Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/09/2019, a pag.4 con il titolo "L'Italia e l'islam", il commento di Arnaldo Ferrari Nasi.
Ecco l'articolo:
Il futuro dell'Italia?
Il sondaggio di seguito presentato, è stato commissionato dalla Fondazione Fare Futuro con l’intento di comprendere quale fosse, nella cittadinanza italiana, la percezione ed il giudizio su alcuni aspetti relativi al fenomeno della sempre maggiore presenza di popolazione di fede islamica sul territorio nazionale. La rilevazione è stata eseguita nel luglio 2019 su un campione rappresentativo di 800 italiani adulti. Da sottolineare l’impiego di domande appositamente ideate per la ricerca e di identiche domande già utilizzate negli scorsi anni dal programma di studio Analisi Politica, in modo da poter apprezzare gli eventuali mutamenti di opinione nel tempo rispetto ai fenomeni osservati. I risultati ci indicano come, rispetto a dieci anni fa, il timore percepito nei confronti dei residenti islamici in Italia sia sensibilmente cambiato. Escludendo gli albanesi, che sono fortemente caratterizzati e intesi come tali, e aggregandole altre popolazioni di fede musulmana, ovvero nordafricani, subsahariani e pakistani, notiamo che il grado di attenzione nei loro confronti triplica, passando dall’11% del 2008 al 28% di oggi. Neanche, si può non rilevare che, escludendo alcuni valori residuali, siano solo i musulmani a fare registrare questo dato - negativo - in aumento. È dunque comprensibile come una netta maggioranza di italiani (59%) richieda che vengano fatti speciali controlli sui residenti islamici in Italia, pur se regolari, un dato, di per se stesso, molto significativo.
FIDUCIA In ogni caso, gli italiani danno fiducia. Se il 27% ritiene che l’islam sia fondamentalmente una religione violenta e intollerante, il 40% dice che lo è stata solo in passato, ma oggi sia potenzialmente “pacifica e tollerante”, mentre tout court il 23% o indica così, positivamente. Questi due dati, sommati, danno all’incirca lo stesso valore, 62%, di chi ritiene che la maggior parte dei fedeli islamici, in Italia, sia moderata. Se pensiamo agli italiani come diretti eredi di Roma e della sua cultura, questo è coerente. Roma governava su tre continenti e più di uno dei suoi imperatori più grandi fu di origine provinciale: l’iberico Adriano; l’illirico Diocleziano; il libico Settimio Severo, moro! Ma è vero che se l’Impero era multietnico, non era certo multiculturale: se si aveva il privilegio di esserne o diventarne cittadini si doveva vivere secondo la legge ed i valori di Roma, pur tenendo la propria religione, ma adattando le proprie usanze. Anche in questo caso, gli italiani sono sulla stessa linea degli antichi progenitori: l’85%, che significa quasi la totalità, ritiene che: «gli immigrati, in ogni caso, dovrebbero fare un corso di lingua italiana e di educazione civica prima di essere regolarizzati». Un’ampia maggioranza è conscia che esistano differenze culturali difficilmente accettabili: il 60% ritiene che il velo indossato da molte donne musulmane, sia una coercizione imposta dalla famiglia e dai retaggi. Una giusta sintesi di tutto quanto visto in precedenza la dà l’ultima domanda presentata, sul tema dello ius soli. Solo un terzo del campione, il 35%, ritiene che il figlio nato in Italia da entrambi i genitori stranieri debba “essere considerato italiano in automatico”. Per i rimanenti è necessario un non breve periodo di tempo per comprovare la vera possibilità di diventare italiani: molti anni.
CIVILTÀ LATINA Per concludere, individuando una chiave di lettura per quanto visto, è che viene disegnato il contesto di un’Italia non fobica, non preconcetta, verso l’islam; questo, a mio modesto parere, è un grande punto d’onore, che ancora una volta dimostra quanto l’italiano sia impregnato di quella cultura classico-umanistica che altri popoli/nazioni occidentali, difficilmente potranno raggiungere. Allo stesso modo, però, vi è un alto livello di attenzione, plebiscitario in alcuni importanti aspetti, e una forte richiesta, per il soggetto ospitato, di un grande sforzo per attenersi al percorso tracciato dalla cultura ospitante, non certo il contrario; e che questo sforzo sia gestito e controllato. Ne consegue, che una possibile integrazione può essere solo, non teorica, non ideologica, ma pragmatica. A quest’ultimo punto occorre ancora dare risposta.
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