Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/10/2019, a pag. II, con il titolo "Il feroce saladino" il ritratto di Erdogan di Giulio Meotti
Giulio Meotti
Il presidente turco più potente dai tempi di Atatürk”, recita l’adagio. Nelle parole dello Spectator, anche “l’uomo più potente d’Europa”. E in quelle dell’editorialista turco Abdurrahman Dilipak, firma del quotidiano islamista Yeni Akit, anche il “nuovo califfo”. Non è Abu Bakr al Baghdadi, ma Recep Tayyip Erdogan. E’ da quindici anni a capo della seconda potenza militare della Nato; ha spie in tutta Europa tramite una fittissima rete di moschee, associazioni e centri culturali; ha portato il suo paese in cima alle classifiche mondiali per numero di giornalisti incarcerati (l’Europa oggi è piena di esuli turchi, come Can Dündar); ha fatto chiudere la bocca a comici europei, con la minaccia di azioni legali; ha la mano sui rubinetti dell’immigrazione sin da quando si fece pagare sei miliardi di euro da Bruxelles per tenere chiusi i campi profughi e vive nel sogno di una rivincita storica contro la storica nemesi del suo paese. Solo pochi anni fa le nostre élite politiche, economiche e dei media erano tutte favorevoli all’entrata della Turchia in Europa e gli americani elogiavano la Turchia per il suo “islamismo moderato”.
Erdogan è ancora al potere, ma è caduta la sua maschera. O meglio, le maschere. Il democratico si è rivolto all’autocrate e l’europeo all’ottomano. Peggio Erdogan si comporta, come nella guerra ai curdi di Siria, maggiore è il peso che acquista in Europa. JeanClaude Juncker, presidente della Commissione europea, supplicava Erdogan di considerare come “ti abbiamo trattato da principe a Bruxelles”. Erdogan, “principe d’Europa”, un altro titolo. Il fondatore di Stratfor, George Friedman, ritiene che la Turchia diventerà una superpotenza. “E’ la diciassettesima economia del mondo, più grande dell’Arabia Saudita; ha un esercito e capacità militari superiori a tutti in Europa, potrebbe battere i tedeschi in un pomeriggio e i francesi in un’ora, e ogni volta che il mondo islamico negli ultimi mille anni ha visto l’unificazione è stato sotto il potere turco”. Lo scorso maggio, un rapporto dell’Istituto internazionale per la ricerca sulla pace di Stoccolma ha rivelato che la Turchia ha aumentato le spese militari più di qualsiasi dei quindici paesi che hanno i maggiori budget per la difesa al mondo (tra il 2009 e il 2018, le spese militari turche sono aumentate del 65 per cento). Erdogan sta usando l’esercito per espandere l’influenza turca: “E’ dai tempi dell’Im - pero ottomano che l’esercito turco non aveva un’impronta globale così ampia”, scrive Selcan Hagalou su Bloomberg. “Erdogan ritiene che Ankara dovrebbe trattare con i suoi tradizionali partner occidentali, come Stati Uniti ed Europa, cercando nuovi partner, come Russia e Iran”, dice al Foglio Soner Cagaptay, direttore degli Studi turchi al Washington Institute for East Policy e autore del libro “Erdogan’s Empire”. “Anche se Ankara è ancorata alla Nato, secondo la visione di Erdogan alla fine rimane autonoma. Vuole assicurarsi che tutti rispettino i turchi e i musulmani e che, grazie al suo ruolo di protezione dei musulmani, la Turchia sia riconosciuta come attore globale. Prima che Erdogan prendesse le redini, percependosi come un potere medio e talvolta debole, la Turchia si schierava saldamente con una superpotenza o un blocco globale. Ricordando la memoria del potente impero ottomano, Erdogan vuole rilanciare la grandezza della Turchia e, a tal fine, non ha paura di uscire dal sistema a guida occidentale”.
Erdogan evoca il passato ottomano. “Nazioni un tempo imperi, come la Turchia, gonfiano il proprio periodo di splendore” continua al Foglio Cagaptay. “Com - prendere l’importanza del passato imperiale della Turchia è essenziale. Una visione romantica dell’Impero ottomano continua a modellare le opinioni dei turchi”. Questo li allontana dall’occi - dente. “A differenza dei suoi predecessori, Erdogan non vede la Turchia come parte dell’occidente politico o culturale. La buona notizia, tuttavia, è che ha bisogno finanziariamente dell’occidente”. Da quando il suo Partito per la giustizia e lo sviluppo è diventato la forza dominante nel 2002, elevare il ruolo pubblico dell’islam è stato più che uno slogan per Erdogan. Ai raduni pubblici, il presidente turco fa il gesto della mano con quattro dita in alto e il pollice nascosto. “Il saluto di Rabia” che commemora l’uccisione di sostenitori della Fratellanza Musulmana da parte delle forze militari egiziane. Erdogan si vede come un leader islamico globale con elezioni nazionali da vincere (e non sempre gli riesce, come a Istanbul). “Er - dogan, il leader della ummah”, recita il titolo di una pagina social con centomila follower.
