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La Stampa Rassegna Stampa
29.09.2019 Alain Finkielkraut: L'Europa ha perso la sua sovranità
Lo intervista Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 29 settembre 2019
Pagina: 7
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il fenomeno Greta mi inquieta, usano il clima come un ricatto»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/09/2019, a pag.7, con il titolo "Il fenomeno Greta mi inquieta, usano il clima come un ricatto" l'intervista a Alain Finkielkraut di Francesca Paci


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Alain Finkielkraut

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Francesca Paci


Non si atteggia a star Alain Finkielkraut. Abito scuro, camicia bianca, andatura dinoccolata: il celebre filosofo francese nemico giurato del "benpensantismo" arriva in sordina alla Foresteria Serego Alighieri, appena fuori Verona, dove lo attendono per la consegna del prestigioso premio Masi Grosso d'Oro Veneziano. Non si atteggia a star ma non lo disturba affatto sentirsi controcorrente. Specie se si tratta di icone popolari come GretaThunberg.
Perché non le piace questa sedicenne che si batte per il pianeta?
«Del fenomeno Greta mi inquieta proprio che sia diventata un fenomeno, un'icona planetaria, gli adulti del mondo intero si prostrano davanti a lei. L'ecologia è troppo importante e urgente per lasciarla ai bambini. I giovani non hanno esperienza del mondo: come scriveva Primo Levi ne "I sommersi e i salvati", non ammettono l'ambiguità. L'ecologia gli ha fornito l'occasione di essere manichei. Ma della questione ignorano la complessità, i casi di coscienza. Parlando di surriscaldamento del pianeta per esempio, il nucleare è parte del problema o della soluzione? Non gliinteressa. Preferiscono insultare gli adulti. E poi c'è questo sciopero settimanale, dicono che faranno icompiti quando gli adulti faranno i loro: gli adulti perdono l'onore cedendo a questo ricatto. Il direttore di Liberation ha sentenziato che chi critica Greta è un reazionario, lo trovo sconvolgente: definire reazionario qualcuno significa considerarlo un ostacolo e non un interlocutore. Io invece difendo l'ecologismo esigente».
Greta però legge, e quanto a essere giovanissima anche Giovanna d'Arco lo era. Non è che rivede nella paladina verde il maggio `68, la stagione di cui, pur avendone preso parte, è piuttosto critico?
«È possibile. Allora la giovinezza si scagliò contro la cultura vecchia. C'erano sloganbarbarici. Philippe Muray ha scritto che la giovinezza è un naufragio. Sono stato giovane, ma oggi capisco che è un'età malleabile, conformista e manichea, lo capisci quando ne esci. È il terreno della demagogia dove s'incontrano la destra e la sinistra, dove Obama e Salvini si danno lamano».
Chi vincerà la sfida tra sovranisti e europeisti-liberal?
«Non mi riconosco in nessuno dei due schieramenti. Non sono favorevole alla dissociazione dell'Ue ma contesto il fatto che l'Ue non si consideri una civilizzazione bensì una costruzione di norme e procedure. I valori sono la sostanza dell'Europa. Ma la sua vocazione alla tolleranza e all'uguaglianza l'ha portata a non affermare il primato della cultura europea su quella dei nuovi arrivati».
I gilet gialli, da cui fu insultato come sionista, sono una minaccia reale per la Francia?
«I gilet gialli hanno un'origine comprensibile. David Goodhart parla di "anywhere" e "somewhere" per indicare la lasse dominante, asuo agio ovunque ma arrogante di una presunta superiorità morale, e tutti gli altri. I gilet gialli hanno rappresentato all'inizio la rivolta dei "somewhere", la Francia periferica, chiedevano di essere considerati. Però poi il movimento si è radiralizzato, è passato alla violenza: oggi non hanno più nulla di quelli originari».
Le banlieues esplosive, che lei ha denunciato, sono tipiche della Francia o sarà un problema di tutti?
«La Svezia lo ha già scoperto, Malmo è una città insicura e da dove gli ebrei scappano. Anche nel Regno Unito è così e il fenomeno riguarderà presto tutta l'Europa. Ma in Francia la frattura è più visibile. Lo ammise anche Hollande in un libro. In molti quartieri la gente opta già perla separazione anticipando la secessione di domani. Non è solo economia ma civilizzazione. Senza un'immigrazione controllata avverrà l'inverso, saranno i francesi ad assimilarsi, come prova già il fenomeno delle conversioni all'islam molto superiore rispetto alle conversioni al cristianesimo». Bisognerebbe mettere un freno all'immigrazione o, essendo un fenomeno inevitabile, è meglio dedicarsi a gestirla?
«La soluzione è controllare i flussimigratori. E se è impossibile a farsi, allora l'Ue ha perso la sua sovranità. Oggi l'Europa è l'opposto di una fortezza: ha le porte spalancate all'immigrazione, la Francia è terra di asilo. Per assicurare una buona accoglienza ai nuovi venuti e preservare l'armonia sociale va rallentata l'immigrazione».
Ha scritto un'autobiografia in cui si interroga sulla sua immagine pubblica, "À la première personne": ha ragione chi la chiama nostalgico, moralista, reazionario?
«Un grande pensatore francese, Alfred Sauvy, ha detto che la democrazia non è mettersi d'accordo ma sapersi dividere. È un sapere che è sempre stato fragile ma oggi perde colpi. Il termine reazionario non ha senso, è un'invettiva. Se sono un nostalgico non sono un reazionario. Più il presente diventa selvaggio meno è permesso di uscirne con la memoria. Ci obbligano ad amare il presente, è stupido e ha qualcosa di totalitario. Sono stato serenamente professore in una scuola tecnica dove oggi insegnare è piuttosto l'arte del combattimento. Ho il diritto di essere nostalgico di quando i giovani non avevano il cellulare? Il cellulare è una catastrofe ontologica. E quanto al moralista, no, non lo sono, provo a riflettere sul presente e a diagnosticare: si chiama filosofia»

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