Tutte le battaglie di Harold Bloom Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 16 ottobre 2019 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «'Ho perso la guerra contro i barbari'. Così Bloom provò a fermare la 'mafia decostruzionista'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/10/2019, a pag.I, con il titolo " 'Ho perso la guerra contro i barbari'. Così Bloom provò a fermare la 'mafia decostruzionista' " il commento di Giulio Meotti.
Giulio Meotti
Harold Bloom
Roma. “Per cinquant’anni ho combattuto la morte degli studi umanistici nelle università, ma abbiamo perso la guerra e tutto quello che posso fare ora è una sorta di azione di guerriglia, i barbari hanno preso il controllo dell’accademia”. Harold Bloom, il grande studioso e critico letterario scomparso a 89 anni, aveva ammesso la sconfitta. La “guerra” di cui parlava era quella fra le humanities e la decostruzione, la French School. Veniva da quel mondo, Bloom. Durante gli anni Settanta divenne un capofila della Yale School che poi avrebbe deriso e chiamato “fantasia francese”. Nel 1977, dopo ventidue anni di sporadica faida interna, si separò completamente dal dipartimento di Inglese per diventare l’unico professore di discipline umanistiche di Yale, splendido nel suo isolamento, da cui voltò le spalle agli amici di un tempo, da Paul de Man a Jacques Derrida, la “mafia ermeneutica” come veniva chiamata, un gruppo nato su iniziativa di J. Hillis Miller, che sarebbe stato attaccato per oscurantismo e nichilismo. La nomina di Miller a presidente della Modern Language Association fu significativa. I “selvaggi” – lacaniani, femministe, nuovi storici, titolari di Black Studies – avevano evidentemente conquistato il campo. Bloom le chiamava “ideologie punk”, “femminismo vizioso”, “dottrina soffocante” e “nuovi stalinismi”. Descriveva i membri del dipartimento di Inglese come “veri e propri agitatori marxisti”. Una scuola che avrebbe sdoganato tutto, l’afrocentrismo, il femminismo letterario, ogni possibile teoria queer e altri movimenti da Bloom collocati nella “Scuola del risentimento”, i resentniks, “i cosiddetti multiculturalisti che ci dicono che dobbiamo valutare un’opera letteraria a partire dall’origine etnica o dal gender dell’autore”. Lo aveva previsto nel “canone”: “Quando la Scuola del risentimento diventerà dominante tra gli storici dell’arte e della critica come lo è tra gli accademici letterari, Matisse rimarrà senza pubblico mentre noi tutti ci accalcheremo per vedere i dipinti delle Guerrilla Girls e Stravinsky correrà il rischio di essere sostituito dalla musica politicamente corretta”. Diceva: “Sono una accozzaglia di Lemmings che si lanciano giù dalla scogliera portando con sé il loro presunto soggetto fino alla distruzione”. Bloom aveva intuito che la cultura occidentale, da canone, sarebbe stata trasformata in discarica. Un gruppo di studenti chiamati “Reedies Against Racism” ha protestato per più di un anno, sostenendo che fosse “eurocentrico” e “caucasico” il corso di cultura occidentale. “Il canone occidentale è antiquato ed è disonorevole continuare a omettere le persone di colore dal curriculum”, dicevano. Ancora alla fine degli anni Settanta, quando Harold Bloom (della stessa stirpe e lignaggio dell’altro Bloom, Allan) iniziò la sua battaglia, dieci dei cinquanta college principali avevano un corso obbligatorio di “civiltà occidentale”, mentre trentuno di essi offrivano il corso agli studenti se avessero voluto sceglierlo. Oggi, secondo un rapporto dal titolo “The Vanishing West” della National Association of Teachers, nessuna università americana offre quasi più simili corsi, sostituiti da abracadabra ideologici come “Gender, Race, Ethnicity, Disability and Sexuality Studies”. Oggi c’è una theory per ogni capo di accusa: liberismo, popoli oppressi, razzismo, colonialismo, imperialismo, omofobia, classismo, costruzionismo, umanismo, multiculturalismo e la somma viene chiamata “interectionality”. Sono i Lemmings accademici mazzolati da Harold Bloom, uno che si ostinava a fare il critico letterario e che non aveva paura di giudicare. Il sublime rabbino della letteratura che diceva di sé: “Io sono un vero critico marxista, seguace di Groucho più che di Karl e assumo a mio motto la grande battuta di Groucho: ‘Qualsiasi cosa sia, io sono contro’”.
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