Erdogan esercita una influenza enorme in Europa attraverso quattro milioni di musulmani turchi in Germania e vaste comunità in Olanda, Francia, Austria e altrove. Ha fatto costruire 17 mila moschee (un quinto del totale). La più grande sorge a Camlica, la sponda asiatica di Istanbul, da dove l’oriente, per dirla con Jean Cocteau, tende all’Europa “la sua vecchia mano ingioiellata”. Dal Mali a Mosca, passando per Cambridge e Amsterdam, Erdogan è attivismo in questa diplomazia religiosa. La “più grande moschea dei Balcani” è turca e si trova a Tirana. La moschea turca ad Accra, in Ghana, è “la più grande dell’Africa occidentale”. Quella turca a Bishkek, in Kirghizistan, è “la più grande dell’Asia centrale”. E’ in costruzione anche la moschea turca di Strasburgo, la “più grande moschea d’Europa”, minareti di quaranta metri per tremila fedeli. Erdogan ha potenziato il Diyanet, il ministero degli Affari religiosi, che ha un budget pari a dodici ministeri messi assieme e 120 mila dipendenti (erano 72 mila nel 2004). Il suo budget è aumentato di oltre quattro volte dal primo mandato di Erdogan.
Con questa rete religiosa, Erdogan ha un piede negli affari europei. La Turchia controlla 900 moschee in Germania su 2,400 totali. Servono a rallentare l’assimilazione turca in Europa e a veicolare il suo messaggio nella diaspora. L’anno scorso, la rivista tedesca Spiegel ha riferito che imam turchi hanno condotto preghiere a sostegno dell’incursione militare ad Afrin in Siria. Pochi mesi fa, l’Austria ha chiuso una serie di moschee turche dopo che decine di bambini turchi in mimetica ricreavano la campagna di Gallipoli, quando la Triplice intesa (francesi, inglesi e russi) perse contro l’Impero ottomano nella Prima guerra mondiale. “Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro”, ha detto Erdogan alla diaspora. Si rivolge a loro perché in Turchia il messaggio non passa come vorrebbe.
Secondo David. P. Goldman, fondatore di Asia Times e americano esperto di geopolitica, la Turchia oggi vive un paradosso. “L’islamizzazione è in cima all’agenda di Erdogan”, ci spiega Goldman. “Si è alleato con i Fratelli Musulmani e la monarchia del Qatar e spera di rovesciare il regime saudita e sostituirsi a loro come leader del mondo sunnita. L’impero ottomano aveva il venti per cento di popolazione anatolica cristiana. Erdogan prevede un impero sunnita-turco”. Parlando in Gaugazia, la regione turca in Moldavia, Erdogan un anno fa ha detto: “Siamo una grande famiglia di trecento milioni di persone dall’Adriatico alla Grande Muraglia cinese”. La demografia interna lo ostacola. “Erdogan si è definito un ‘tur - co nero’, un musulmano pio dall’entro - terra anatolico, in contrasto con i ‘turchi bianchi’, i laici europei saliti al potere con Kemal Ataturk fino agli anni Duemila. La crisi politica della Turchia deriva da squilibri demografici e fratture confessionali, sociali ed etniche.
Il problema è che la sua minoranza curda, ora al 20 per cento della popolazione, fa il doppio dei bambini rispetto ai turchi, così tanti che metà della popolazione in età militare parlerà curdo come prima lingua in meno di venti anni. Entro la metà degli anni 40, la metà dei cittadini turchi di età inferiore ai 30 anni proverrà da famiglie di lingua curda. La pressione per ridisegnare la mappa della Turchia e la secessione curda sarà enorme. Ecco perché Erdogan vuole espellere i curdi dalla Siria e sostituirli con gli arabi sunniti. Più in generale, Erdogan immagina un impero pan-turkmeno sostenuto economicamente dalla Cina. Non ci sono abbastanza turchi in Turchia, ma ci sono molti turchi al di fuori”. Secondo Turkstat, l’agenzia statistica ufficiale, le province turche con i più bassi tassi di fertilità sono tutte nel nord e nel nord-ovest del paese, dove le donne hanno in media solo 1,5 figli. Il sud-est curdo mostra tassi di fertilità tra 3,2 e 4,2 figli per donna. Tra il 2001 e il 2015, il numero di matrimoni a Istanbul è diminuito di oltre il 30 per cento e del 40 ad Ankara.
