I curdi, Trump e Israele
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione diYehudit Weisz)
A destra: peshmerga kurdi
Di fronte alla tragedia che si sta estendendo nel Nord della Siria, abbiamo assistito ad una strana unanimità nel denunciare il colpevole. Quelle decine di famiglie in fuga dalle loro case, dalle città in cui sono cresciute; il lungo elenco di morti e feriti, civili e militari; le esecuzioni sommarie; gli edifici distrutti - beh, è tutta colpa di Donald Trump. Eppure non sono sue le truppe che bombardano, sparano, bruciano, colpiscono degli innocenti. E’ il sultano di Ankara che ha deciso di invadere un Paese vicino. Sono le truppe turche, i bombardieri turchi, i carri armati turchi che, agendo all'interno di un Paese sovrano, in violazione del diritto internazionale, sono responsabili di queste atrocità. Si dirà che il Presidente americano "ha dato il via libera" all'operazione, accusa da cui si difende. Si dirà anche che ritirando il piccolo contingente americano presente sul posto, ha lasciato il campo aperto all'invasore turco. È possibile. Ma anche ammettendo che avesse l'obbligo morale di difendere i curdi, suoi alleati, sarebbe sufficiente per attribuirgli ogni responsabilità? Per assolvere i turchi? Concentrandosi sulla turpitudine reale o immaginaria di Donald Trump, i leader europei stanno soprattutto cercando di convincere se stessi e i loro popoli che non sta a loro di agire, di intervenire per fermare l'aggressore. Si accontentano di riunire unità di crisi, di esibirsi negli studi televisivi e di minacciare oscure sanzioni che non scoraggeranno certo un dittatore che ha l'equivalente dell'arma atomica: i tre milioni e mezzo di rifugiati che lui minaccia di lanciare all'assalto delle coste europee.
Donald Trump, Benjamin Netanyahu
Il Consiglio di Sicurezza, riunito con urgenza - e a porte chiuse - non ha preso alcuna decisione. È altrove che si sta giocando il destino dei curdi: nei negoziati svoltisi sotto l'egida della Russia tra i loro rappresentanti e i rappresentanti di Bashar Assad. Certamente Putin non teme l'afflusso dei rifugiati. In effetti, quello a cui stiamo assistendo è un classico caso di realpolitik. Come giustamente soleva dire Charles de Gaulle, gli Stati non hanno amici, hanno solo interessi. E’ possibile che, un domani, Israele rischi di ritrovarsi a sua volta abbandonato e che debba affrontare da solo l'Iran e i suoi alleati, determinati a cancellarlo dalla carta geografica? Certamente, per quanto riguarda l'Europa, il Generale l'aveva già detto: “ Non c’è motivo per cui la Francia, ma aggiungerei anche il Regno Unito, debbano rovinare le loro relazioni con gli arabi, solo perché l’opinione pubblica esprime una simpatia superficiale per Israele, perché è un piccolo Stato con una storia sfortunata”. Al contrario, l'America di Trump ha dimostrato con i fatti che non si accontentava di belle frasi al sostegno di Israele e che era pronta a correre il rischio di alienarsi il mondo arabo. Il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme, il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan e il veto quasi automatico di qualsiasi risoluzione anti-israeliana al Consiglio di Sicurezza ne sono la prova. Ma se è bello avere degli amici leali, non è questo il punto. Israele ha dimostrato, fin dalla nascita del suo Stato, di non aver bisogno di nessuno per difendersi.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".