Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 10/10/2019, a pag.8, con il titolo 'Come a Roma 37 anni fa: vidi paura e morte', l'intervista a Riccardo Pacifici di Alberto Giannoni; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Ebrei sotto attacco in Germania", il commento di Giulio Meotti.
Ecco gli articoli:
IL GIORNALE - Alberto Giannoni: 'Come a Roma 37 anni fa: vidi paura e morte'
Alberto Giannoni
Riccardo Pacifici
Era il 9 ottobre 1982. Sono passati 37 anni esatti dal più grave attentato antisemita della storia italiana, l'attacco che davanti alla sinagoga di Roma uccise il piccolo Stefano Gaj Taché, 2 anni. Anche quel giorno gli ebrei furono colpiti in un giorno di preghiera, in quel caso da un commando palestinese. Riccardo Pacifici, più tardi sarebbe diventato presidente della Comunità romana, quel 9 ottobre c'era.
Pacifici, un altro attacco agli ebrei che pregano? «Era un giorno di festa, che concludeva il ciclo di tutte le feste ebraiche, le stesse che ora festeggiamo: capodanno, Kippur, ricordo che Israele ha subito una guerra dai Paesi arabi per Kippur. Giorni di preghiera, di vulnerabiltà anche. Paradossalmente sono i giorni in cui dobbiamo stare più attenti. Anche noi oggi pregavamo, io ero sereno perché fuori dalla mia sinagoga c'era una camionetta, due soldati, il servizio d'ordine, i volontari, questo deterrente. In Italia è così, anche in Germania, ma non è scontato. In Francia per esempio non hanno questa garanzia».
Cosa ricorda di quel giorno romano di 37 anni fa? «Il tempio era gremito di bambini, era il giorno in cui a Roma, solo a Roma, si dà loro la benedizione. Avevo 18 anni, mio padre venne ferito e restò tre mesi fra la vita e la morte, gli avevano messo un lenzuolo bianco ed era accanto al piccolo Stefano».
Salvato per miracolo. «Il rabbino Toaff, che non era nella sinagoga centrale, si fece la strada a piedi trafelato e andò nella camera mortuaria, dove era anche Stefano. A mio padre stavano dando l'ultima benedizione e lui prese per la giacca i medici, che erano intenti a curare decine e decine di feriti. E trovò un medico bravissimo che gli praticò una tracheotomia. La bomba gli aveva colpito la gola, un occhio, l'addome. Gli salvò la vita, ma la sua vita non fu più la stessa. E nemmeno la mia».
Come si arrivò a quel giorno? «Quel 9 ottobre arrivò in una fase in cui l'opinione pubblica chiedeva conto a Israele di aver difeso i propri confini - io ero stato in un kibbutz l'estate prima, ricordo i missili delle forze palestinesi, erano i famosi katiuscia - e si chiedeva conto agli ebrei di questa operazione. E Arafat, che aveva un mandato di cattura internazionale, fu ricevuto con tutti gli onori in Italia, anche dal Papa, e dal presidente Pertini».
Spadolini non lo fece. «L'unico che si rifiutò di farlo fu il presidente del Consiglio, in quel clima di assedio in cui tutta la sinistra chiedeva conto non solo a Israele ma agli ebrei, di queste cose. Su Repubblica e sul Messaggero comparvero appelli perché Israele si ritirasse e affinché gli ebrei si dissociassero. Davide discolpati si diceva. L'apice fu una manifestazione sindacale in cui una bara vuota fu deposta davanti alla sinagoga. Purtroppo sarebbe stata riempita».
Analogie fra Roma e Halle? «Non nella matrice, qui di stampo suprematista. L'ideologia che ha mosso l'azione va nella stessa direzione di quella nella moschea neozelandese. Ma occorre affrontare il tema, non mettere la tesata sotto la sabbia. Anche col fondamentalismo islamico. Dovremmo tutti avere il coraggio di farlo. Noi ebrei siamo una cartina di tornasole. Pensiamo all'ascesa di Hitler, il mostro va annientato prima che cresca».
IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Ebrei sotto attacco in Germania"
Giulio Meotti
Davanti alla sinagoga di Halle
Roma. “La radice di tutti i problemi sono gli ebrei”, dice l’attentatore di Halle, che si fa chiamare “Anon”, guardando nella videocamera Gopro, prima di dirigersi verso la sinagoga in Humboldt Strasse per fare una strage. L’attentato, in stile Christchurch, arriva in una settimana di attacchi quasi quotidiani in Germania. Tre giorni fa, le guardie a protezione di una sinagoga nel distretto berlinese di Mitte hanno arrestato un uomo che, urlando “Allahu Akbar”, stava cercando di entrare armato di coltello. Il giorno dopo, a Limburg, lo stesso grido da un camion lanciato contro le auto. A Massing, in Baviera, un uomo ha preso a sassate una donna israeliana, dopo averla sentita parlare in ebraico, chiamandola in modo sprezzante “ebrea”. Ieri, la comunità ebraica tedesca è stata scossa come mai prima per Yom Kippur, la più solenne festività ebraica, quando le sinagoghe sono piene per il digiuno e il pentimento. Almeno due morti, un uomo e una donna, fuori dalla maggiore sinagoga di Sassonia, a Halle. Secondo informazioni della Faz, nessun membro della comunità ebraica sarebbe rimasto ucciso (le vittime sarebbero passanti). L’attentatore, in tuta mimetica ed elmetto, ha tentato di sfondare le porte della sinagoga, come era già successo a Pittsburgh. Sarebbe stato un massacro. Max Privorotzki, a capo della comunità ebraica di Halle, ha raccontato infatti allo Spiegel: “C’era un centinaio di persone in sinagoga e le misure di sicurezza hanno retto. Abbiamo visto nella telecamera un criminale pesantemente armato con un elmetto e un fucile che ha tentato di aprire le porte. Ha lanciato molotov, petardi e granate per entrare. La porta è rimasta chiusa, Dio ci ha protetti. Il tutto è durato dai cinque ai dieci minuti. Ci siamo barricati e abbiamo aspettato la polizia”. “Chiediamo alle persone di rimanere al sicuro nelle loro case”, continuava a ripetere un portavoce della polizia. Ore di panico e caos. In molte città, come Lipsia, Dresda, Berlino e Francoforte sul Meno, la protezione della polizia alle sinagoghe è stata rafforzata. Nora Goldenbogen, presidente della comunità ebraica di Dresda, ha detto: “Questo atto terribile ci terrorizza profondamente”. Testimoni hanno riferito che l’attentatore ha lanciato poi una granata, che non è esplosa, e ha sparato con un fucile d’assalto contro un ristorante di kebab. Gli obiettivi – una sinagoga e un locale turco – hanno subito indicato la pista degli estremisti di destra. Secondo informazioni del Tagesspiegel, ambienti della sicurezza sospettano i neonazisti attivi da tempo a Halle. Il ministro dell’Interno, Horst Seehofer, ha affermato che la polizia ha scoperto 1.091 armi durante raid negli ambienti legati all’estrema destra in tutto il paese. L’ex Germania dell’est, la rossa che ha fatto un trapianto di cuore nero, dove si è consumato l’attentato, da anni ribolle di nazionalismo e furie identitarie: Alternative für Deutschland (AfD) è il primo partito nei länder dell’ex Germania est; Pegida, il movimento contro l’islamizzazione, viene da Dresda, mentre Chemnitz, altra città dell’est, è stata l’epicentro di drammatiche manifestazioni contro l’immigrazione. Dopo la Francia (Tolosa, Parigi), la Danimarca (Copenaghen) e il Belgio (Bruxelles), questo è il primo attentato mortale in Germania contro la comunità ebraica, dopo almeno cinque anni di recrudescenza antisemita quotidiana fatta di rabbini, studenti, turisti e passanti aggrediti per strada, perché indossavano simboli ebraici o parlavano ivrit. La scorsa primavera, Felix Klein, delegato del governo per la lotta all’antisemitismo, ha scioccato la Germania con queste parole: “Gli ebrei farebbero bene a non indossare la kippah”. Pochi giorni dopo il presidente Frank-Walter Steinmeier ha dichiarato al Collegio degli studi ebraici di Heidelberg che il paese doveva fare di più per far sentire al sicuro la comunità ebraica. Su Twitter, il giornalista Richard C. Schneider ieri si chiedeva, come i 200.000 ebrei tedeschi: “La domanda cruciale per Yom Kippur oggi è: gli ebrei possono ancora vivere in Germania?”.
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