Non si è capito se la Turchia sia in crisi o se sarà un cavallo forte. “Nessuno dei due”, conclude Goldman. “E’ un cavallo agganciato a un carro cinese”. E curiosamente i turchi non sembrano essere più devoti di quanto non fossero dieci anni fa. Secondo uno studio di Konda, una società di sondaggi, tra il 2008 e il 2018 la quota di turchi che si definiscono religiosi è scesa dal 55 al 51 per cento, il numero di donne che indossano il velo è passato dal 52 al 53 per cento e la percentuale di coloro che digiunano regolarmente è scesa dal 77 al 65 per cento”. Erdogan sa comunque che i numeri sono dalla sua parte: in un anno, 1,2 milioni di nascite in Turchia, contro i cinque milioni in tutti i 28 paesi membri della Ue. Già nel 1994, quando era in campagna elettorale per diventare sindaco di Istanbul, il suo partito descriveva l’ascesa di Erdogan come “la seconda conquista di Istanbu”, un trionfo non dissimile dalla prima conquista di Fatih Sultan Mehmet nel 1453. Nel 1996, da sindaco, Erdogan ha rivelato i piani per una moschea in Piazza Taksim, il cuore della città e un simbolo della moderna Repubblica occidentale e laica di Ataturk. Bulent Batuman, professore di Urbanistica alla Bilkent University di Ankara, dice che le moschee neo-ottomane di Erdogan non sono affatto nostalgiche, sarebbe un’accettazione della fine dell’Impero; per Erdogan sono “un rifiuto di tale fallimento” e un tentativo di ripristinare la gloria ottomana. Più recentemente, in un discorso a gennaio ad Izmir, lo stesso Erdogan ha affermato che i confini della Turchia si estendono “da Vienna al mare Adriatico, dal Turkistan orientale (la regione autonoma cinese dello Xinjiang) al Mar Nero”.
Lo scrittore di origine turca e di nazionalità francese Nedim Gürsel è stato a processo due volte nella Turchia di Erdogan. L’accusa è di aver insultato la religione islamica nel suo romanzo, “Le figlie di Allah”. Il ministero religioso ha pesantemente criticato il libro di Gürsel, definendolo “sarcastico e ingiurioso nei confronti di Allah”. Con “Una estate senza fine”, Gürsel aveva ricevuto il più alto premio letterario turco nel 1976, mentre con il libro “La prima donna” fu accusato di oltraggio alla morale pubblica (entrambi i libri sono stati banditi). “L’ideologia di Erdogan è l’ideologia della conquista ottomana, strumentalizzata sul piano politico”, dice Gürsel al Foglio. “L’unità del paese passa da questa strategia. E’ un grande piano che si rifà alla presa di Costantinopoli. La Turchia autoritaria, se non totalitaria, la sua democrazia ristretta e non più rispettata, come la laicità e la libertà di espressione, passano da lì. Erdogan vuole affermare la supremazia sull’occidente. Quando era sindaco di Istanbul parlò della ‘seconda conquista di Costantinopoli’, mentre la prima è celebrata dal governo alla presenza del presidente che assunse l’iniziativa di questa commemorazione quando era sindaco”. “Santa Sofia non sarà più un museo, la chiameremo moschea”, ha dichiarato a marzo Erdogan. “Celebrare una conquista avvenuta più di cinque secoli fa può sembrare anacronistico, direi persino assurdo ai leader europei che si accontentano di non celebrare ma di commemorare battaglie più recenti come Verdun”, continua Gürsel. “Per Erdogan, la presa di Costantinopoli è un altro pretesto per sfidare l’occidente e restituire ai suoi l’orgoglio represso. La Turchia oggi è espansionista, da qui l’intervento militare in Siria.
Erdogan ammira la Russia di Putin e l’Iran dei mullah. Vuole mettersi a capo della ummah. Ha costruito migliaia di moschee in una inversione della laicità. Erdogan non direbbe mai di odiare Ataturk, ma ne sta distruggendo la laicità”. Quando deve ricompattare i turchi, Erdogan evoca un nome maledetto, Sevres, il trattato del 1920 che divise l’Im - pero ottomano. “Se ci fermiamo ci troveremo ad affrontare le condizioni di Sevres”, ripete Erdogan. Resta da capire se la Turchia da lui reislamizzata sarà un nuovo impero Ottomano o se, come capita a molti paesi aggressivi, non stia coltivando una crisi interna simile a quella che sfociò nel crollo della Sublime porta.
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