Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/10/2019, a pag.6 con i titoli "I curdi accerchiati dall'avanzata turca. Assad manda l'esercito a Kobane", "I miliziani dell'Isis liberi di colpire. Trucidata l'attivista dei diritti umani", due servizi di Giordano Stabile.
Ecco gli articoli:
"I curdi accerchiati dall'avanzata turca. Assad manda l'esercito a Kobane"
Giordano Stabile
Le terre del Rojava passano di mano a una velocità impressionante. La decisione di Donald Trump, nella notte fra sabato e domenica, di ritirare «il più presto possibile» i mille militari statunitensi ancora nella regione ha scatenato una corsa di tutte le forze in campo. Senza più lo scudo americano, privi di mezzi anti-aerei, per i guerriglieri curdi non c'è scampo. E allora hanno deciso di concentrare le loro forze alle estremità Ovest e Est del fronte. E di chiedere aiuto ai russi e al governo di Damasco. Bashar al-Assad aveva già ammassato truppe verso l'Eufrate ed è ora pronto ad attraversarlo «entro 48 ore» per arrivare a Manbij e Kobane prima dei turchi. Anche perché l'aviazione americana «non ostacolerà la manovra». Per il raiss è un successo insperato, per i curdi si tratta di sopravvivere. La parte centrale del fronte, fra Tall Abyad e Ras al-Ayn è al collasso. Nonostante i contrattacchi notturni le due cittadine sono in mano a esercito di Ankara e miliziani arabi alleati. Nel mezzo è stato aperto un nuovo varco, e i combattenti dell'Esercito nazionale siriano hanno raggiunto l'autostrada M4, che corre a 30-40 chilometri di profondità. Lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha allargato la «fascia di sicurezza» a 35 chilometri, per includere la principale via di comunicazione. Avanguardie dei miliziani sono arrivate fino ad Ayn Issa, ancora più in giù, sulla strada che da Tall Abyad porta a Raqqa. I limiti posti all'inizio dell'operazione «Fonte di pace», nella telefonata di domenica 6 ottobre fra Trump e Erdogan, non hanno più senso. Il capo della Casa Bianca, dopo che venerdì sera i soldati statunitensi erano finiti sotto il fuoco dell'artiglieria turca, ha capito che la situazione non era più sostenibile, a meno di un confronto armato con la Turchia, impensabile. E ha deciso di togliere il disturbo. Ieri funzionari hanno ammesso che la situazione «si sta deteriorando con grande rapidità», perché turchi e alleati «possono isolare le basi americane» e Washington non controlla più «le vie di comunicazione» e neppure «i jet turchi sopra le teste dei soldati«. Poi il segretario alla Difesa Mark Esper ha spiegato con una certa brutalità che «Erdogan ci ha informato che stava arrivando: ci ha informato, non ci ha chiesto il permesso». E non c'era modo di «fermare 15 mila turchi che avanzano verso Sud». Una determinazione confermata ieri dallo stesso Erdogan. «Sapevamo – ha spiegato – che dopo aver lanciato la nostra operazione avremmo dovuto affrontare la minaccia di sanzioni o di embargo sulla vendita di armi. Quelli che pensano di farci ritirare con questa minacce si sbagliano di grosso». I primi ad averlo capito sono i curdi. Senza la leadership americana i Paesi europei non possono impensierire la Turchia e tanto meno proteggere i curdi sul terreno. Per questo il Pyd, il braccio politico delle Ypg, ha riaperto subito i canali con il governo di Damasco. Ieri una delegazione è arrivata nella base russa di Hmeimim e c'è stato un primo accordo. L'esercito siriano, preceduto dalla polizia militare di Mosca, sarà dispiegato a Manbij e a Kobane, la principale città curda nel Rojava, ormai tagliata fuori dai territori più a Est. Le perdite fra i guerriglieri sono troppo elevate. Il ministero della Difesa turca sostiene di aver eliminato 525 «terroristi», mentre le vittime civili sono almeno 60, 130 mila gli sfollati. La cessione di Manbij, che i curdi hanno strappato all'Isis nell'agosto del 2016, è dolorosa ma non troppo. La città è a maggioranza araba, si trova a Ovest dell'Eufrate ed era indifendibile fin dall'inizio. Perdere Kobane, città martire della lotta all'Isis, è un altro discorso, significa la fine del sogno di indipendenza. Ma sempre meglio finire nelle grinfie di Assad, con assicurazioni da parte dei russi, che sotto i talloni di miliziani infiltrati da jihadisti di Al-Qaeda. Come riassume il decano degli analisti mediorientali, Joshua Landis, «l'amara verità è che Putin è oggi l'unico statista in grado di disinnescare i conflitti in Medio Oriente, in Siria come nel Golfo. La politica estera americana è collassata con Trump, una decisione sbagliata dopo l'altra. Porta soltanto caos».
