Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/09/2019, a pag.11, con il titolo "Si dà fuoco davanti al tribunale per protesta contro gli ayatollah" il commento di Giulia Zonca
Manifestazione davanti al tribunale di Teheran
Gli ayatollah non sono gli unici colpevoli, la FIFA lo è molto di più, basterebbe un suo STOP a tutti gli incontri in Iran per suscitare una protesta enorme in tutto il paese, ma si guarda bene dal farlo. Subito dopo vengono le donne che vivono nei paesi democratici, tutte prese dal #metoo per trovare il tempo di occuparsi della condizione delle donne nei paesi dove è l'islam a dettare legge. Stessa accusa ai movimenti Lgbt, che tacciono sulla repressione degli omosessuali nei paesi musulmani, che spesso arriva alla pena di morte. E così che le democrazie muoiono, poco per volta, senza particolari avvertimenti, per non disturbare la vigliaccheria dei nostri ipocriti governanti.
Giulia Zonca
Forse ora si dirà che Sahar è matta e, certo, ricoprirsi di benzina e darsi fuoco davanti a un tribunale di Teheran è folle. Ma lei si è spinta oltre in cerca di normalità. Questa donna di 29 anni, a marzo, è entrata in uno stadio. Senza permesso. In Iran solo gli uomini hanno diritto di vedere le partite dal vivo, il resto sono chiacchiere, occasioni uniche, piccoli passi che andrebbero spinti verso svolte storiche e che invece sono così rari da servire solo al calcio iraniano per evitare sanzioni. Sahar non voleva più aspettare e qualche mese fa si è messa una parrucca in testa, i soliti goffi abiti che evitano problemi, si è avvolta in una bandiera ed è sgattaiolata dentro all’Azadi Stadium insieme alla massa di tifosi. Voleva tifare per l’Esteghlal, la squadra con cui sta litigando Stramaccioni, e ha osato. È entrata, ha mandato un selfie alla sorella che si è preoccupata e le ha chiesto di uscire di lì, ma era tardi. Sahar si era fatta notare, essere una donna in una curva di Teheran è come avere un bersaglio in fronte: è stata subito arrestata. Due giorni di fermo, poi la data del processo, inizio settembre. In aula ha ascoltato il suo «oltraggio al pudore» e non è stata neanche difesa perché semplicemente stava dal lato della colpa. Le donne lì hanno perso i loro diritti nel 1979, l’ultima volta che sono entrate legalmente in uno stadio era il 1981, poi il buio. E gli arresti e la comunità internazionale che denuncia e i comitati che provano a fare pressione. Quando le iraniane in trasferta hanno riempito le tribune dei Mondiali in Russia, sembrava si fosse aperto uno spiraglio. Il regime ha fatto qualche concessione in patria. Apertura straordinaria per la finale della champions asiatica, un settore dedicato e inviti precisi, solo per chi è ben accetto, per chi non si sognerebbe di dimostrare o creare imbarazzo. Le altre, quelle pericolose e imprevedibili come Sahar, fuori. Le hanno dato sei mesi di reclusione e lei è diventata una torcia umana. Spaventoso. Ora è ricoverata con ustioni al 90 per cento, ha un polmone compromesso, rischia ancora di morire. La famiglia ha fatto sapere che aveva dei problemi, che le era stato riscontrato un disturbo bipolare, ma le notizie intorno a lei sono poco chiare. Quel che è certo è che il capitano della nazionale iraniana, Masoud Shojaei, ha condannato «il retaggio medioevale che tiene le donne fuori dagli stadi e crea conseguenze drammatiche». Non è la prima volta che si espone, lo aveva già fatto a Kazan, nell’estate del 2018, quando si era trovato davanti a tifose che non poteva neanche immaginare: «nemmeno mia madre e le mie sorelle sono mai potute venire a vedermi». La Fifa, al momento si attiene alle promesse dell’Iran, dicono che per gradi smantelleranno il divieto, ma dall’inverno scorso siamo fermi a qualche rara eccezione controllata e la legge è sempre la stessa. Entrare in uno stadio è reato se sei donna e la pena è la galera. O la follia come unica strada alternativa. L’ingresso di qualche centinaio di signore poteva essere un inizio: senza un’evoluzione concreta è solo una presa in giro.
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