ovest, e quella controllata dagli alleati a est. Una prova di quanto fosse assurda la divisione di Berlino e della nostra Europa, appena ieri.
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Il crollo del Muro e la libertà ritrovata"
Pierluigi Battista
Tra le cose a cui tengo di più e che non vorrei mai perdere c’è un frammento del Muro di Berlino fatto a pezzi nel novembre 1989, trent’anni fa esatti, che un tedesco allora giovane come me mi aveva portato come un meraviglioso trofeo della libertà ritrovata. Chi oggi non ha almeno quarant’anni non può capire con quale senso di liberazione abbiamo vissuto in diretta le picconate che stavano demolendo in una grande festa commovente un monumento lugubre dell’oppressione e del totalitarismo. Le folle dei berlinesi dell’Est che sciamavano ebbre di felicità verso i negozi considerati dal comunismo al potere simbolo del vituperato consumismo occidentale. Il maestro Mstislav Rostropovich che con il suo violoncello suonava davanti al Muro preso d’assalto dai giovani finalmente liberi per festeggiare la caduta di una barriera che, diceva, «mi lacerava il cuore». Quel rumore di martelli perché ogni tedesco che si trovava lì voleva dare il suo contributo alla distruzione materiale di un incubo. Emozioni incancellabili, che ho ritrovato anni dopo quando insieme a mia figlia ci siamo commossi al Museo del Checkpoint Charlie davanti alle immagini dei tanti tedeschi prigionieri di Berlino Est che cercarono di attraversare la frontiera nei modi più avventurosi per sfuggire ai Vopos, i cecchini della dittatura della Ddr, il regno della Stasi. Un’emozione che però non attenua il senso di vergogna che molti di noi dovrebbero provare per essere stati, nei decenni prima del glorioso ’89, dalla «parte sbagliata», dalla parte degli aguzzini che costruirono quel muro e non da quella di John Fitzgerald Kennedy che, a pochi metri dal Muro, gridava «Ich bin ein Berliner» davanti a una folla di berlinesi dell’Ovest libero. Non è vero? Eravamo forse da quella parte sbagliata «a nostra insaputa», senza mai scendere in piazza per la libertà dell’Est Europa soffocata da muri e carri armati? O invece abbiamo fatto finta di non vedere, per non vivere crisi di coscienze? Circola addirittura in Occidente una certa nostalgia per l’ordine mondiale garantito dalla guerra fredda. Fate pure, ma a un patto: che stavolta dalla parte buia del muro ci andiate voi, e con i Vopos ci abbiate a che fare voi. Un po’ per uno, a turno. Con un consiglio letterario: «Cani neri» di Ian McEwan, per imparare qualcosa di quel magnifico crollo del Muro della vergogna.
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