'Scritti autobiografici', di Walter Benjamin, un libro importante Recensione di Rinaldo Censi
Testata: Il Foglio Data: 18 settembre 2019 Pagina: 4 Autore: Rinaldo Censi Titolo: «Scritti autobiografici»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/09/2019, a pag.IV, la recensione al libro di Walter Benjamin "Scritti autobiografici" (Neri Pozza ed.) di Rinaldo Censi.
La copertina
Leggendo la prefazione di questi Scritti autobiografici di Walter Benjamin, una delle prime informazioni che incontriamo segnala come la maggior parte dei materiali siano eterogenei, pensati come “archivio”, aide memoire forse, non per una pubblicazione. In questi testi Benjamin ha eliso una regola che si era prefissato, quella di evitare la parola “Io”. La troviamo solo nelle lettere. E qui. Dunque? Curricula, pagine di diario: questi scritti sono un vero e proprio florilegio della prima persona singolare. Ed è per questo che, nella maggior parte dei casi, sono stati esclusi dalle Gesammelte Schriften, fatta eccezione per Infanzia berlinese e poco altro. Tra i testi già conosciuti spicca Diario moscovita, pubblicato nel 1983 da Einaudi, a partire dal manoscritto originale (curato da Gary Smith). Schweppenhäuser e Rolf Tiedeman, basandosi su quell’edizione accuratissima, sono giunti a nuove interpretazioni che si discostano dalla precedente. Questo per dire dell’ottimo apparato di note che accompagna il nuovo volume. Molta attenzione nella ricostruzione storico-filologica dei testi, uno sguardo alla loro tradizione e futura destinazione in alcuni saggi (Cronaca berlinese è una sorta di embrione che informerà Infanzia berlinese; parti del Diario moscovita finiranno in Mosca, pubblicato poi in Immagini di città). Tante informazioni dunque, comprese le minuzie contenute nei manoscritti (Diario moscovita è stato scritto utilizzando inchiostro viola e nero – perché? Manca qui, rispetto all’edizione Einaudi la spiegazione: l’inchiostro usato a Mosca è viola, quello a Berlino nero). Ma a colpire è anche altro. La serie dei curricula, ad esempio. Posti uno dopo l’altro, permettono di cogliere cronologicamente alcune variazioni (gli interessi intellettuali di Benjamin, in costante movimento) e lo stato d’animo di chi li ha scritti. Il quarto curriculum, del 1934, indirizzato al “Comitato danese per il supporto agli intellettuali in esilio”, lascia trapelare tutta la sua preoccupazione. Benjamin ricorda la fuga dal suo paese per il “cataclisma politico”, il fratello detenuto in un campo di concentramento e la delusione per non essere riuscito a trovare, in virtù dei suoi lavori accademici, un lavoro stabile in Francia. Tra le pagine inedite, emerge anche un Benjamin scanzonato, ventenne, in vacanza con alcuni compagni di studi (“Il mio viaggio in Italia. Pentecoste 1912”). C’è qui una frivolezza che rende il viaggio quasi slapstick (siamo distanti dalla disperazione di “Spagna 1932”). Muniti di Baedeker, viaggiano sulle orme di Goethe, vengono derubati da facchini astuti, proprietari di hotel senza scrupoli. Le descrizioni sono mirabili. Su tutto svetta una frenetica visita all’Ultima cena di Leonardo, di passaggio a Milano. All’ultimo respiro. Non male per uno studioso che abbiamo sempre immaginato chino su una scrivania.
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