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Il Foglio - Libero - Il Messaggero Rassegna Stampa
19.09.2019 Elezioni in Israele, che cosa succede adesso?
Comment di Giulio Meotti, Daniel Mosseri, Simona Verrazzo

Testata:Il Foglio - Libero - Il Messaggero
Autore: Giulio Meotti - Daniel Mosseri - Simona Verrazzo
Titolo: «Israele e la nuova Knesset. La paura dei religiosi, ebrei e islamici. Cosa accade ora - 'O con me o coi palestinesi al potere' - Israele, stop a Netanyahu possibile incarico a Gantz»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/09/2019, a pag.1, con il titolo "Israele e la nuova Knesset. La paura dei religiosi, ebrei e islamici. Cosa accade ora" il commento di Giulio Meotti; da LIBERO, a pag. 8, con il titolo'O con me o coi palestinesi al potere' il commento di Daniel Mosseri; dal MESSAGGERO, a pag. 11, con il titolo "Israele, stop a Netanyahu possibile incarico a Gantz", il commento di Simona Verrazzo.

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Ecco gli articoli:

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Israele e la nuova Knesset. La paura dei religiosi, ebrei e islamici. Cosa accade ora"

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Giulio Meotti

Roma. Il 10 aprile, Bibi Netanyahu e Benny Gantz hanno entrambi cantato vittoria. Il 18 settembre, nessuno dei due lo ha fatto. “Netanyahu ha perso, Gantz non ha vinto”, recita l’adagio in Israele dopo la seconda tornata elettorale in sei mesi. I centristi dell’ex capo di stato maggiore Gantz sono avanti di un punto sul Likud. Ma né la destra (55) né il centrosinistra (56) hanno i numeri alla Knesset per formare un governo (61 seggi). Terza, a sorpresa, la Lista araba unita con tredici seggi. Ago del Parlamento, il russo Avigdor Lieberman. Le elezioni israeliane non sono state una disputa tra destra e sinistra, la “sinistra” è l’ombra di ciò che fu e solo il cinque per cento degli israeliani si definisce tale. Dei palestinesi non si è parlato. “Nessun singolo episodio ha plasmato la popolazione e la politica di Israele come l’ondata di attentati suicidi perpetrati dai palestinesi nei primi anni Duemila” scriveva Matti Friedman sul New York Times della scorsa settimana. “Gran parte di ciò che vedi qui nel 2019 è il seguito di quel periodo”. A decidere le elezioni, oltre al referendum su Netanyahu, sono state invece le divisioni identitarie e religiose. Che succede ora? Cinque scenari. Unità nazionale fra Likud e Bianco e blu di Gantz. Governo Likud-Lieberman, che però aveva causato il ritorno alle urne rompendo con Bibi. Governo Likud-Labor, ridotto ai minimi storici. Governo di centrosinistra fra Gantz, il Campo democratico della sinistra, il Labor e un appoggio esterno degli arabi. Ultimo scenario, di nuovo alle elezione. Gantz dovrebbe essere il primo a ricevere il mandato esplorativo per formare il governo. Poche le certezze dunque. Quel che appare chiaro è che Israele si è svegliato un po’ meno religioso e un po’ più arabo, dopo che i due grandi partiti hanno agitato lo spettro delle due comunità più stigmatizzate: gli ebrei ultraortodossi e gli arabi musulmani. Non è entrato alla Knesset il partito della destra messianica Otzma Yehudit e ha perso molto il partito nazional-religioso Yamina di Naftali Bennett e Ayelet Shaked. Ne parliamo con Amnon Lord, l’ex direttore del quotidiano Makor Rishon, columnist del primo giornale del paese Israel Hayom e vicinissimo a Netanyahu, che a Lord ha concesso l’intervista preelettorale. “Due giorni fa qui si parlava di annettere la Valle del Giordano, oggi degli arabi in una grande coalizione, tutto cambia in Israele in poche ore”, dice Lord al Foglio. “Gli arabi hanno ora un peso enorme. In cambio dell’eventuale appoggio esterno, gli arabi chiederebbero fondi per le loro comunità a Gantz, accordi con l’Autorità palestinese e un progetto post sionista di società. Lieberman era antiarabo e oggi è una manna per gli arabi. Entrambi odiano Bibi”. Il capo della Lista araba unita, Ayman Odeh, ieri ha detto che sosterrà Gantz come incaricato premier. E a conferma, ieri Netanyahu ha detto di voler formare un “governo sionista senza gli arabi”, dopo che in campagna elettorale li aveva accusati di frode elettorale e di cercare di “impadronirsi” del paese. Secondo Lord, è uno degli errori commessi da Bibi. “Come la sua retorica antiaraba per spingere il proprio elettorato ad andare a votare. Adesso c’è il rischio di un movimento secolarista post sionista, fortemente rafforzato dalle urne, e che tenterà di bloccare l’identità ebraica in Israele. La soluzione ideale sarebbe un governo di unità Bibi-Gantz. I governi di unità nazionale negli anni Ottanta hanno funzionato bene sotto il punto di vista delle riforme economiche. Nel 2009, Netanyahu ha creato un governo con Tzipi Livni e Ehud Barak ed è stato uno dei migliori governi nella storia israeliana, il paese ha superato indenne la crisi finanziaria, ha fermato la nuclearizzazione dell’Iran, due guerre a Gaza. David Ben Gurion dopo dieci anni di potere, al top della popolarità, fu costretto a cedere la guida. E ha finito i suoi giorni nel deserto. Bibi farà lo stesso?”. Tutto il sistema politico si è radicalizzato. “Il Likud era un partito di centrodestra, sotto Bibi è diventato un blocco nazionalista”. In caso di unità nazionale, gli arabi saranno il partito di opposizione. E questo avrebbe ricadute importanti per il paese. “Lo stato dovrà informare gli arabi sulla sicurezza. La cosa positiva è che non potranno più dire che in Israele vige uno stato di apartheid”. Amnon Lord abbozza una risata, ma piena di incognite.

