I servizi segreti dell'Assia lanciano l'allarme: l'Iran ci spia per ottenere informazioni utili a fabbricare «armi di distruzione di massa». Nel 2018, spiega un rapporto di 312 pagine dell'intelligence del Land tedesco, citato dal Jerusalem Post, l'attivitą di controspionaggio ha osservato la minaccia alle istituzioni democratiche nei tentativi «di acquisire e ridistribuire tali armi nel contesto della proliferazione, per esempio nascondendone le vie di trasporto attraverso Paesi terzi». Č un'attivitą che vedrebbe coinvolti anche Corea del Nord, Pakistan e Siria. Le spiedi Teheran, Islamabad e Pyongyang, in particolare, agirebbero in veste di accademici in visita presso atenei tedeschi, per ottenere informazioni «nel campo dell'ingegneria elettrica combinata con l'utilizzo di centrifughe nel processo dell'arricchimento dell'uranio». La stessa tecnica d'infiltrazione sarebbe stata scoperta in alcuni dipartimenti di chimica e biologi, che scambiano i risultati delle loro ricerche con altri centri all'estero oppure ne ospitano alcuni specialisti. Mentre per gli occidentali si tratta di un interesse scientifico, per i loro colleghi stranieri la documentazione acquisita ha un valore economico e politico. L'Assia non č l'unico obiettivo degli 007 in camice bianco. Alle stesse conclusioni erano giunte, nel maggio scorso, le strutture di sicurezza dei Land della Baviera e del Meclemburgo Pomerania Anteriore, affermando l'una che il regime iraniano «sta compiendo sforzi per espandere il proprio arsenale non convenzionale con armi di distruzione di massa», l'altro accusava i servizi di Pakistan, Iran, Corea del Nord e Siria di «essere coinvolti nel tentativo di rifornirsi nei campi della proliferazione, utilizzando aziende di copertura e strutture commerciali».
L'OSSERVATORE ROMANO: "Altolą dell'Iran a Stati Uniti e Arabia Saudita"
OR rovescia le responsabilitą della tensione Usa-Iran sulla politica americana in Medio Oriente, mentre assolve il sanguinario regime degli ayatollah, da cui in realtą dipenda l'instabilitą della regione. OR riprende le dichiarazioni dei leader iraniani, che affermano di "non volere la guerra", ma non spiega la natura terrorista e fondamentalista del regime. L'articolo č perciņ gravemente omissivo, per capire che cosa sia la dittatura sciita consigliamo di rivolgersi agli esuli persiani in tutto il mondo, fuggiti da quello che un tempo era il loro Paese e che oggi č il peggior regime del mondo.
Ecco l'articolo:
Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, rivolgendosi direttamente agli statunitensi in un'intervista concessa ieri alla Cnn, ha assicurato che Teheran non vuole un conflitto, ma se vi sarą costretta i suoi nemici dovranno combattere «fino all'ultimo soldato». Un'escalation militare coinvolgerebbe in modo drammatico l'intera regione, ha avvertito il capo della diplomazia iraniana, dopo che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in risposta all'attacco con droni di sabato scorso agli impianti petroliferi sauditi, aveva parlato di «molte opzioni», compresa quella militare. Al termine di una riunione alla Casa Bianca, ha scritto il «New York Times», i vertici del Pentagono e del Consiglio di sicurezza nazionale hanno definito una lista di potenziali obiettivi da colpire in Iran, se la situazione dovesse degenerare. Questi target potrebbero includere i siti da dove l'Iran, secondo le accuse di Washington e di Riad, avrebbe lanciato i suoi missili e droni per colpire gli impianti petroliferi sauditi. «L'Iran non vuole la guerra, ma non esiteremo a difenderci», ha precisato Zarif, tornando a negare ogni responsabilitą della Repubblica islamica negli attacchi alle raffinerie dell'Arabia Saudita, rivendicati dagli insorti yemeniti huthi, che si dice siano sostenuti da Teheran. In caso di conflitto, ha confermato il comandante in capo dei Pasdaran, il maggiore generale Hossein Salami, l'Iran non si farebbe comunque trovare impreparato. Ma dopo le parole incendiarie di due giorni fa, quando aveva definito «un atto di guerra» gli attacchi con droni accusando l'Iran, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha smorzato decisamente i toni del confronto. Gli Stati Uniti privilegiano una «soluzione pacifica», ha assicurato ieri sera, a margine di un incontro ad Abu Dhabi con il principe ereditario emiratino, Mohammad bin Zayed. «Siamo qui per costruire una coalizione destinata ad arrivare alla pace e a una soluzione pacifica», ha spiegato Pompeo, incassando l'adesione degli Emirati Arabi Uniti — dopo quelle di Arabia Saudita, Bahrein, Australia e Regno Unito — al progetto di una missione per proteggere la navigazione nel Golfo, lanciato dopo i sabotaggi e i sequestri di navi attribuiti le scorse settimane a Teheran. La Casa Bianca intende istituire «una coalizione che sviluppi un piano per esercitare una deterrenza» nei confronti di Teheran, ha detto Pompeo, anche in vista dell'Assemblea generale dell'Onu la prossima settimana. In una nota ufficiale da Baghdad, l'Iraq ha fatto sapere che non si unirą alla coalizione a guida statunitense nel Golfo, mentre il Pentagono sta anche considerando di inviare in Medio Oriente ulteriori batterie antimissili, un altro squadrone di jet e capacitą di sorveglianza aggiuntive per rafforzare la presenza militare americana. Lo scrive il quotidiano «The Wall Street Journal». Tra le misure sotto esame anche l'impegno a mantenere una portaerei e altre navi da guerra per l'immediato futuro. Intanto, si sblocca lo scontro sulla presenza all'Assemblea generale delle Nazioni Unite della delegazione iraniana. I visti al presidente, Hassan Rohani, e a Zarif sono arrivati ieri sera. In precedenza, fonti del Palazzo di Vetro di New York avevano fatto sapere che «esiste un accordo con il paese ospitante e quando si ha un vertice internazionale ogni membro deve poter partecipare e ha il diritto di partecipare». Rohani e Zarif parteciperanno, dunque, alla riunione all'Onu, ma la possibilitą di un ritorno ai negoziati con gli Stati Uniti, ha ribadito ancora il ministro degli esteri iraniano, č esclusa se Washington non toglierą le sanzioni economiche.