"I miliziani dell'Isis liberi di colpire. Trucidata l'attivista dei diritti umani"
Hevrin Khalaf, segretario generale del Partito del Futuro siriano
stuprata e poi lapidata in strada dai terroristi dell'Isis
Un'attivista paladina dei diritti umani e della coesistenza pacifica trucidata. Altri 17 civili uccisi a sangue freddo in due giorni. Giornalisti, anche stranieri, bombardati. Le violazioni dei diritti umani nel Nord-Est della Siria sono sempre più massicce. E i responsabili sono gli ex ribelli jihadisti siriani che ora combattono al fianco della Turchia contro i curdi. L'episodio più grave è l'assassinio di Hevrin Khalaf, segretario generale del Partito del Futuro siriano e una delle più note attiviste per i diritti delle donne nella regione. Il fuoristrada Toyota che la trasportava è stata fermato sabato sull'autostrada M4, verso Qamishlo. Un gruppo di uomini armati lo ha crivellato di colpi. Poi ha fatto scendere Hevrin e l'ha uccisa con una raffica a bruciapelo. L'autista e l'uomo di scorta sono stati legati e poi finiti a fucilate. I responsabili sono i miliziani del gruppo jihadista Ahrar al-Sharqiya, in questa fase alleati della Turchia e responsabili di altre esecuzioni sommarie. Hanno diffuso loro stessi due video girati con i cellulari che mostrano il massacro. Nel primo si vede l'attivista circondata da combattenti in mimetica. In un altro è mostrato il corpo di una donna, a terra con il viso e i capelli ricoperti di polvere, oltraggiato. L'agguato è stato teso dopo che i miliziani avevano preso il controllo dell'autostrada M4 e allestito posti di blocco volanti per «catturare terroristi del Pkk». Ma nella rete sono finiti civili innocenti, in fuga. Sabato ci sono state nove esecuzioni sommarie. Nella giornata di ieri, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, altre nove «a sud della città di Tel Abyad». Un convoglio con giornalisti stranieri scortati da guerriglieri curdi è stato colpito invece vicino a Ras al-Ayn. Morto un reporter locale e un inviato ucraino. Sfiorata una troupe francese. Ma la perdita di Hevrin è tanto più dolorosa perché si batteva per la coesistenza pacifica fra curdi, cristiano-siriaci e arabi. In un primo momento la responsabilità della sua uccisione era stata attribuita all'Isis. Fatto plausibile perché sono sempre di più i seguaci del califfato tornati in circolazione. Ieri il campo profughi di Ayn Issa, che ospitava parte dei foreign fighter e loro familiari è stato attaccato dopo che gran parte delle guardie curde lo avevano abbandonato. I jihadisti sono riusciti a liberare almeno 100 ex combattenti e un migliaio di civili, quasi tutti stranieri. Nella sezione speciale del campo c'erano centinaia di donne, molte vedove, trasferite lì durante la battaglia di Raqqa. Ora si sono con molta probabilità uniti ai miliziani. Fonti curde dicono che il caos è stato favorito da un raid aereo turco sulle loro postazioni vicino ad Ain Issa. Altre fonti, non confermate, sostengono che alle porte della città sono arrivate le avanguardie di un gruppo di combattenti arabi alleati della Turchia. Ayn Issa si trova a Sud di Tall Abyad, a 40 chilometri della frontiera, e a 50 chilometri a Nord di Raqqa. È uno snodo strategico che i curdi devono tenere a tutti i costi se non vogliono essere tagliati in due. Il campo custodiva un gran numero di prigionieri di origine maghrebina. Non c'erano però gli ex combattenti ritenuti più pericolosi, rinchiusi in prigioni più sicure, compresa una sempre vicino ad Ain Issa. Almeno tre sono già state attaccate dalle cellule dell'Isis, e da una sono fuggiti cinque jihadisti. I curdi hanno custodito finora 12 mila jihadisti e 90 mila famigliari, la maggior parte nel campo di Al-Hol, vicino al confine con l'Iraq, che sta per esplodere. Ieri hanno detto che «non si sentono più responsabili» della loro sorte. La priorità è sopravvivere ma i jihadisti in fuga potrebbero mescolarsi ai miliziani arabi e rendere la battaglia ancora più terribile.
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