LIBERO - Daniel Mosseri: 'O con me o coi palestinesi al potere'

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Daniel Mosseri

Alle elezioni dello scorso aprile gli israeliani guardavano al risultato dei singoli partiti. A quelle di martedì hanno più concretamente guardato alle maggioranze possibili, sommando i se lei ottenuti dai partiti di centro e destra da un lato e da quello di centro e di sinistra dall'altro. Appurata di nuovo la mancanza di una maggioranza chiara, adesso il dibattito si è spostato sulle definizioni. Il premier uscente Benjamin (Bibi) Netanyahu, il cui partito conservatore Likud ha ottenuto 32 se lei sui 120 della Knesset, ha detto di volere un governo sionista. «Ci sono solo due possibilità: un governo guidato da me o un governo pericoloso insieme ai partiti arabi antisionisti», ha detto Bibi, «dobbiamo fare tutto il possibile per impedire la formazione di un governo di questo tipo».

SICUREZZA IN GIOCO Il punto di Netanyahu è chiaro: il mio oppositore Benny Gantz (forte di 33 seggi) può governare solo con l'appoggio dei partiti arabi. Partiti cioè la cui agenda non prevede la sicurezza dello stato di Israele. Le parole di Netanyahu fanno breccia in larga parte della popolazione israeliana. Perché se è vero che Gantz può contare in teoria sul supporto alla Knesset della Lista araba unita, tanti elettori del generale avversario di Netanyahu non si fidano di una formazione che all'interno comprende partiti come Balad dall'aperta retorica antisionista. Stretti fra la narrativa antiaraba della destra nazionalista ebraica e l'aperto antisemitismo dei vicini di casa palestinesi, gli israeliani faticano a fidarsi di politici arabi che troppo a lungo hanno strizzato l'occhio a Hamas e a Fatah anziché occuparsi dei problemi della minoranza araba israeliana (circa il 20% della popolazione). Non è un caso che pochi giorni prima delle elezioni, un editoriale sul Jerusalem Post invitava i politici israeliani a fare propria l'agenda di Ayman Odeh (l'esponente più moderato della Lista araba unita), tutta incentrata sull'urbanistica civile. Un modo per disinnescare le cicliche accuse di razzismo che piovono sulla destra, isolando allo stesso tempo i deputati di Balad che appo 'ano il terrorismo palestinese né riconoscono la natura ebraica di Israele. «D'altronde neppure i partiti ultraortodossi come United Torah Judaism sono sionisti», provocava l'ex direttore del giornale gerosolomitano in lingua inglese. Il termine "ultraortodossi" ci porta all'altra definizione molto in voga in queste ore in Israele.

LAICI ALL'ASSALTO Se Netanyahu vuole un governo sionista, Avigdor Lieberman lo vuole liberale, ossia laico. Il leader del partito russofono di Israel Beitenu (Israele, la nostra patria) è il vero king maker di questa elezione. Lieberman ha escluso di allearsi con i partiti ultraortodossi. Il suo rifiuto impedisce a Netanyahu di varare una nuova alleanza fra nazionalisti più o meno laici e, appunto, i partiti guidati da rabbini. «Io non transigo sulla coscrizione obbligatoria dei religiosi, sul trasporto civile di Shabbat, sulla richiesta di istituire il matrimonio laico», sono le condizioni di Lieberman. Il leader di Beitenu ha chiesto la formazione di un governo laico con il Likud di Netanyahu e i centristi del partito Blu-Bianco di Gantz. I suoi appelli non lasciano gli israeliani indifferenti: la mancanza di autobus nel giorno di festa settimanale, la chiusura di negozi grandi e piccoli e il blocco automatico di bancomat e distributori di bevande negli ospedali durante il sabato, sono vissuti con fastidio sia da laici sia da ebrei non ortodossi. E presto per dire se Lieberman convincerà i due partiti più grandi a dare vita a un governo senza gli ultraortodossi. Ieri però circolavano voci su una possibile staffetta fra Bibi e il generale Gantz.

