Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/10/2019, a pag. II, con il titolo "Israele, i curdi e Trump", l'analisi tratta dal Jerusalem Post; dal MESSAGGERO, a pag. 6, il commento dal titolo "Israele e il disimpegno della Casa Bianca: così si favorisce l'espansionismo iraniano" di Marco Ventura.
A destra: una manifestazione di amicizia tra Israele e Kurdistan
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO: "Israele, i curdi e Trump"
Una manifestazione per la libertà dei kurdi a Tel Aviv
Non ci si faccia ingannare dalla mancanza di una risposta israeliana ufficiale al drammatico ribaltamento politico rappresentato dalla decisione del presidente Usa Donald Trump di rimuovere le truppe statunitensi dalla Siria settentrionale: in realtà, Gerusalemme è profondamente preoccupata per questo passo”, scrive Herb Keinon. “Viene confermata l’idea che davvero Israele può fare affidamento unicamente su se stesso. La decisione di Trump non può essere vista come una scelta isolata. Deve anche essere vista nel contesto degli attacchi sostenuti dall’Iran il mese scorso contro le strutture petrolifere saudite e l’assordante mancanza di reazione da parte americana. Entrambi questi incidenti dimostrano che l’attuale amministrazione è ben poco diversa dalla precedente amministrazione Obama nella sua riluttanza a prender partito e affrontare, ove necessario, le forze negative in medio oriente. E questo è un dato che riveste un enorme significato per Israele. Esso conferma nei pianificatori strategici del paese la convinzione che, sebbene gli Stati Uniti sotto un’amministrazione amichevole siano pronti a sostenere Israele alle Nazioni Unite e offrire assistenza con aiuti per le armi e sostegno morale, difendendo il paese dalle pressioni internazionali, quando si tratta del ricorso alla forza Israele deve essere preparato e pronto a difendersi da solo. L’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano Eran Lerman dice che nella regione oggi nessuno che sia ‘lucido di mente’ farebbe affidamento sugli americani, e questo è un fatto che potrebbe benissimo spingere vari attori fra le braccia degli iraniani, che non aspettano altro. Lerman definisce la mossa di Trump ‘un’onta morale’ e dice che una sua possibile conseguenza potrebbe essere quella di spingere i curdi, nella loro battaglia con i turchi, dalla parte del regime di Assad e dei suoi padrini iraniani. Il che avrebbe gravi conseguenze per Israele, poiché eliminerebbe l’ultima barriera nel nord della Siria che impedisce un corridoio terrestre, vale a dire una linea di rifornimento continua dall’Iran attraverso l’Iraq e la Siria, fino al Libano e ai porti sul mar Mediterraneo”.
IL MESSAGGERO - Marco Ventura: "Israele e il disimpegno della Casa Bianca: così si favorisce l'espansionismo iraniano"
Le tre "lezioni" di Eyal Tsir Coen, esperto del think tank americano Brookings e per trent'anni consigliere nell'ufficio del primo ministro israeliano, sintetizzano lo sconforto e la preoccupazione di Israele per il disimpegno di Trump dalla Siria e l'abbandono dei curdi al loro destino. L'isolazionismo del Presidente Usa significa molto per gli israeliani. Non a caso Benjamin Netanyahu, commemorando la guerra dello Yom Kippur del 1973 che quasi costò la sopravvivenza di Israele, pur apprezzando gli Stati Uniti di Trump che negli ultimi anni hanno spostato l'ambasciata a Gerusalemme e caldeggiato l'annessione del Golan e la politica degli insediamenti in Cisgiordania, ha tuttavia ribadito che Israele è pronto a «difendersi da solo, contro ogni minaccia». Da solo. Perché la mossa di Trump fa pensare che gli Stati Uniti potrebbero non essere al fianco di Israele nella battaglia decisiva. Ma quali sono le tre "lezioni" di Eyal Tsir Coen per Brookings? La prima: «Combattiamo da soli». Il fatto è che le milizie curde hanno guerreggiato contro l'Isis per 5 lunghi e sanguinosi anni, dal 2014 al 2019. Mentre l'esercito siriano era tutto impegnato nel contrastare l'opposizione interna sunnita, i curdi già morivano per liberarsi del Califfato. Solo nel 2015 è sceso in campo anche l'esercito di Assad, spalleggiato dalla Russia.
I DUBBI La decisione di Trump di avallare l'offensiva turca smentisce la convinzione che siano gli Usa il "poliziotto globale". Di fronte a questioni di vita o di morte per i curdi, gli americani spariscono. E se facessero lo stesso con Israele? Questo l'interrogativo che si pongono a Gerusalemme. In modo discreto e invisibile, gli emissari di Netanyahu alla Casa Bianca si sono mossi per segnalare il «forte disagio». E l'intervento potrebbe avere influito sulla mezza retromarcia di Trump e l'annuncio di sanzioni alla Turchia. La seconda lezione è una domanda che ritorna: «E finita l'idea di un nuovo Medio Oriente?». Sotto l'ombrello protettivo di un alleato affidabile come gli Usa (prima del disimpegno di Trump) era ipotizzabile un riavvicinamento tra Israele e i Paesi arabi in chiave anti-iraniana, in un simile contesto sarebbe stato persino possibile un accordo di pace israelo-palestinese. Ma la mancata reazione americana ai droni esplosivi contro gli impianti petroliferi sauditi ha fatto capire al principe Mohammed bin Salman che sarebbe meglio raggiungere un'intesa con l'Iran, magari attraverso la mediazione dei premier pakistano e iracheno, e non affidarsi completamente a Trump. Succede così che l'isolazionismo della Casa Bianca isola pure Israele, favorisce l'espansionismo iraniano e la continuità territoriale delle milizie degli Ayatollah nell'area, e rafforza la Russia sulla scena mediorientale. Di qui la terza "lezione", che per Eyal Tsir Coen va sotto il titolo «Un nuovo sceriffo in città». E chi se non Putin è questo "nuovo sceriffo"? Con una controindicazione per Israele: se la Russia impone in Siria la sua legge (e le batterie antimissile S-300), potrà Israele reagire prontamente alle future minacce, o dovrà coordinare le proprie azioni con lo "sceriffo Putin"?
L'ESERCIZIO In conclusione, la volubilità (per usare un eufemismo) dell'alleato americano obbliga Gerusalemme a un "cheshbon nefesh", un esercizio spirituale che corrisponde a «fare i conti con la propria anima». Pro e contro. Profitti e perdite. Fare i conti con la realtà.
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