Israele, incarico a Netanyahu: ecco chi disinforma Francesca Caferri su Repubblica, titoli di Fatto Quotidiano e Manifesto
Testata: La Repubblica Data: 26 settembre 2019 Pagina: 19 Autore: Francesca Caferri Titolo: «Netanyahu ancora una volta. Ma Gantz rifiuta la convivenza»
Riprendiamo daREPUBBLICAdi oggi, 26/09/2019, a pag.19 con il titolo "Netanyahu ancora una volta. Ma Gantz rifiuta la convivenza", il commento di Francesca Caferri.
Francesca Caferri attacca ancora Benjamin Netanyahu e sottolinea in modo esagerato la "debolezza" del leader del Likud, che è stato comunque scelto da un terzo degli elettori israeliani (che hanno premiato in misura solo leggermente maggiore Benny Gantz). Ma la possibile coalizione di governo a guida Netanyahu ha più probabilità di trovare un accordo, come conferma la scelta del Presidente Rivlin di affidare proprio a Netanyahu l'incarico. La Repubblica non accetta la scelta degli elettori e titola "Netanyahu ancora una volta". Il quotidiano romano se ne faccia una ragione, questa è la democrazia.
Fa addirittura peggio il FATTO QUOTIDIANO con il titolo " 'Re Bibi' è vivo, ma il governo nasce già morto". Come in ogni occasione dopo le elezioni ci vorranno settimane prima della formazione di un governo: non dovrebbe stupire questo procedimento, che invece suscita lo "stupore" del Fatto.
Disinformante è anche il pezzo di Michele Giorgio sul MANIFESTO, dal titolo "Il risiko israeliano: Netanyahu ottiene l'incarico senza maggioranza". Definire "risiko" quello che, ancora una volta, è il normale procedimento della democrazia, è funzionale solo a dare un'immagine falsa di Israele e di Netanyahu.
Ecco l'articolo di Francesca Caferri:
Francesca Caferri
I leader dei principali partiti, Benny Gantz, Benjamin Netanyahu
Il re è tornato? A poco più di una settimana dalla notte elettorale in cui gli israeliani hanno rifiutato di conferirgli di nuovo pieni poteri, Benjamin Netanyahu - soprannominato il "re" dai suoi sostenitori - ha ricevuto dal presidente della repubblica Reuven Rivlin il mandato per formare il nuovo governo israeliano. Lo ha fatto nonostante il suo Likud sia arrivato secondo nelle urne del 17 settembre, con 32 seggi contro i 33 di Blu e Bianco del suo rivale, l’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz: nell’affidare l’incarico Rivlin ha tenuto conto delle possibili coalizioni e Netanyahu, con i voti dei partiti della destra religiosa, arriva a 55 seggi. Più di quelli che ha Gantz insieme ai due partiti di centro sinistra e con l’appoggio (complesso) della Lista araba unita: 54, sui 61 necessari per controllare la Knesset, che ha 120 membri. Netanyahu avrà adesso 28 giorni di tempo per formare un nuovo governo, con una possibile estensione di due settimane: se non riuscirà nel suo tentativo, il presidente potrà affidare l’incarico ad un’altra persona o Israele tornerà alle elezioni per la terza volta in un anno. «Accetto l’incarico, occorre un governo di unità nazionale e la riconciliazione che in questo momento è essenziale», ha detto Netanyahu. Ma è difficile pensare che Gantz accetterà di sedere al governo con il rivale, dopo aver giocato l’intera campagna elettorale sul rifiuto di condividere la poltrona con un uomo, come Netanyahu, che nel giro delle prossime due settimane potrebbe essere formalmente messo sotto accusa per corruzione. Il "no" di Gantz e dei suoi alleati in Blu e Bianco è stato ribadito in una nota diffusa poco prima dell’annuncio di Rivlin. L’altra ipotesi su cui Netanyahu potrebbe lavorare è una replica del governo delle destre con cui ha retto il Paese negli ultimi anni: ma in questo caso sarebbero fondamentali i voti di Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e degli Esteri, che ad aprile ha fatto naufragare i precedenti tentativi di formare il governo rifiutando di cedere alle richieste dei partiti ultra-religiosi, in particolare sull’esenzione dalla leva obbligatoria per tutti i giovani della comunità. Lieberman ha raddoppiato i suoi seggi alla Knesset (da 4 a 8) facendo campagna contro i privilegi degli ultra- religiosi: e difficilmente tornerà indietro. Comunque vada, è un Netanyahu indebolito quello che ieri sera è apparso agli israeliani in televisione: scuro in volto, ha parlato con un tono conciliatorio che mal si sposa con quelli usati negli ultimi dieci anni, quando ha dominato la vita politica israeliana eliminando sistematicamente dalla scena i possibili rivali, fuori e dentro il Likud. Fra due settimane il procuratore generale dovrà decidere se metterlo sotto processo per tre accuse di corruzione: Netanyahu avrebbe voluto ottenere alle urne un’ampia maggioranza in Parlamento e far passare una legge che gli garantisse l’immunità. Questo, è certo, non accadrà a breve.
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