IL MESSAGGERO - Simona Verrazzo: Trump: "Israele, stop a Netanyahu possibile incarico a Gantz"

LA SVOLTA Israele, all'indomani delle elezioni per il rinnovo della Knesset, il Parlamento unicamerale, si sveglia con un quadro politico totalmente incerto, senza un chiaro vincitore, con un rebus sulle possibili coalizioni di governo. Soltanto un seggio separa i due principali partiti: il Likud del premier uscente Benyamin Netanyahu e la formazione centrista Blu-Bianco (Kahol-Lavan) guidata da Benjamin 'Benny' Gantz, ex capo di Stato maggiore, con il secondo in vantaggio sul primo per 32 a 31. È il terzo partito la vera sorpresa della consultazione di due giorni fa: Lista Unita, che raggruppa diverse formazioni arabe, con 13 seggi è il terzo partito d'Israele. Un successo ottenuto grazie alla maggiore partecipazione elettorale, con la popolazione araba che si è recata in massa a votare, raggiungendo un'affluenza del 60% contro il 49% dello scorso aprile.

GLI ORTODOSSI Immediatamente dietro il panorama politico è dominato nella quasi totalità dalla destra. I due principali partiti ortodossi, Shas e Giudaismo Unito nella Torah, hanno ottenuto rispettivamente 9 e 8 seggi, mentre il blocco Yamina della ex ministra della Giustizia, Ayelet Shaked, ne ha incassati 7. Shaked, poco dopo la chiusura delle urne, ha annunciato lo scioglimento della piattaforma Yamina, anche se i tre partiti che la compongono resteranno nell'ala nazionalista ma con distinguo in aula. Gli analisti, però, incoronano come vero vincitore, definendolo 'kingmaker', Avigdor Lieberman, ex ministro degli Esteri e della Difesa: i 9 seggi del suo partito Yisrael Beytenu, che punta sull'elettorato di origine russa, sono determinanti per la formazione di qualsiasi esecutivo. Lieberman, già appena chiusi i seggi martedì, aveva chiesto la formazione di un «governo d'unità di emergenza». Della stessa posizione è anche Gantz e resta l'incognita se proprio al leader di Bianco-Blu il presidente israeliano, Reuven Rivlin, assegnerà l'incarico. Ma Netanyahu, nello scontro diretto con Gantz sconfitto per un solo seggio, non sembra perdersi d'animo e ha annunciato contatti per una coalizione con la destra religiosa, sebbene tutti assieme non raggiungono i 61 seggi necessari per il controllo della Knesset. E i leader dei partiti ortodossi hanno dichiarato che proporranno il suo nome come primo ministro. Per Netanyahu una sicurezza dettata dal fatto che la sua leadership non sembra essere messa in discussione all'interno del Likud. «Ci sono solo due possibilità: o un governo guidato da me, oppure un esecutivo che si appoggi sui partiti arabi anti-sionisti-questo quanto dichiarato dal premier uscente - Faremo il possibile per impedire che sia varato un governo così pericoloso». Un Netanyahu battagliero, anche perché incombono procedimenti a suo carico in cui è accusato di frode, corruzione e abuso d'ufficio. E lui, per seguire da vicino l'evolversi degli eventi di politica interna, ha annunciato che martedì non interverrà all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York, alla quale, invece, parteciperà il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. Al posto del premier uscente sarà presente il ministro degli Esteri, Israel Katz. Nel rebus su quale governo vedrà la luce, Lieberman è l'ago della bilancia sia in un esecutivo a tre con Gantz e Netanyahu, sia in una delle due possibili coalizioni. Quella di centro-sinistra avrebbe la guida di Gantz e sarebbe composta dal Partito laburista (soltanto 6 seggi), Unione democratica (5), gli arabi di Lista Unita e Lieberman. Il leader laburista Amir Peretz ha incitato Gantz a invitare al tavolo delle trattative la compagine araba. Ma, appena è circolata questa possibilità, è arrivato il primo stop. «Neanche in un universo parallelo può succedere», con queste parole Lieberman ha fermato qualsiasi pronostico di lui in un esecutivo con presenti anche gli arabi.

MOTIVI DI SCONTRO Sembrerebbe più semplice una coalizione di destra, guidata dal Likud di Netanyahu con i partiti religiosi e Lieberman, ma proprio l'opposta visione dello Stato ha già costretto il paese a ritornare alle urne martedì scorso dopo neanche sei mesi. Il nazionalismo di Lieberman è laico, mentre gli ortodossi al governo sognano di imporre la Torah. Lo scontro più acceso, infatti, è sulla leva obbligatoria per i giovani haredim, l'ala ultra-ortodossa dell'ebraismo. Tutti adesso guardano al presidente israeliano. Rivlin, dopo l'ufficializzazione dei risultati, comincerà il giro di consultazioni per capire quale candidato abbia le migliori chance di formare un governo, ma i principali partiti hanno già creato squadre negoziali ad hoc per portare avanti i colloqui serrati. Il presidente americano Donald Trump, il più stretto alleato di Netanyahu in politica internazionale, ha detto di non aver sentito il premier uscente e di "attendere cosa accade". Di contro Netanyahu si è pubblicamente complimentato con Trump per le nuove sanzioni imposte all'Iran.

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